Tomas Milian: la tragedia poco nota vissuta dal cubano de’ Roma

Tomas Milian: la tragedia poco nota vissuta dal cubano de’ Roma

Il nome Tomás Quintín Rodríguez ricorderà poco a molti. Ma se diciamo Tomas Milian, allora alla mente di tutti sovverrà quel mitico personaggio di molti spaghetti western e poliziotteschi prodotti a cavallo tra gli anni sessanta e ottanta. Reso inconfondibile anche per lo straordinario doppiaggio di Ferruccio Amendola, come noto doppiatore di tanti grandi attori di Hollywood: Robert De Niro, Sylvester Stallone, Dustin Hoffman, Al Pacino e Bill Cosby.

Tomas Milian lo ricordiamo soprattutto nei panni di due personaggi:

  1. Nico Giraldi, maresciallo (dal 1981 ispettore) di polizia, romano dai modi poco garbati, ma efficaci, che conosce bene gli ambienti malavitosi avendone fatto parte in gioventù con il soprannome di “er Pirata”;
  2. Sergio Marazzi alias er Monnezza, ladruncolo romano, ispirato a Quinto Gambi, romano conosciuto al Piper, che insegnerà a Milian tutti i gesti del borgataro romano, che per la forte somiglianza sarà la sua controfigura ufficiale in una ventina di pellicole. Ironia della sorte, Quinto (nato a Roma nel 1939) morirà sempre nella capitale giusto quasi otto mesi dopo Milian. Come se i due avessero vissuto fino alla fine in simbiosi.

Mitico il sodalizio con Bombolo, col quale formò un duo esilarante (della storia di Bombolo abbiamo parlato qui).

Tomas Milian nacque a L’Avana, capitale di Cuba, il 3 marzo 1933, e morì a Miami il 22 marzo 2017. Oltre che attore, è stato anche sceneggiatore e cantante, con cittadinanza statunitense e naturalizzato italiano dal 1969.

Se molti conoscono la sua biografia e i suoi film, in pochi conosco la sua tragica infanzia.

La storia di Tomas Milian

Come riporta Wikipedia, fuggito da una Cuba turbolenta e stabilitosi negli Stati Uniti definitivamente nel 1957 ottenendo la cittadinanza, riesce subito a inserirsi nel mondo del cinema e a partecipare alla serie televisiva statunitense Una donna poliziotto (Decoy).

Due anni dopo giunge in Italia con soli cinque dollari in tasca ma anche qui la carriera sarà fulminea: recitò una pantomima di Jean Cocteau e venne individuato e scelto dal regista Mauro Bolognini per il personaggio di un film che aveva intenzione di girare: La notte brava (1959). Milian firma un contratto che lo lega alla Vides di Cristaldi per tutti gli anni ’60, lavorando con vari registi, tra i quali il grande Luchino Visconti (nell’episodio di Boccaccio 70, Il lavoro).

Contrariato dal doppiaggio, insoddisfatto dei ruoli e dei guadagni, non rinnova il contratto e tenta la strada del cinema popolare. Diventerà così protagonista di vari film del genere spaghetti-western, dove renderà indimenticabili i personaggi di “Cuchillo” e di “Chaco“.

Negli anni ’70 sarà protagonista soprattutto dei poliziotteschi, nei ruoli suddetti. Non mancheranno anche incursioni nella commedia sexy, molto in voga in quel periodo, così come ritorni nel genere drammatico, dove aveva esordito: si pensi a La luna (1979) di Bertolucci e Identificazione di una donna (1982) di Antonioni. Mostrando quindi una grande versatilità tra generi diversi.

Non manca nel suo curriculum anche una parallela carriera musicale, creando la Tomas Milian Group, composta da sei giovanissimi romani, tra i quali Ray Lovelock. Pubblicheranno alcuni singoli, ma non sfonderanno mai davvero. Fu anche ospite d’onore ne Il canzoniere minimo di Giorgio Gaber e interpretò alcune sigle, oltre a Ay Amor di Caetano Veloso in Washington Heights.

Nel 2005 fu anche proposto un remake, Il ritorno del Monnezza, diretto da Carlo Vanzina, dove a interpretarlo fu Claudio Amendola. Il quale, pur aiutato dalla romanità naturale di quest’ultimo, non riscosse particolare successo. Visto più come una dissacrazione.

