In questi anni, Trump ha messo in pratica quanto tuonato nel corso della sua campagna elettorale. La guerra commerciale alla Cina (riuscendo perfino a frenare l’ascesa mondiale di un colosso come Huawei) e all’Unione europea a trazione tedesca.
Ha contrastato due organismi sovranazionali succhia-soldi e con troppe ombre come Oms e Onu. Non ha dichiarato guerra a nessuno Stato (a parte 2 operazioni chirurgiche in Iran e Siria), ha fatto volare l’economia statunitense attraverso un programma fiscale “choc”.
Ancora, ha alzato la voce verso gli Stati vicini Canada e Messico. Ha messo in discussione le politiche ambientaliste fin qui rivelatesi inutili e di parte. Sta contrastando lo strapotere dei Big Tech, che manipolano le notizie tramite algoritmi.
Si è avvicinato a due storici nemici americani, come Russia e Corea del Nord.
Questa una estrema sintesi. Certo, non stiamo parlando di uno stinco di santo. Parliamo di un imprenditore che è anche fallito, ricorrendo al Charter 11. Non ha disdegnato in passato l’amicizia dei Clinton (ma d’altronde, se fai impresa, sei gioco forza portato ad avere buone relazioni politiche). E’ filo-Israeliano e appoggiato dai suprematisti bianchi.
Inoltre, il genero, il 39enne Jared Kushner, soprannominato “Mechanic” e suo consigliere “senior” nelle relazioni con i Paesi più “delicati”, ha partecipato al 69mo Bilderberg lo scorso anno. Dove, per molti, si decidono le sorti del Mondo. Quindi non è proprio un anti-sistema.
Tuttavia, Donald Trump ha rotto certi schemi. Quel consociativismo repubblicano-democratico che governa l’America praticamente da sempre. Fatto di lobby farmaceutiche, militari e petrolifere. Le quali muovono le fila di chi approda alla Casa bianca.
Non a caso, Trump si è ritrovato contro parte della stampa e i principali colossi del web: Google, Facebook e in modo più insistente Twitter. Ecco i vari boicottaggi che ha subito.
Trump boicottato da Google in favore di Clinton
Come riporta Punto informatico, Trump ha accusato Google di aver spostato da 2,6 a 16 milioni di voti alla concorrente Hillary Clinton, uscita poi sconfitta dalle urne.
Un’accusa presumibilmente basata su un documento datato 2016-2017 condiviso dall’American Institute for Behavioral Research and Technology e firmato da Robert Epstein, storicamente critico nei confronti di Google. In cui si afferma che il comportamento dei motore di ricerca (tutti) avrebbe spinto la popolarità della candidata democratica.
Uno studio la cui solidità è quantomeno discutibile: 95 in totale le persone chiamate in causa nei 25 giorni antecedenti il voto, con una metodologia non del tutto chiara. Lo sfogo di Trump è giunto ovviamente via Twitter.
Lo stesso Epstein, comparso di recente di fronte al Senate Judiciary Committee, ha affermato che se tutte le grandi realtà del mondo online e social dovessero coalizzarsi e supportare un unico candidato in vista delle Presidenziali 2020, potrebbero arrivare a spostare circa 15 milioni di voti.
Google si è difesa così:
L’inaccurata affermazione di questo ricercatore è stata messa in luce fin dalla sua condivisione nel 2016. Come abbiamo dichiarato allora, non abbiamo mai modificato l’indicizzazione né i risultati delle ricerche al fine di manipolare il sentimento politico
E’ possibile visionare la ricerca qui.
Facebook accusata di aver censurato i repubblicani
Sempre in piena campagna elettorale 2016, anche Facebook fu accusata di favorire i democratici. Ecco cosa riporta Epoch Times.
Diversi ex dipendenti di Facebook, che hanno lavorato nel maggiore social network del mondo tra metà 2014 e dicembre 2015, hanno dichiarato che tutte le notizie di interesse per gli utenti conservatori venivano per prassi eliminati dalle trending news.
Un giornalista che in passato ha lavorato per Facebook ha dichiarato a Gizmodo che – nonostante fossero diventate popolari – venivano ‘deviate’ notizie sul raduno di destra del Cpac [Conservative Political Action Conference, una conferenza nazionale di destra che si tiene ogni anno negli Stati Uniti, ndt], su Mitt Romney e Randy Paul e altri temi conservatori.
