Acquisti su SHEIN? Ecco cosa si nasconde dietro i suoi prodotti

Acquisti su SHEIN? Ecco cosa si nasconde dietro i suoi prodotti

Introduzione

SHEIN è una piattaforma e-commerce cinese sempre più utilizzata anche in Italia. Del resto, le ragioni del successo sono presto spiegate in 2 motivi principali: i prezzi bassi e i capi e gli accessori molto originali. In effetti, ciò che viene venduto su SHEIN difficilmente si trova nei negozi fisici o su altri store online.

Basta solo dire che, nella patria della moda e dell’eleganza per eccellenza, qual è la Francia, il portale ha conquistato la sesta posizione assoluta fra i venditori di abbigliamento online. Dietro solo Zalando, Amazon, Vinted, Veepee e ShowroomPrivé. Ma la scalata è solo agli inizi, essendo sul mercato francese da poco più di un anno.

Sta preoccupando anche un altro colosso cinese, Aliexpress, la cui casa madre, Alibaba, ha lanciato il portale AllyLikes per contrastare la forte crescita del suo sfidante.

Tuttavia, in pochi conoscono cosa nascondono i suoi prodotti. Che riporto di seguito.

SHEIN chi è

Vediamo prima chi è SHEIN. Come riporta Fashion Network, all’inizio chiamata “Sheinside“, la piattaforma è stata fondata in Cina da Chris Xu nel 2008. Abbreviata in Shein nel 2015, ha ottenuto diversi importanti rounds di investimento da società finanziarie importanti, tra cui Sequoia e IDG Capital. Il che ne ha consentito la crescita tanto che nel 2020 vantava 10 miliardi di dollari (8,5 miliardi di euro) di vendite mondiali (fonte Forbes).

Negli Stati Uniti, suo primo mercato mondiale, Shein è andata al comando a giugno dello scorso anno della classifica delle applicazioni di shopping più scaricate su IOS. Perfino davanti ad Amazon.

Non prevede l’apertura di sedi fisiche o l’approdo in Borsa.

E’ presente online in 220 nazioni (eparadossalmente molto poco conosciuta dai clienti cinesi), l’azienda con 10.000 dipendenti ha come slogan

a donne e adolescenti l’opportunità di permettersi le ultime tendenze a prezzi democratici

Le sue colonne portanti sono soprattutto 2:

  1. Prezzi aggressivi (da 4 euro per un top, e 7 euro per un vestito)
  2. consegna gratuita oltre 39 euro di ordine in molti

Inoltre, tanti codici promozionali e punti bonus consentono di far abbassare ulteriormente il conto o di rendere la spedizione gratuita.

Anche i resi sono presi in carico dal sito. Non è proprio intuitivo il modo con cui ottenerli. A ciò ho dedicato un articolo apposito su come fare.

Ma il marchio cinese non vuole passare solo per quello che permette vendite low cost. Dopo aver lanciato la label Shein Premium per salire un po’ di gamma, e aver organizzato una sfilata a margine della Fashion Week di Parigi lo scorso autunno, l’azienda cinese ha anche lanciato nella primavera del 2021 il programma Shein X per promuovere i giovani stilisti in erba. Assegnato nella sua prima edizione al marchio grandi taglie Flaws of Couture, dell’influencer canadese Sasha Ruddock, che ha vinto 100.000 dollari e una collaborazione con Shein. Il programma intende supportare 50 nuovi designer ogni mese.

Un modo intelligente ed economico per captare la creatività dei giovani stilisti, i quali ricevono una percentuale sulle vendite dei loro progetti, che Shein si occupa di realizzare e commercializzare.

SHEIN, accuse di sfruttamento dei lavoratori

Fatte le dovute presentazioni,, veniamo ora al nocciolo della questione. L’ONG svizzera Public Eye ha pubblicato qualche mese fa un’indagine sull’origine dei prodotti del marchio di moda low cost Shein. Nella sua indagine, ha denunciato l’utilizzo da parte del colosso cinese di strutture più piccole del previsto, in locali con pochissime garanzie di sicurezza, dove le settimane lavorative possono superare le 75 ore.

