Ricercatori olandesi mettono a punto dei meccanismi di attenzione predittiva in grado di ricostruire precisamente registrazioni cerebrali
Uno degli ambiti di ricerca più attivi e affascinanti nel campo dell’Intelligenza Artificiale (IA) è quello della ricostruzione dell’attività cerebrale di un essere umano o un animale: pensieri, suoni o immagini (ne ho già parlato, ad esempio, qui).
Di conseguenza, ci sono vari gruppi di ricercatori in giro per il mondo che studiano l’uso di sistemi basati sull’IA per l’analisi di registrazioni o scansioni cerebrali e uno dei più promettenti sembra essere quello coordinato da Umut Güçlü presso la Radboud University (Paesi Bassi).
Güçlü e colleghi si interessano particolarmente dell’aspetto visivo, avendo in precedenza impiegato la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da Functional Magnetic Resonance Imaging) per scansionare l’attività cerebrale di persone a cui venivano mostrate fotografie o quella registrata di un macaco a cui erano stati impiantati degli elettrodi (per altri scopi, non temete) mentre guardava immagini generate dall’IA.
Ora il gruppo ha analizzato nuovamente i dati ricavati dagli studi precedenti usando un’IA migliorata e i risultati sembrano strabilianti, come si può notare dal collage di copertina, in cui la prima riga è composta dalle immagini originali e la seconda da quelle ricostruite con l’IA (la terza, per confronto, è quanto ottenuto con la vecchia versione dell’IA).
Meccanismi di attenzione predittiva
Ma cosa ha portato a ottenere una ricostruzione così accurata e decisamente migliore rispetto alle precedenti, tanto che la terza e la seconda riga ricordano il “prima” e il “dopo” della pubblicità di una dieta dimagrante?
Il segreto sta tutto nel focus: in sostanza, durante la fase di allenamento dell’IA si fa in modo che essa impari a riconoscere su quali parti del cervello concentrare la propria attenzione, durante l’interpretazione dei segnali cerebrali.
Concretamente, i ricercatori hanno creato dei meccanismi di attenzione predittiva (PAM, da Predictive Attention Mechanisms) e hanno lasciato che essi “interrogassero” dinamicamente i dati in ingresso, in un contesto competitivo detto rete generativa avversaria (o GAN, da Gain Adversarial Network), che stimola il miglioramento delle prestazioni.
E a proposito di dati, le immagini originali (prima riga) sono state generate da un’altra Intelligenza Artificiale, StyleGAN-XL, e fatte osservare al macaco di cui sopra, le cui registrazioni cerebrali sono state poi date in pasto al sistema di IA coi nuovi meccanismi di attenzione.
Limiti attuali e obbiettivi futuri
E qui sorge il primo limite dell’applicazione: è più facile per un’IA (e quindi si ottengono risultati migliori) ricostruire immagini generate da un algoritmo di Intelligenza Artificiale piuttosto che reali, in quanto parte del processo di generazione può essere incluso nel programma di addestramento alla ricostruzione.
Inoltre, i test hanno fornito risultati di gran lunga più simili alle immagini originali quando l’attività cerebrale è stata registrata direttamente tramite invasivi elettrodi rispetto alle scansioni ottenute con l’fMRI, che sono sicuramente meno limpide (oltre al fatto che in quel caso sono state usate anche foto reali).
Insomma, è presto per cantare vittoria, ma i ricercatori sono comunque soddisfatti degli evidenti miglioramenti e puntano lo sguardo molto più in là: l’obbiettivo finale è, infatti, quello di realizzare impianti cerebrali di nuova generazione per restituire la vista.
Ad oggi le tecniche in merito si basano principalmente sulla presentazione di schemi luminosi ai non vedenti, ma l’ideale sarebbe quello di riuscire a stimolare direttamente sezioni di livello più alto del sistema visivo che rappresentano oggetti, così da creare un’esperienza visuale molto più ricca.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)