Gas americano in sostituzione del gas russo: costi e limiti, conviene?

Gas americano in sostituzione del gas russo: costi e limiti, conviene?

Introduzione

L’Italia sta cercando disperatamente di sostituire il gas russo con quello di altri paesi. La forte dipendenza accumulata in questi anni nei confronti della Russia anche rispetto ad altre materie prime, ci sta mettendo e ci metterà in serie difficoltà. Eppure, i nostri governanti, pur di seguire l’America come al solito, va contro i propri interessi.

Tra le alternative che si stanno cercando di costruire, guarda caso, proprio il gas americano. Gli Stati Uniti hanno fiutato come sempre l’affare e, con il solito modus operandi, si mascherano da liberatori per perseguire i propri interessi. Ovvero, piazzare nuove basi militari in giro per il mondo e rendere gli altri paesi loro dipendenti.

Ma quanto ci costa il gas americano? Conviene utilizzare il gas americano? Non proprio, per vari motivi. Vediamo quali.

Gas americano cos’è e come funziona

In cosa consiste il gas americano? Come riporta Il Corriere della sera, LNG È il gas naturale che viene raffreddato fino a portarlo allo stato liquido a circa 126 gradi sotto lo zero, in modo da agevolarne la conservazione o la spedizione via nave.

Il volume del gas naturale allo stato liquido è circa 600 volte inferiore a quello trasportato via pipeline. La liquefazione rende possibile trasportare il gas in luoghi non raggiunti dalle pipeline. Il gas estratto dai giacimenti viene condotto a un impianto di liquefazione localizzato su una costa, liquefatto, trasferito su una nave metaniera e trasportato fino a un impianto di rigassificazione, anch’esso su una costa, per poi essere distribuito lungo la rete ai consumatori. Attualmente al mondo sono in funzione circa 650 navi metaniere.

Grazie alla rivoluzione tecnologica dello “shale gas”, gli Stati Uniti sono il maggior produttore di gas mondiale con circa mille miliardi di metri cubi l’anno, seguiti da Russia e Iran.

Nel 2021 hanno esportato 188 miliardi di metri cubi di gas, di cui 87 via terra a Canada e Messico e 101 sotto forma di gas naturale liquefatto, appunto Lng (liquifeid natural gas). I piani degli Stati Uniti sono estremamente ambiziosi: entro la fine del 2022 il Paese diventerà il maggior esportatore mondiale di Lng (a quota 120 miliardi di metri cubi) sorpassando i leader attuali del ranking, ovvero Australia e Qatar.

La stima è che nel 2024 abbiano una capacità di esportazione fino a 170 miliardi di metri cubi. Ritmi impressionanti di crescita che dovranno però essere sostenuti da un parallelo incremento delle riserve. La maggior parte di questi quantitativi sono però legati a contratti di lungo periodo con le controparti. Resta comunque una quota “libera” per soddisfare le vendite spot.

Gas americano costi

Quanto ci costa il gas americano? Stime precise non ce ne sono. Nell’accordo Usa-Ue si dice che i prezzi delle forniture di Lng all’Ue dovranno riflettere i fondamentali di lungo termine del mercato, la stabilità tra la domanda e l’offerta, e che questa crescita sarà coerente con obiettivi condivisi di emissioni net zero.

Secondo l’accordo (che è politico e non commerciale) «la formula del prezzo dovrebbe tenere in considerazione l’Henry Hub Natural Gas Spot price ed altri fattori stabilizzanti». L’Henry Hub è la piattaforma di riferimento del gas americano, che ha prezzi storicamente inferiori a quelli della piattaforma olandese TTf. Ma il riferimento ai suoi prezzi non è però obbligatorio — ha spiegato una fonte qualificata Ue — e l’aspetto che dovrebbe rendere interessante per le compagnie statunitensi vendere all’Ue il gas è la prospettiva di una domanda stabile nel lungo termine. I contratti a lungo termine hanno sempre prezzi inferiori rispetto ai contratti spot.

Nella dichiarazione, inoltre, si insiste che il prezzo deve essere «accessibile», ma a patto che si stipulino contratti lunghi.

Più precisamente, come riporta Open, Il presidente Usa Joe Biden e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, infatti, hanno già annunciato 15 miliardi di metri cubi in più di gas a partire da quest’anno per poi arrivare ad almeno 50 miliardi all’anno fino al 2030.

Questo comunque non basterà, e i russi lo sanno bene al punto da essere convinti che nessuno riuscirà a troncare i rapporti con Mosca per il gas nonostante gli annunci della Germania che – sostiene – non dipenderà più dalla Russia entro il 2024.