Non solo: gli ex dipendenti di Mark Zuckerberg responsabili della sezione notizie di tendenza, hanno poi aggiunto che ricevevano ordine di inserire manualmente nella sezione in alto a destra di Facebook determinati aggiornamenti. Anche se non erano popolari abbastanza oppure non lo erano affatto.
«A seconda di chi era di turno, i post venivano censurati o spinti» ha spiegato un ex responsabile di contenuti che ha chiesto di restare anonimo.
Arrivavo a lavoro e scoprivo che il Cpac o Mitt Romney, Glenn Beck o altri temi conservatori popolari non dovevano apparire nei ‘trend‘ perché non piacevano al responsabile, oppure per faziosità contro Ted Cruz
ha spiegato l’ex dipendente.
Alcuni fra i temi ‘nascosti’ sono stati:
- l’ex funzionario dell’Irs [Internal Revenue Service, l’equivalente dell’Agenzia delle Entrare, ndt] Lois Lerner, accusata dai repubblicani di aver effettuato una verifica immotivata su diversi gruppi conservatori
- il governatore del Wisconsin Scott Walker
- il sito conservatore Drudge Report
- il fuciliere di marina Chris Kyle ucciso nel 2013
- l’ex collaboratore di Fox News Steven Crowder
«Credo che l’effetto sulle notizie relative ai conservatori sia stato grave» ha commentato l’ex responsabile del contenuto.
Si è trattato assolutamente di faziosità. Lavoravamo in modo arbitrario: dipendeva tutto da chi era il responsabile del contenuto e dall’ora del giorno
ha aggiunto parlando con Gizmodo un ex-responsabile del contenuto.
Un altro ex-responsabile ha riferito che le notizie coperte dalle agenzie vicine ai conservatori (come Breibart, Washington Examiner e Newsmax) che diventavano popolari a sufficienza per essere selezionati dagli algoritmi automatici di Facebook, venivano trattenute finché i maggiori media come il New York Times, la Bbc e la Cnn non coprivano a loro volta la notizia.
I responsabili del team preposto alle notizie ordinavano allo staff di influenzare artificialmente il trend spingendo in cima alla sezione ‘trending’ le notizie che loro ritenevano importanti.
Non solo: diversi ex dipendenti hanno spiegato che Facebook si serve di uno specifico ‘strumento di inserimento’ per spingere le notizie, a volte fino alla prima posizione in cima all’elenco delle notizie:
Avevamo una disposizione per cui solo se vedevamo una notizia in prima pagina sui maggiori media – come Cnn, Nyt e Bbc – potevamo inserirla anche noi. Praticamente era come se fosse tutta questione di quello che facevano i ‘grandi’: se loro la mettevano in prima pagina, anche se la notizia non era popolare tra i lettori noi potevamo spingerla in alto
Insomma, secondo le testimonianze degli ex dipendenti, anche a Facebook tenevano molto ‘a esserci’ sulle notizie dell’ultim’ora: la sparizione del volo MH370 della Malaysia Airlines e gli attacchi a Charlie Hedbo di Parigi sono stati spinti a forza nella sezione dedicata alle notizie più popolari.
Un’altra testimonianza ha parlato della spinta di visibilità data al movimento Black Lives Matter [attivisti per la difesa dei diritti delle persone di colore, ndt]: «Facebook subiva una forte pressione dal non avere contenuti di tendenza sul Black Lives Matter».
Avevano capito che era un problema e quindi ‘spingevano’ il tema dandogli priorità sugli altri. A quel punto tutti iniziavano a dire: “Oh! Finalmente lo vedo il prima posizione!”
E anche le notizie sul Facebook stesso ricevevano un trattamento speciale: «Se si trattava di qualcosa riferito alla società, ci dicevano di non toccare niente», spiega un ex responsabile di contenuto, che aggiunge come le notizie su Facebook non dovessero essere spinte in alto dal programma apposito.
La sezione trending è stata introdotta negli Stati Uniti nel 2014. Ma «non erano affatto ‘tendenze’» conclude l’ex responsabile incaricato di sopprimere le notizie sui conservatori: «Erano opinioni».
