Ha cambiato nome ma non i ricatti: la Fiat chiede ancora soldi allo Stato

Ha cambiato nome ma non i ricatti: la Fiat chiede ancora soldi allo Stato

Stellantis chiede nuovi sussidi al governo per restare. Un vecchio vizio che apparteneva all’ormai defunta Fiat.

La Fiat ormai non esiste più da anni, diventata prima FCA (acronimo di Fiat-Chrysler, in un’operazione furba dell’ex Ceo Sergio Marchionne) e ora Stellantis, inglobata dalla Peugeot (a sua volta chiamata FDA). In effetti si va un po’ in confusione, in un gioco di scatole cinesi nel tentativo di sopravvivere e competere con gli altri colossi.

Oltre al continuo cambio di nomi, la Fiat ha pure traslocato la propria sede via dall’Italia, per emigrare ad Amsterdam e Londra per ragioni, inutile dirlo, fiscali.

E ora, chiede sussidi per poter restare in Italia, per mantenere aperte quelle poche sedi sul nostro territorio, avendo scelto da tempo altri lidi molto più convenienti a livello fiscale e di manodopera. Minacciando di andare via.

Insomma, ha cambiato nome, ma il modus operandi è quello di Gianni Agnelli, sebbene fossero altri tempi.

La triste storia della Fiat

Come ben racconta Contropiano, il disimpegno della Fiat nel comparto auto era già partito a inizio anni ’90, quando la famiglia Agnelli progettava già di abbandonare l’auto o comunque di renderla marginale nei propri interessi. Telecom, Banca San Paolo, turismo, servizi. Questi erano i nuovi settori che la famiglia torinese, paragonabile per prestigio e ricchezza ai Savoia, riteneva essere strategici per il futuro. Confermando, per carità, la propria lungimiranza.

Tuttavia, per vari motivi, il progetto fallì clamorosamente e dovette tornare all’auto. Nacque lo stabilimento di Melfi che, per il solito regime propagandistico, era il segno del futuro. Ma non avevano fatto i conti col fatto che l’Italia era diventata un consumatore, più che un produttore di automobili. Basti pensare che, a differenza dei grandi paesi industriali europei quali Germania, Francia, Spagna, che producevano più auto di quelle che venivano acquistate nel paese, in Italia si compravano più di 2 milioni di auto all’anno. Ma se ne producevano meno di 1 milione e mezzo.

A ciò va aggiunto che la Fiat ha anche smesso di progettare auto che lasciassero il segno, che rivoluzionassero il proprio segmento di riferimento. L’Avvocato, con tutti i suoi difetti, almeno aveva una certa lungimiranza (fu il primo occidentale ad aprire ai cinesi) oltre che saperci fare con la concertazione (qui la sua biografia).

Poi il tentativo di diventare un grande gruppo internazionale, acquisendo l’americana Chrysler (ma si trattò più di un pacco agli americani) e il tentativo fallito di rilevare la tedesca Opel, presa poi dalla connazionale Volkswagen dopo le barricate di governo e sindacati.

Infine, la resa finale alla francese FCA, dove dominano Peugeot e Citroen, creando Stellantis e rinunciando definitivamente alla propria identità, a tanti modelli e a una certa idea di Italia. Ma non al vecchio vizio di chiedere sussidi allo Stato.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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