La guerra in Cecenia promossa da Putin per ripristinare l’ordine evitò che l’islamismo dilagasse in tutto il Caucaso.
Oggi Vladimir Putin viene visto dall’Occidente come un mostro da abbattere, quello che ha invaso l’Ucraina e che va fermato prima che invada il resto d’Europa.
In realtà, va anche ricordato, tra le altre cose, che Putin ha evitato che in Europa si venisse a creare uno stato simile all’ISIS. In particolare, dichiarando guerra ai separatisti ceceni, dove si era insediato un potere islamista, che avrebbe potuto dilagarsi per tutto il Caucaso, come già aveva fatto nel confinante Daghestan.
L’ormai consumato dalla Vodka Boris Eltsin gli aveva da poco consegnato le chiavi della Russia, uscita malconcia dal crollo dell’Unione sovietica. Con un esercito vetusto, pachidermico e inefficiente (immagine plastica di ciò sarà la tragedia del sottomarino Kursk, consumatasi nel 2000); il depredamento delle risorse economiche ed energetiche da parte degli oligarchi, che stavano approfittando delle selvagge aperture al mercato post-sovietiche; una società depressa e sfiduciata, con redditi da fame, alcolismo dilagante e una corruzione che ormai toccava tutti i segmenti.
In questo quadro a dir poco complicato, Vladimir Putin ebbe il battesimo del fuoco nella questione della Cecenia. Uscendone comunque bene.
Perché ci fu la Guerra in Cecenia
Come racconta bene Gennaro Sangiuliano, attuale Ministro della cultura, nel suo ottimo libro Putin, vita di uno Zar (Mondadori, 2015), dopo la succitata dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, la popolazione cecena dichiarò la propria indipendenza. Come fecero tante altre ex repubbliche socialiste sovietiche, facilitate anche da Boris Eltsin che concesse indipendenza amministrativa e finanziaria per una transizione pacifica di tutto il territorio.
L’anno seguente, i leader politici di Cecenia ed Inguscezia firmarono un accordo, in virtù del quale la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno-Inguscia si sarebbe divisa in due territori: quello dell’Inguscezia che venne incorporato nella neonata Federazione russa e la Cecenia dichiaratasi indipendente. Tuttavia sorse un acceso dibattito all’interno delle forze politiche cecene, divise tra lealisti e separatisti, guidati dal nazionalista Džochar Dudaev, che portò ad una vera e propria guerra civile ed alla fuga in massa di migliaia di persone di origine etnica non-cecena.
Nel 1994 scoppiò la Prima guerra cecena con l’occupazione da parte delle truppe russe del territorio ceceno per ristabilire l’ordine costituito. Seguirono due anni di combattimenti e di massacri che portarono alla morte di circa 100.000 persone, e che si conclusero con l’accordo per il cessate il fuoco a Khasavyurt nel 1996, che prevedeva il ritiro delle truppe russe dal territorio ceceno.
Tuttavia, ciò permise il riaccendersi di guerre tra bande locali, che avevano per diversi secoli, almeno fino alla conquista degli Zar, dominato e reso turbolento quel territorio. Durante i tre anni di governo degli autonomisti ceceni le bande armate fecero del rapimento e della razzia la loro attività principale, guadagnando una cifra stimabile intorno ai 200 milioni di dollari, con una stima di circa 1.300 persone rapite tra il 1996 e il 1999. Per fronteggiare questa situazione le autorità di Groznyj dichiararono lo stato di emergenza e cercarono di eliminare i focolai più virulenti tramite le incursioni della Guardia Nazionale Cecena.
I ceceni avevano anche un profondo risentimento verso i russi, poiché da secoli da loro dominati. Sebbene, occorra dire, l’epoca zarista fece sì che in Cecenia venissero costruite strade e infrastrutture. La stessa capitale Groznyj era nata come fortezza zarista. Ma il fondamentalismo islamico soffiò sul risentimento russo, richiamando alla guerra Santa, anche perché il potere dei Romanov si basava anche sulla Chiesa cristiana ortodossa, dunque era anche una questione religiosa.
