Perché l’Argentina è sempre in crisi? C’era una volta un paese ricco

Perché l’Argentina è sempre in crisi? C’era una volta un paese ricco

Vediamo la storia economica dell’Argentina degli ultimi 100 anni per capire i motivi perché è sempre in crisi.

Perché l’argentina è sempre in crisi? Un tempo si diceva “ricco come un argentino“. Un modo di dire che la dice lunga su come se la passasse bene l’Argentina un tempo, nemmeno troppo lontano. In fondo, fino agli anni ’70 del secolo scorso era un paese economicamente forte, tra i più benestanti del pianeta.

Poi qualcosa è cambiato e basta guardare le tante recessioni economiche che ha subito dagli anni 2000 e che hanno portato al potere un ultraliberista come Javier Milei, fuori dagli schermi e anti-establishment (lo abbiamo presentato qui). Tanto da essere stato ribattezzato il “Trump argentino“, il “Bolsonaro argentino” ma anche, guardando in casa nostra, “il Grillo argentino“. Il quale ha promesso politiche choc per scuotere il suo paese.

Oggi l’Argentina sta messa molto male. Il debito pubblico è al 142,7% e il 40% della popolazione è povero. Le esportazioni sono calate di un quarto ed è crollata la produzione agricola a causa degli effetti devastanti della siccità. A peggiorare le cose anche quanto abbiamo vissuto dal 2020 al 2022. Tantissimi poi i disoccupati.

Ma cerchiamo di capire perché l’Argentina è sempre in crisi da decenni e non riesce a uscirne.

Argentina, paese un tempo ricco

Il sito Sbilanciamoci ha dedicato alla storia economica dell’Argentina un ottimo approfondimento, che qui riportiamo negli aspetti principali, mentre per l’articolo completo rinviamo qui.

Senza andare troppo indietro, da inizio ‘900 fino alla Seconda guerra mondiale, l’Argentina ha sviluppato un modello economico fortemente agro-esportatore (presente ancora oggi) che, facilitato dagli alti prezzi delle materie prime a livello mondiale, riusciva ad ottenere ingenti entrate che lo hanno portato ad accumulare grandi rendite finanziarie. Non a caso, veniva chiamato “il granaio del mondo“. Si consolida in questi anni una solida oligarchia terriera, non ben vista dai movimenti populismi poiché intesa come sfruttatrice e individualista.

Dalla Seconda guerra mondiale in poi, grazie alle politiche di Perón che inizia il suo primo mandato nel 1946, si riesce ad affiancare alla solida economia rurale anche un modello industriale, tanto che si parla di “Stato sociale industriale”. Arrivando in alcuni anni perfino alla piena occupazione.

Non mancano però accuse a Perón, secondo le quali quest’ultimo usava i poveri immigrati europei (tra cui molti italiani che hanno creato una solida comunità nel paese) in cambio di un “piatto di lenticchierubando loro la libertà.

Fatto sta che la povertà si ridusse notevolmente e si misero le basi per la creazione di una classe media industriale.

Dagli anni ’70 l’Argentina patisce il liberismo incalzante

L’inizio anni ’70 è uno spartiacque per la storia economica argentina. Con il “keynesianismo” in crisi a livello mondiale e con l’ascesa della globalizzazione economica, si installa il nuovo liberismo che presenta tratti finanziari tali da mettere in ginocchio il Paese e distruggere l’impresa nazionale.

Prende vita così il processo di finanziarizzazione dell’economia argentina che va di pari passo con quello della deindustrializzazione. Si ricercano finanziamenti esterni, senza però un piano di sviluppo strategico interno, il che che portò il PIL industriale a una caduta di 14 punti alla fine degli anni ‘90 e a un’inflazione del 3.000% nell’89.

Per attrarre capitali esteri, si liberalizzano le politiche finanziarie che non dipendono piú da politiche nazionali (dalla Banca Centrale per intenderci ma dalle banche private) e i tassi di interesse attivi sui risparmi arrivano ad avere un 50% di rendimento l’anno in dollari USA. Per far fronte a tali rendimenti le banche chiedono alti tassi alle piccole e medie imprese locali senza potere di negoziazione, che a loro volta caricano tali costi sui prezzi dei beni. Si innesca così un effetto domino, che porta molte piccole e medie imprese al fallimento o a un passo.