L’obiettivo finale, ma ancora lontano, resta quello di stabilire un tetto europeo al gas, escludendo Spagna e Portogallo che potranno fissare un loro tetto nazionale. Ora sarà la Commissione, su input dei leader Ue, a dover presentare nuove proposte a maggio su un possibile limite ai prezzi del gas. Insomma, si prende tempo visto che molti Stati Ue hanno detto chiaramente di non essere d’accordo. Sulle soluzioni necessarie a contrastare i rincari, infatti, hanno già protestato Germania e Olanda. Paesi che ormai da tempo fanno la voce grossa, parlando in modo unanime. Lo hanno fatto spesso contro di noi e anche per opporsi all’ingresso immediato dell’Ucraina nell’Ue.

Numeri alla mano, solo nel 2021 dalla Russia sono arrivati nell’Ue 155 miliardi di metri cubi di gas, cioè il 45 per cento dell’import totale di gas. Con l’accordo con gli americani, si punta a tagliare almeno di 50 miliardi di metri cubi.

Non sarà semplice né veloce. Il Paese che importa di più è la Germania, seguita dall’Italia: rispettivamente 43 miliardi (ovvero il 51 per cento dell’import) e 29 miliardi (40 per cento dell’import).

Insomma, per risparmiare, dovremmo stipulare contratti molto lunghi.

Gas americano: i rischi per l’Italia

Tutto parte da come funziona il GNL americano. Come riporta LaRepubblica, il Gnl viene liquefatto al punto di partenza: il processo chimico-fisico prevede che la materia prima venga “compressa” fino a 138 volte per stivarne il più possibile nelle navi gasiere che poi viaggiano verso la destinazione finale. Qui, il metano viene lavorato nei rigassificatori per tornare al volume originale e immesso nella rete locale.

A livello europeo, il numero di rigassificatori potrebbe anche essere sufficiente, sono una ventina (di cui due in Turchia allacciati alle reti del resto d’Europa). Il problema è che sei di questi si trovano nella penisola iberica (5 in Spagna e 1 in Portogallo) e sono mal collegati con il resto del continente: tra Spagna e Francia c’è solo un tubo che ha una portata molto limitata. Da tempo, i principali operatori europei (tra cui l’italiana Snam) hanno rilanciato l’idea di un nuovo gasdotto che potrebbe essere finanziato con i fondi Ue. Tempo occorrente per la sua realizzazione: circa tre anni.

Da parte sua, l’Italia dispone di tre rigassificatori (che si trovano a La Spezia, Livorno e Rovigo), avendo in questi anni anche queste strutture incassato l’ostruzionismo degli ambientalisti. Sono sufficienti per accogliere fino a 28 miliardi di metri cubi di gas, che corrispondono a quanto è giunto in Italia dalla Russia, al punto di ingresso del Tarvisio dove finisce il percorso dei tubi che partono dalla Siberia? La risposta è negativa, visto che al momento lavorano già al 70-75% della loro capacità e solo Rovigo è un impianto di grandi dimensioni: l’anno scorso ha lavorato 9,8 miliardi di metri cubi, mentre Livorno 2 miliardi e La Spezia 1,5.

Sulla carta, altri due rigassificatori potrebbero essere realizzati nell’arco di un triennio a Gioia Tauro e a Porto Empedocle, dove sono già stato individuati i siti e l’iter burocratico è al momento sospeso. Ma potrebbe essere più breve un’altra strada a cui stanno lavorando Eni e Snam: acquistare due navi gasiere trasformabili in rigassificatori da ancorare al largo delle coste vicino a due porti ancora da individuare, con la possibilità di lavorare fino a 5 miliardi di metri cubi all’anno.

L’Italia, non deve solo guardare ai problemi che potrebbero essere risolti da qui ai prossimi 2-3 anni. Ma deve avere un piano anche nel breve periodo, soprattutto guardando a soluzioni strutturali. Per questo diventa fondamentale il progetto di stoccaggi comuni a livello europeo, di cui si sta già discutendo a Bruxelles. E proprio ieri la Ue ha stabilito che gli stoccaggi dei singoli paesi dovranno essere pieni al 90% della capacità entro il prossimo primo novembre.

L’altra soluzione nel breve è diminuire la quantità di gas utilizzata per produrre energia, per esempio accelerando i progetti per le rinnovabili: solo in Italia ci sono in cantiere 85 miliardi di investimenti in eolico e solare che potrebbero sostituire il 20% delle importazioni totali di gas. Così come sarà inevitabile ricorrere alle centrali a carbone, così come ha fatto la Germania, per quanto il 55% della materia prima utilizzata in Europa provenga proprio dalla Russia. Ma, come nel caso del petrolio, è più facilmente sostituibile, visto che i paesi fornitori non mancano.

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