La goccia, o meglio le gocce, che fecero traboccare il vaso furono soprattutto una serie di attentati dinamitardi in alcune abitazioni di Mosca e Volgodonsk e nella cittadina daghestana di Bujnaksk. Il 4 settembre 1999 uno di questi attentati contro una palazzina che ospitava le famiglie di poliziotti russi fece 62 vittime. Gli attentati, che durarono nelle successive due settimane, fecero complessivamente 300 morti. Le autorità russe, primo fra tutti l’allora Presidente Boris Eltsin, accusarono degli attentati i separatisti ceceni.
Sebbene alcune personalità importanti russe e il senatore americano John McCain, (proprio colui che diede un contributo, qualche anno dopo, alla nascita dell’ISIS) avanzarono il sospetto che tali attentati fossero stato ordinati dalle autorità russe ed eseguiti dai servizi segreti russi per giustificare un intervento in Cecenia e ristabilire l’ordine. Un po’ l’accusa fatta agli americani riguardo l’11 settembre, dal quale scaturirono le guerre in Afghanistan e in Iraq.
Non possiamo escludere questa ipotesi, ovviamente. Ma certo è che la Cecenia iniziava a diventare pericolosa, anche in prospettiva di quanto accadrà di lì a breve in Medioriente. E con i vari attentati di matrice islamista che si consumarono in varie capitali europee, tra cui, e a più riprese, le importanti Parigi e Londra.
Per i terroristi islamici avere una grande base logistica in Europa dalla quale muoversi verso occidente sarebbe stato perfetto. Ma non avevano fatto i conti con Putin.
Come Putin scongiurò la nascita di una ISIS in Europa
Putin era stato da poco nominato Primo Ministro da Eltsin, il quale rassegnò le sue dimissioni, un po’ a sorpresa, la sera del 31 dicembre del 1999. Putin diventerà poi presidente della Russia alle elezioni che si tennero qualche mese dopo.
L’ex colonnello del KGB sapeva che per lui si presentava la prima grande occasione di mostrare tutte le sue capacità organizzative. Risolvere in poco tempo la questione cecena gli avrebbe fatto incassare subito il favore del popolo. Inaugurò anche un modo dire che diventerà popolare in Russia:
scoveremo i terroristi islamici ovunque si trovino, anche nei cessi e li uccideremo lì
Che diventerà nella vulgata popolare: vengo a prenderti fino al cesso, o qualcosa del genere.
All’inizio della campagna le forze militari russe ed i gruppi paramilitari dei lealisti ceceni hanno affrontato i separatisti ceceni e, dopo un lungo assedio durante l’inverno del 1999, sono riusciti a riconquistare la capitale Grozny. Nel maggio del 2000 le truppe della Federazione Russa hanno ristabilito il controllo sul territorio ceceno dopo un’imponente campagna su vasta scala. Putin collocherà anche un uomo di fiducia, Achmat Kadyrov, come capo di un governo filo-russo. Gli succederà nel 2015 il figlio Ramzan, ancora oggi alla guida del paese e fedelissimo di Vladimir.
Nel complesso, la guerra durerà circa 10 anni, anche per le residue resistenze degli islamisti ceceni (26 agosto 1999-16 aprile 2009). Una guerra dove si sono consumate efferatezze da entrambe le parti, condannate dalla comunità internazionale.
Putin replicherà un certo interventismo anche in Siria, mitigando l’avanzata dell’ISIS. “Ma tutto questo Alice non lo sa“. Putin si rivelerà anche fondamentale per la transizione della Russia uscita dalle macerie dell’Urss, ripristinando i valori cristiani, il simbolismo degli zar, ma anche evitando che le ricchezze del paese finissero in mano a pochi, come già stava accadendo. Certo, non mancheranno metodi poco democratici, ma è il prezzo da pagare affinché non tutto vada in malora.
Il reddito medio dei russi tornò a salire, così come la fiducia verso il futuro. E chiudiamo con un’altra frase tipica di Putin:
Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore