Il muone a capo di una rivoluzione nella fisica delle particelle

Il muone a capo di una rivoluzione nella fisica delle particelle

DATA ULTIMO AGGIORNAMENTO: 24 Novembre 2023

Scoperto a sorpresa quasi un secolo fa, il muone si è rivelato una particella dall’importante passato e dall’elettrizzante futuro

Negli anni 30 del secolo scorso la nostra conoscenza delle particelle elementari (cioè, indivisibili) era piuttosto approssimativa: basti pensare che il protone e il neutrone (che insieme costituiscono il nucleo di un atomo) erano ancora annoverate tra queste e bisognerà attendere la fine degli anni 60 per la scoperta dei quark di cui si compongono.

All’epoca di vere e proprie particelle elementari, almeno stando alle nostre conoscenze attuali, ne erano note solo due, cioè l’elettrone (con la sua antiparticella, il positrone) e il fotone, mentre il neutrino era stato teorizzato, ma sarebbe stato scoperto solo negli anni 50.

I fisici rimasero dunque perplessi quando, nel 1936, fu scoperto il muone: in fondo, si trattava solo di una copia più massiccia e instabile dell’elettrone e non sembrava aggiungere niente alle conoscenze dell’epoca riguardo la materia, tanto che il futuro Premio Nobel I. I. Rabi famosamente esclamò: “E quello chi l’ha ordinato?”.

Eppure, a posteriori, la scoperta del bistrattato muone fu rivoluzionaria: non solo ci fece capire che esistono più generazioni di particelle, ma fornì un’importante dimostrazione della relatività di Einstein, ci consente di esplorare luoghi inaccessibili come antiche tombe (ne ho parlato qui) e in futuro potrebbe condurre a eccezionali progressi nella fisica sperimentale delle particelle.

Ma andiamo con ordine, partendo diligentemente dall’inizio.

Uno straordinario viaggio in mongolfiera

Correva l’anno 1912 quando il fisico e amante delle mongolfiere Victor Hess decise di unire le sue due passioni, portando con sé in uno dei suoi viaggi tra le nuvole un rilevatore di particelle. Il motivo derivava da un elettroscopio.

Un elettroscopio a foglie d’oro con capacità conduttiva. Credit: Setreset and Marco Angelucci/Wikimedia Commons

Come si può vedere dall’immagine sopra, si tratta di uno strumento piuttosto semplice, costituito da due sottili lamine metalliche connesse a un conduttore e racchiuse in un recipiente di vetro per isolarle.

Quando viene impartita una carica elettrica (positiva o negativa) al conduttore, le due lamine assumeranno una carica dello stesso segno (per un fenomeno detto induzione elettrostatica) e quindi si allontaneranno l’una dall’altra, per poi tornare ad avvicinarsi quando l’elettroscopio viene scaricato, ad esempio toccandolo con un dito.

Ma gli scienziati dell’epoca notarono una cosa strana: se lo strumento veniva lasciato a se stesso, si scaricava da solo col passare del tempo, tanto più velocemente quanto più esso era posizionato in alto.

Hess immaginò, quindi, che nell’alto dei cieli transitasse un vero e proprio “zoo” di particelle cosmiche, cariche sia positivamente che negativamente, in grado col tempo di neutralizzare qualunque carica fosse stata indotta nell’elettroscopio.

Per dimostrarlo, si costruì il suo personale rilevatore di particelle e salì su una mongolfiera, come ci racconta l’astrofisico e divulgatore scientifico Ethan Siegel su Big Think.

La nascita dell’astrofisica dei raggi cosmici

Anche lo strumento di Hess era piuttosto semplice: esso conteneva un campo magnetico, in grado di curvare e deviare le particelle cariche che ne venivano a contatto. In base alla curvatura e direzione delle tracce lasciate dalle particelle sul rilevatore, era possibile stabilirne la velocità e il rapporto tra carica e massa.

I suoi esperimenti furono un successo clamoroso, in quanto riuscirono a rilevare numerose particelle cosmiche, in pratica dando vita a una nuova branca scientifica: l’astrofisica dei raggi cosmici.

E arriviamo così al 1933, quando il fisico tedesco Paul Kunze, mentre lavorava coi raggi cosmici, scoprì una strana particella, con la stessa carica di un elettrone, ma decisamente più massiccia: il primo muone era stato finalmente osservato.

Da lì le scoperte si susseguirono rapidamente e appena tre anni dopo Carl Anderson (co-vincitore con Hess del Premio Nobel nel 1936) e Seth Neddermeyer riuscirono a identificare anche l’anti-muone.

