Sanremo, quando Totò si dimise da presidente in polemica con la Giuria

Sanremo, quando Totò si dimise da presidente in polemica con la Giuria

Vediamo perché Totò diede le dimissioni da presidente della Giuria di Saremo nel 1959, tramite la lettera che inviò al settimanale OGGI.

Questa sera si terrà la settantaquattresima edizione del Festival di Sanremo, che andrà in onda come sempre su Raiuno fino a sabato 10 febbraio. E qui riportiamo un aneddoto che riguarda il grande Totò relativo alla kermesse ligure.

A condurlo, per la quinta edizione consecutiva, ancora Amadeus. Il quale, dopo essere stato defenestrato dalla Rai alcuni anni fa, di recente è tornato in auge con la conduzione di vari programmi. Tutto sommato anche meritatamente, essendo simpatico e spigliato.

Il Festival di Sanremo è fatto anche di polemiche, anzi, ormai da anni, soprattutto di quelle. Dato che la musica è ormai sempre più marginale, sacrificata all’altare del circo mediatico che ci gira intorno.

E già nel 1959 accadeva ciò. Basti pensare che il grande Totò si dimise da Presidente della Giuria, tuonando, in una lettera inviata al settimanale OGGI: “Non faccio l’uomo di paglia per Sanremo“. Ecco perché.

Perché Totò si dimise da Presidente della Giuria di Sanremo

Come spiega il sito dedicato al Principe della risata Antonio De Curtis, Totò nel 1959 appena ripresosi dalla malattia che lo aveva colpito agli occhi fu invitato dagli organizzatori del Festival di Sanremo a presiedere la commissione giudicatrice, avente il compito di scegliere le canzoni da ammettere alle fasi finali del festival.

Il grande artista accettò ma rifiutando il gettone di presenza giornaliero allora previsto, pari a 50mila lire. Una cifra non di poco conto, visto che rappresentava lo stipendio medio di quel periodo.

Tuttavia, decise di abbandonare il Festival in polemica col fatto che, una
canzone da lui molto apprezzata dal titolo “Parole” fu scartata. Poi spiegò le sue ragioni in una lettera come detto inviata al settimanale OGGI, pubblicata in un articolo del 24 dicembre. Della quale di seguito riportiamo solo alcuni estratti significativi (ma che troverete per intero al link della fonte).

La lettera al settimanale OGGI

Totò già fa capire i meccanismi alla base del Festival, fin dalle prime edizioni:

Quando mi offrirono la presidenza della commissione esaminatrice, fui seriamente tentato di rifiutare. Conoscevo troppo bene l’ambiente del Festival per non sapere che rischiavo di andare incontro a discussioni, proteste, iniinicizie o, in una parola, a un’infinità di grane. Alla fine, purtroppo, cedetti alle insistenza del mio carissimo amico Radaelli, e accettai.

Poi parla del ruolo che andava a rivestire:

A questo punto vorrei sottolineare una cosa: esistono presidenti onorari e presidenti effettivi. Gli uni possono attribuire alla loro carica un valore puramente simbolico, gli altri no. Un presidente effettivo ha il dovere di dirigere i lavori dell’organizzazione di cui è a capo, e ciò significa che egli deve equilibrare i pareri discordi, mantenere una determinata linea, far pesare la propria autorità sulla bilancia delle decisioni. Altrimenti, a che serve nominarlo?

Comunque stiano le cose, però, io mi rifiuto di ammettere che il presidente di una commissione come quella del Festival possa essere considerato una figura decorativa o, peggio ancora, un fantoccio.

Poi specifica perché sosteneva la canzone Parole:

Mi riservavo di intervenire solo in caso che la mia azione fosse indispensabile, e questo caso si verificò all’ultirno scrutinio. lo ero del parere che Parole – una delle ventisette canzoni – dovesse figurare fra le prescelte e insistetti perché la commissione accettasse il mio giudizio (giudizio che, non bisogna dimenticarlo, era quello di un uomo che da 38 anni vive a diretto contatto col pubblico). La commissione non volle tener conto del mio parere e me lo dimostrò in maniera tale da farmi credere che il suo atteggiamento suonasse sfiducia a me, come presidente.

Che altro potevo fare, se non abbandonare la seduta? lo non sostenevo – si noti – che Parole fosse più bella o più valida di altre canzoni. Ero solo convinto (e lo sono tuttora) che essa era, sotto ogni aspetto, degna di concorrere al Festival, e questa convinzione – mi sia consentito di ripeterlo – deriva da un’esperienza di cui non si poteva non tenere conto. La musica della canzone è tale da far presa sul pubblico; le parole (e questo è un elemento importante in un periodo in cui la gente è stanca di sentir rimare cuore con amore ) si staccano da quelle tradizionali, ormai trite. Insistendo perché la canzone venisse inclusa fra le prescelte, ritenevo di dare il mio contributo ai lavori della commissione, di giustificare la mia carica.

Spende anche belle parole per gli autori del brano, che non conosceva ancora

Inutile aggiungere che io non sapevo chi fossero gli autori del testo e della musica di Parole. Ora che me ne hanno rivelati i nomi – Maresca e Falpo – posso dichiarare di non averli mai conosciuti personalmente e di non aver mai avuto a che fare con loro. Mi dicono che Maresca è un esordiente e che Falpo ha invece al suo attivo alcuni successi. Ma l’ho saputo soltanto dopo, e spero che il mio disinteresse nell’intera vicenda sia più che evidente. Auguro a Maresca e Falpo successo, dinanzi a quel giudice inappellabile che è il pubblico. Quanto a me, sono sinceramente dispiaciuto dell’incidente.

Infine, il pentimento per aver accettato nonostante impegni e problemi di salute

Non dovevo accettare. Oltre a tutto, avevo molti impegni e molti guai con l’abbassamento della mia vista, che non è stato uno scherzo.

La domanda ora sorge spontanea: quanti oggi rinuncerebbero a un emolumento? Quanti si dimetterebbero in caso di divergenze? Ora ci tocca un mese di Festival, inevitabile. Perché anche se non lo guardi, comunque se ne parla sui Social, sui siti, tra la gente. E la coda dura molto.

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Pubblicato da Valeria Marano

Appassionata di Gossip e curiosità.

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