Più di recente, comunque, Zuckerberg ha preso le difese di Trump riguardo la diatriba con Twitter che vedremo nel prossimo paragrafo. E alcuni dipendenti
La guerra tra Trump e Twitter
Twitter è il Social preferito di Donald Trump, per attaccare questo o quello e per anticipare anche alcune decisioni che prende di lì a breve. Tuttavia, di recente, Twitter ha censurato o segnalato diversi post del Presidente americano.
Come riporta Oasport, il 26 maggio il presidente Trump ha esposto il suo pensiero sull’intenzione del governatore della California Gavin Newson di espandere l’utilizzo del voto via posta per via dell’emergenza sanitaria. Parlando mediante un tweet senza mezzi termini di frode e rischio brogli.
Questo tweet è stato contrassegnato dalla piattaforma con l’avviso usato quando vi è il rischio che l’informazione contenuta nel messaggio sia una notizia falsa.
L’avviso di verificare i fatti dice “capire come funziona il voto via posta” e collega alla pagina @TwitterSafety dove sono raccolte informazioni che smentiscono le parole di Trump.
Le accuse del presidente sono prive di fondamento – si legge – secondo alcune emittenti e testate come la CNN, NBC o il Washington Post
Ma le elezioni via posta non sarebbero una novità. Nella stessa pagina sono raccolti tutti i tweet che dimostrerebbero l’infondatezza delle parole del presidente.
A questo punto il presidente ha scritto un tweet contro lo stesso Twitter.
Accusando la piattaforma di interferire con le elezioni presidenziali. La CNN – si sa – non è vicina alle posizioni del presidente Trump e per questo viene considerata dal presidente americano come una fonte di fake news. Così come anche il Washington Post. Per la sua azione, secondo Trump il social media starebbe soffocando la libertà di espressione cercando di silenziare le voci dei conservatori.
Un altro sconto agguerrito si è consumato il 5 giugno. Come riporta IlSecoloXIX, Twitter ha disattivato un video del team della campagna elettorale di Donald Trump che rende omaggio a George Floyd, affermando che è oggetto di un reclamo sul copyright.
Il video è stato ritwittato quasi 7mile volte da persone tra cui il presidente degli Stati Uniti e suo figlio Donald Jr.
In risposta alla rimozione del video, lo staff della campagna del presidente Usa ha accusato il social media e il suo co-fondatore, Jack Dorsey, di censurare un «messaggio edificante e unificante del presidente Trump».
Trump firma ordine esecutivo contro il potere dei Social
La reazione del Tycoon non si è fatta attendere, in pieno suo stile.
Come riporta Wired, la Casa Bianca ha firmato un ordine esecutivo che modifica la sezione 230 del Communications Decency Act. Una legge del 1996 che garantisce ampia immunità dalle cause civili per ciò che gli utenti pubblicano su internet, perché a livello giurisprudenziale i siti vengono considerati “piattaforme” e non “editori” e dunque sollevati dalle responsabilità sui contenuti.
Queste le parole tuonanti di Trump per presentare l’ordine esecutivo:
Un piccolo gruppo di potenti social media in regime di monopolio controlla una vasta porzione di tutte le comunicazioni pubbliche e private negli Stati Uniti: hanno un potere incontrollato nel censurare, ridimensionare, editare, delineare, nascondere, alterare virtualmente ogni forma di comunicazione tra privati cittadini o con audience ampie di pubblico
Occorre però anche dire che prima che questa modifica diventi effettiva, è necessario che ottenga il via libera della Federal Communications Commission (Fcc), il massimo organo federale che regola le telecomunicazioni negli Stati Uniti.
Al momento la Fcc è composta da 3 repubblicani e 2 democratici, quindi ci sono buone possibilità che l’emendamento venga accettato. In ogni caso, la decisione di Trump inizierà ad avere delle ricadute concrete sui social network tra un po’ di tempo.
Cancellare la sezione 230 del Communications Decency Act, secondo alcuni osservatori, significherà limitare notevolmente la libertà di parola su internet.
Inoltre, secondo il New York Times, il più colpito da questa decisione potrebbe essere proprio Trump per il suo modo diretto di inviare messaggi poco politically correct. Infatti, ricorda il giornale, “con l’attuale disposizione, sarebbe costretto a cancellare per non incorrere nelle sanzioni che spettano invece a un editore”.
Contraria anche la Consumer Technology Association, così come la Camera di commercio degli Stati Uniti che invoca la libertà di parola.