Nel 2014 la sua figura in Italia torna fortemente in auge: sarà prima protagonista del documentario biografico The Cuban Hamlet – Storia di Tomas Milian, dove ritorna a Cuba da cui mancava dal 1956. Poi uscirà, dopo una lunga gestazione, un libro biografico: Monnezza amore mio. Infine, sarà insignito del Marc’Aurelio Acting Award alla carriera alla Festa del Cinema di Roma. Del resto, l’attore non ha mai nascosto il suo amore viscerale per la capitale.

La tragica infanzia di Tomas Milian

Tomas Milian raccontò che il 1933, l’anno della sua nascita, corrispose anche con l’inizio dei problemi per il padre. Come riporta Linkiesta, Emiliano Rodríguez era infatti un generale che rivestiva un ruolo importante nel governo del dittatore Gerardo Machado. Quest’ultimo però si diede alla fuga quando Fulgencio Batista, un sergente, si era appena autonominato colonnello e capo della rivoluzione.

Il padre lo disprezzava profondamente e al piccolo Tomas lo diceva continuamente. Del resto quell’uomo, stimato militare, aveva assistito a scene indicibili: commilitoni appesi ai lampioni o carbonizzati in roghi di piazza. Fulgencio Batista lo aveva risparmiato, forse più per pigrizia che per reale pietà.

Del resto, Rodriguez insieme ad altri gerarchi stavano tentando a loro volta di ribaltare Batista, ma furono stanati all’Hotel Nacional, che fu squarciato a colpi di cannone. Suo padre però era ormai morto dentro. Diventò claustrofobico e, dopo molte notti di delirio, trascorse a gridare come se lo stessero spellando vivo, decise di farla finita, piantandosi un rompighiaccio in gola. Ma fu salvato in extremis e portato in una clinica psichiatrica. Finì a fissare il vuoto in un bungalow isolato, sotto stretta sorveglianza medica, per altri cinque anni.

Ne uscì logoro, senza gradi, nessun prestigio, i beni tutti confiscati. Sua sorella gli affidò una finca piena di bestiame, nei campi intorno a L’Avana. Con la morte nel cuore, l’ex capitano sembrò rassegnarsi a spalare letame e spargere mangimi per galline e maiali. Ma sfogava anche la sua repressione verso il piccolo Tomas, che finì per esserne terrorizzato e crescere tra tante fobie.

Ma si trattava anche di violenza fisica, oltre che psicologica, a colpi di cinghiate. Cinghiata dopo cinghiata, finì col rannicchiarsi in un mondo interiore, rifugiandosi nei cinema dell’Avana. Si innamorò della piccola Shirley Temple, vittima a suo modo anch’ella degli adulti (ne abbiamo parlato qui). Per poi provare grande ammirazione per Barbara Stanwyck e Doris Day. Ma stimava anche attori maschili, come James Cagney e Humphrey Bogart.

Tomas Milian così capì che quel mondo poteva liberarlo dai fantasmi e così imitava, nel garage di casa, insieme alla paffuta sorella Stanlio e Olio, diventati in una improbabile versione cubana Stanito e Olita. Poi insieme ai cugini imitava i grandi statisti di quegli anni: Roosevelt, Churchill, la sorella Mussolini, mentre lui imitava Adolf Hitler, sebbene nella versione grottesca chapliniana. Cosa che il padre non apprezzava, sgridandolo.

Poi arrivarono quei tragici 12 anni: il padre fu tenero con lui per la prima volta, tenendolo sulle ginocchia. Tenne un sermone di fine anno a casa dei nonni in un tono dolentemente inedito. Era infatti il 31 dicembre 1946. Poi era rimasto in disparte a parlare con la madre, la quale poco dopo si allontanò, col viso rigato dalle lacrime, come se avesse ricevuto una notizia tragica. L’ex colonnello si avviò così nella sua stanza, dopo qualche istante interminabile durante il quale era rimasto impietrito.

Il piccolo Tomas decise di seguirlo e qui lo vede compiere un gesto estremo: estrasse dalla fondina la calibro quarantacinque automatica d’ordinanza e la puntò al petto.

Con quello sparo moriva un soldato e nasceva un attore

commenterà anni dopo, intervistato sull’ennesimo set: Traffic, regia di Steven Soderbergh (2000). L’annuncio della morte del padre agli altri familiari, in quell’indimenticabile capodanno, fu in fondo anche la sua prima prova d’attore: doveva mostrarsi freddo, lucido. Ironia della sorte, lo stesso Batista sarà destituito in un capodanno di 13 anni dopo.

In fondo, quel dittatore aveva trasformato suo padre nella causa di tutti i suoi mali. Ma forse, anche in quello straordinario attore che tanti di noi abbiamo amato.

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