Da Nike a Starbucks: le aziende punite per il loro attivismo LGBTQI+

Da Nike a Starbucks: le aziende punite per il loro attivismo LGBTQI+

Sono tante le aziende che stanno pagando il proprio attivismo in favore del movimento LGBTQI+, non accettato dai propri clienti abituali.

Potremmo essere dinanzi all’inizio di un clamoroso dietrofront per le aziende impegnate nelle campagne pro LGBTQI+. Sigla che incorpora tanti generi, i quali ormai sono una trentina. Un attivismo lodevole, sebbene forse più spinto da esigenze di marketing.

Infatti, tra crolli in Borsa e drastiche riduzioni delle vendite, cominciano a essere tanti i casi di questo fenomeno. Almeno in America.

Ultimo caso quello della Bud, nota azienda produttrice di birra. Ma la lista comincia a essere lunga e coinvolge tanti marchi noti.

Il caso Bud e Dylan Mulvaney

Come riporta il sito di Nicola Porro, il trans Dylan Mulvaney (che vanta 1,8 milioni di follower su Instagram e 10,8 milioni su TikTok) ha pubblicato un video mentre beveva la Bud Light, che da sempre detiene lo scettro di birra più venduta negli Stati Uniti. O, almeno, deteneva.

Lo scopo, ovviamente, è quello di sensibilizzare i consumatori sul mondo Lgbtqi+, cercando ovviamente di attirare il nuovo segmento di mercato rispetto al bacino da cui attinge l’azienda, prevalentemente uomini etero.

Tuttavia, a forzare la mano si finisce sempre per ottenere l’effetto opposto: il marchio di birra ha visto calare di quasi un quarto la sua quota di mercato negli States (con il titolo che è arrivato a perdere fino al 20 per cento) dopo l’annuncio del produttore che, anche quest’anno, sarebbe stata tra gli sponsor del Gay Pride. La Bud ha anche perso il primato di birra più venduta d’America.

Per correre ai ripari, la Bud ha proposto ai consumatori uno sconto di 15 dollari sull’acquisto di una confezione da 15 birre. l’ex presidente della sezione vendite e distribuzione di Anheuser-Busch, Anson Frericks ha così commentato quanto sta accadendo in una intervista al Daily Mail:

Una birra che prima era di tutti e ora è di nessuno

Ha poi lanciato una vera e propria invettiva contro l’attuale Ceo di Bud Light, Brendan Whitworth:

Dovrebbe andarsene prima di fare ulteriori danni a un brand che ha già perso miliardi di dollari sul mercato

Le aziende che stanno perdendo per le loro campagne LGBTQI+

Come dicevamo, la lista comincia a essere lunga e coinvolge tanti marchi noti. Kohl’s, Walmart e Target, tre delle maggiori catene di magazzini negli Usa, sono finite nel mirino del “boicottaggio” dei consumatori americani. Quest’ultima, addirittura, ha visto anche molti negozi vandalizzati, oltre ad aver subito gravi perdite dei valori delle sue azioni.

Altri brand che stanno subendo lo stesso contraccolpo sono Nike, Mars e la compagnia aerea SouthWest. A ciò, si aggiungono i casi di Lego, Starbucks ed il gruppo VF Corp, che contiene al suo interno brand altrettanto noti come North Face e Timberland.

In Italia si ricorderanno le polemiche innescate diversi anni fa dalle prime pubblicità in favore delle coppie gay da parte di Ikea. Tuttavia, Ikea ha ancora un mercato fiorente, anche in altri paesi europei. Forse siamo più tolleranti di quanto chi oggi è al governo vuol farci credere.

Le campagne LGBTQI+ si ritorcono anche contro il Barcellona

Anche nel calcio si risentono i boicottaggi per le campagne LGBTQ+. Come riporta Il Primato Nazionale, l’Fc Barcellona, in 48 ore si è visto diminuire il proprio bacino di utenti Instagram di 440mila unità dopo essersi posizionato in favore del mese del Pride pubblicando la classica parata di bandiere Lgbtqi+. Nella settimana precedente lo stesso account viaggiava a una media di 35.909 follower in più al giorno.

Peraltro, la parata di bandiere, guarda caso, è stata “scrupolosamente vietata sui profili in arabo della società. Segno che la campagna di sensibilizzazione va bene, ma entro certi limiti. Peccato però che abbia pagato ugualmente dazio.

Anche la Disney viene spesso criticata per come sta stravolgendo i suoi classici al fine di renderli più allineati alle nuove istanze sociali. Il caso della Sirenetta di colore o di Trilly nero gay sono uno dei tanti. E molti hanno pure disdetto l’abbonamento a Disney+.

Insomma, va bene sensibilizzare contro le violenze e le discriminazioni, ma la tua clientela abituale va rispettata. Perché poi ti fa pagare incoerenze, finzioni e furbizie.

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Pubblicato da Valeria Marano

Appassionata di Gossip e curiosità.

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