A poco a poco la logica dei capitali finanziari erode e smantella la capacità produttiva, infatti solo il 35% degli investimenti che entravano era destinato alla produzione, il resto era usato per comprare azioni e rivenderle per ottenere utili. Negli anni ’90 falliscono migliaia di piccole medie imprese locali fagocitate dalla logica della finanza e si privatizzano le bandiere nazionali svendendole. Proprio quanto accaduto anche nel nostro paese.

Le entrate, nella bilancia dei pagamenti, dalle esportazioni di materie prime e semilavorati, si riducono notevolmente a causa della caduta dei prezzi a livello mondiale a causa della globalizzazione economica che già si sta affermando.

Il Nuovo Millennio, tra kincherismo e neoliberismo

L’Argentina arriva così indebolita al Nuovo Millennio e la crisi finanziaria mondiale del 2001 innescata dall’11 settembre non poté che peggiorare le cose: un’indigenza di massa, praticamente inesistente prima degli anni ’90, e un aumento vertiginoso dei dati della povertà, che passa in pochi mesi, dal maggio del 2001 a dicembre dello stesso anno, dal 32,7% al 54,3%.

Fallirono circa 10.000 imprese in tutto il Paese, e al 2002 si fece registrare un tasso di disoccupazione del 21,5% seguendo un andamento crescente dal ’99 di 6 punti percentuali. La sottoccupazione arrivò ad essere del 40%. Si polarizza la ricchezza e cresce la sua disuguaglianza distributiva: l’indice di Gini si assesta infatti su valori del 0,551 nel maggio 2002.

Nasce, di fatto, un fenomeno inedito per l’Argentina, che è stato definito “la povertà di massa della classe media”. E quindi si mette in discussione il modello democratico, con manifestazioni continue, spesso violente. Nascono inoltre i piqueteros, che altro non sono che assemblee di quartiere che danno una nuova visione e forza al “movimentismo sociale” che abbraccia tutti gli ambiti della vita pubblica.

Nel 2003 avviene l’ascesa del kirchnerismo, che durerà ben 12 anni. Il quale riprende i postulati socialisti di Hegel, Gramsci, nonché la “nuova ragione populista” di Ernest Laclau, che rimette al centro il ruolo dello Stato. Ma ciò creerà una spaccatura nel paese, rispolverando la vecchia dicotomia tra oligarchia terriera e classe media vigente durante gli anni d’oro del dopoguerra. Il Paese vive di nuovo un odio sociale.

Nel 2015, alla fine del kirchnerismo, si registrava ancora circa un 27% di povertà, praticamente ai livelli prima della crisi del 2001 e un minimo storico delle riserve della Banca Centrale. Per non parlare della corruzione dilagante.

L’Argentina passa così sul versante opposto, del neoliberismo selvaggio del governo Macri che non farà altro che indebitare enormemente il paese: il debito pubblico globale del Paese supererà 311 miliardi di dollari a metà 2019, oltre il 90% del prodotto interno lordo (PIL). A fine anno si dichiara il default selettivo perché si è incapaci di pagare alcune scadenze. La corruzione peggiora, la disoccupazione è grave, così come l’impoverimento generale.

I fatti sanitari avvenuti dal 2020 non hanno potuto fare altro che aggravare la situazione, arrivando alla situazione odierna. La ricetta di Milei, se si guarda indietro, rischia di non risolvere la situazione, ma di peggiorarla ulteriormente, se possibile.

Perché l’Argentina è sempre in crisi

Ecco, in sintesi, le ragioni per cui l’Argentina da anni ormai non riesce a uscire dalla crisi:

  1. l’assenza di un’economia produttiva competitiva che permetta una stabilità economica, come visto, distrutta a inizio anni ’70;
  2. l’esistenza di una dicotomia sociale forte che non permette di creare un piano di sviluppo per il Paese. La società è spaccata e lacerata profondamente e non riesce a realizzare un tessuto sociale resistente;

L’Argentina dovrà essere in grado di coniugare le libertà individuali e l’interesse generale, senza lasciare il Paese in balia di capitali finanziari slegati dalla produzione. Ma possiamo dire che questa situazione si è verificata un po’ in tutto l’Occidente, ove più ove meno. La speculazione finanziaria ha smembrato l’economia reale e il tessuto sociale, anche da noi.

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