Oggigiorno sappiamo che i muoni sono particelle piuttosto comuni: infatti, se puntiamo il palmo della mano verso il cielo, esso verrà attraversato da un muone (o anti-muone) circa ogni secondo. Ma, come detto, ciò che non è affatto comune è il loro contributo al progresso scientifico.

Il Modello Standard delle particelle elementari. Credit: Cush/Fermilab/Public Domain

Tre generazioni di particelle a confronto

Il Modello Standard delle particelle elementari è una delle opere scientifiche più importanti, in quanto classifica tutte le particelle conosciute, oltre a tutte le forze che si applicano ad esse (tranne la gravità, ma quella è un’altra storia).

Le particelle del Modello Standard sono divisibili in tre generazioni:

  • la prima, che contiene particelle stabili (come l’elettrone) e i loro opposti;
  • la seconda, che comprende particelle instabili (cioè, che decadono col tempo in altre particelle) e i loro opposti;
  • la terza, anch’essa composta di particelle instabili (come il tau) e i loro opposti.

In sostanza, le particelle di seconda e terza generazione possono essere viste come delle “copie” instabili e con massa crescente rispetto a quelle di prima generazione, che negli anni 30 del secolo scorso erano le uniche conosciute.

Il muone (e l’anti-muone) sono state le prime particelle di seconda generazione ad essere state scoperte, decenni prima che si iniziasse anche solo a pensare alla creazione del Modello Standard.

Il muone e la dilatazione del tempo

Ma il muone non è stato solo il precursore della divisione in generazioni delle particelle: come anticipato, anche la famosa teoria della relatività di Einstein ha beneficiato della sua scoperta, ricevendo un’ulteriore conferma.

Tipicamente i muoni vengono generati quando i raggi cosmici colpiscono l’atmosfera terrestre, a un’altitudine di circa 100 chilometri, e mediamente decadono in circa 2,2 microsecondi, dove un microsecondo equivale a un milionesimo di secondo.

Ora, se anche i muoni viaggiassero alla velocità della luce (il che è possibile solo per particelle senza massa), riuscirebbero a percorrere circa 700 metri prima di decadere. Ma noi riusciamo a rilevarli anche a livello del mare, cioè dopo che hanno viaggiato più di 100 chilometri: come si spiega questa enorme discrepanza?

La risposta è: grazie alla relatività e in particolare al fenomeno della dilatazione del tempo. In base a esso, particelle che viaggiano a velocità relativistiche (cioè, prossime a quella della luce) come i muoni percepiscono il passaggio del tempo molto più lentamente rispetto a un osservatore statico come l’essere umano.

All’alba della rivoluzione dei muoni

Per finire, anche il futuro del muone è estremamente promettente: grazie a esso, infatti, si potrebbero effettuare scoperte che nessun acceleratore di particelle attuale consente, nemmeno il famoso Large Hedron Collider (LHC) al CERN di Ginevra.

Lo scopo primario di un acceleratore è far scontrare particelle ad altissimi livelli energetici, indispensabili per indagare a fondo sulle dinamiche e la struttura della materia, dello spazio e del tempo.

Ci sono sostanzialmente tre fattori che determinano il livello energetico raggiungibile da un acceleratore di particelle:

  • la grandezza dell’anello dell’acceleratore (LHC detiene il record coi suoi 27 km);
  • la forza del suo campo magnetico, responsabile della curvatura delle particelle;
  • il rapporto tra carica e massa delle particelle che si fanno scontrare.

Quest’ultimo fattore merita un approfondimento. Particelle con troppa poca massa generano la cosiddetta radiazione di sincrotrone, che causa una dispersione d’energia: ecco perché solitamente vengono usati i protoni invece che gli elettroni.

Il problema è che i protoni sono delle particelle composite (di quark, come detto) e solo una piccola parte della loro energia totale finisce per partecipare alla collisione.

Ecco quindi che entrano prepotentemente in gioco i muoni, in quanto essi sono particelle elementari con una massa considerevole e quindi non presentano gli svantaggi né dei protoni, né degli elettroni.

Insomma, se un domani riuscissimo a costruire un acceleratore di muoni in grado di confinarli e accelerarli fino a raggiungere livelli energetici sufficientemente alti prima che essi decadano, si aprirebbe un nuovo mondo nel campo della fisica delle particelle.

Davvero niente male per una particella di cui nessuno sentiva il bisogno.

(Originariamente pubblicato su Storie Semplici)

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Pubblicato da Girolamo Castaldo

I miei interessi principali sono scacchi, sci, anime, manga, videogiochi, musica e (astro)fisica. Storie Semplici: http://storiesemplici.substack.com

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