Ma anche in opposizione alla stessa legge cinese, che prevede un massimo di 40 ore settimanali e 36 ore di straordinario al mese. Lavorando in questo modo “per due”, i testimoni interpellati, che vengono pagati a pezzo, guadagnerebbero circa 10.000 yuan (1.370 euro) nei mesi in cui la domanda è alta.

L’indagine da parte della ONG che esiste da mezzo secolo ha coinvolto 17 fornitori Shein nella città di Guangzhou, imprescindibile roccaforte del tessile-abbigliamento a nord di Hong Kong. Sono stati intervistati dieci lavoratori, tra cui sette donne, che operano in sei stabilimenti in posizioni che vanno dal cucito al taglio, compreso il controllo qualità, l’imballaggio e la stiratura.

All’interno delle fabbrichette del distretto di Panyu, corridoi e scale sono ingombri di borse e rotoli di tessuto. Un problema in caso di evacuazione per un incendio, tanto più in assenza di un’uscita di emergenza, e visto che le finestre dei piani sono dotate di grate.

E questo anche se uno dei siti, che darebbe lavoro a più di 200 persone attraverso unità produttive accatastate su sette piani, si dichiarasse tramite vari striscioni il “principale fornitore di Zoetop”, con 1,2 milioni di pezzi forniti al mese. Condizioni che istintivamente rievocano tra i committenti i parametri d’attività che altrove hanno portato a disastri e crolli come quello del Rana Plaza nel 2013 in Bangladesh.

Shein farebbe circolare i suoi bandi di gara tramite WeChat, la maxi-applicazione cinese utilizzata per tutto (commercio, pagamenti, social network, incontri, ecc.). Gli ordini fino a 100 o 200 pezzi devono essere consegnati in tempi stretti. Shein adatterebbe le quantità in base alle dichiarazioni giornaliere della forza lavoro presente rilasciate dalle fabbriche.

Il ricorso preferibilmente a personale esperto piuttosto che junior sarebbe quindi legato alla necessità di disporre di squadre di lavoratori in grado di operare su una rapida successione di pezzi che richiedono competenze diverse.

Da dove provengono prodotti di SHEIN

La stampa cinese afferma che il marchio si basa essenzialmente su 300-400fornitori principali” nel succitato distretto di Panyu, a cui vanno aggiunti i subappaltatori di quest’ultimo. Sebbene su questi argomenti Shein citi ufficialmente un programma di audit, Public Eye indica di non averne trovato alcuna testimonianza. D’altra parte, il rapporto precisa di aver trovato una traccia di un salario minimo garantito, affissa su uno dei siti visitati: 55 euro il taglio, 69 euro il confezionamento, 96 euro la stiratura.

SHEIN come si difende da accuse

Sul suo sito web, l’azienda afferma che essa e i suoi partner trattano bene i propri dipendenti e non utilizzano lavoro forzato o minorile, senza fornire dettagli sulle fabbriche in questione, occupandosi di individuare i look più alla moda e di “lanciarli velocemente sul mercato” grazie a un’armata di fornitori sul posto, nella zona di Nanchino.

Afferma inoltre che oltre il 60% dei suoi prodotti contiene fibre riciclate (senza specificare in quale quantità). I suoi outfit trendy a volte somigliano un po’ troppo a modelli di altri brand o di giovani designer: infatti Shein viene regolarmente accusato sui social di aver copiato o addirittura contraffatto dei vestiti. Ma il suo potere di comunicazione su Internet è incomparabile.

Altamente mirate (grazie a un potente algoritmo) e onnipresenti, le sue pubblicità inondano i social network, Tik Tok e Instagram in testa, e i siti web.

Conclusioni

Probabilmente, è stata scoperta l’acqua calda. Acquistiamo spesso e volentieri prodotti cinesi (online o in negozi fisici) perché paghiamo molto meno rispetto a quelli venduti sotto marchi conosciuti. Consapevoli nel nostro inconscio che dietro quei prezzi così bassi si nasconda il calpestamento dei diritti civili e politici più elementari. Ma tant’è. Le recessioni cicliche e l’incertezza economica del futuro ci spinge al risparmio e a mettere da parte la nostra coscienza.

E’ anche vero, infine, che gli stessi marchi prestigiosi producono i loro prodotti in paesi asiatici a basso costo, per poi rivenderli come se fossero realizzati nella madre patria. Come la succitata strage consumatasi in Bangladesh nel 2013 fece emergere.

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