La morte del musicista 24enne Giovambattista Cutolo per futili motivi fa riemergere tutti i problemi di una città che non riesce a cambiare.
L’omicidio del giovane Giovanbattista Cutolo, musicista appena 24enne, con una carriera promettente tutta da scrivere (aveva un provino per Sanremo), è l’ennesimo esempio che Napoli non cambia mai. Forse, è destinata a non poter cambiare.
Il boom di turisti dell’ultimo decennio, il superamento dell’emergenza rifiuti, le continue produzioni cinematografiche sul territorio e i tanti eventi culturali, avevano lasciato sperare che finalmente la città potesse segnare una svolta. E invece, niente. La macro e micro criminalità la tengono ancora in pugno, così come il degrado urbano, l’abbandono delle periferie, i trasporti pubblici che non funzionano, la disoccupazione cronica.
A cambiare è soprattutto il centro storico, diviso tra l’eterno culto per Maradona e il dilagare di fast food e B&B che cercano di spremere quanti più soldi ai turisti. Il lungomare privo di auto sembra così suscitare la stessa amara illusione che portò la liberazione di Piazza Plebiscito dalle auto. Splendide cartoline che coprono realtà ben diverse.
Come è morto Giovanbattista Cutolo
Giovanbattista Cutolo, come racconta nei dettagli Fanpage, è morto per mano di quella che è stata definita “una paranzella“. Ovvero un manipolo (circa una quindicina) di minorenni dei Quartieri Spagnoli e di Montesanto, dove il turismo pure è arrivato ma non ha fatto miracoli.
Minorenni che che escono di casa col solo fine di infastidire il prossimo, fomentare stereotipi sulla città, emulare personaggi visti nelle serie Tv. Che non vengono seguiti dalle famiglie, a loro volta magari sommerse in problemi quotidiani, né tanto meno raddrizzati da una scuola che ormai neanche più boccia i ragazzi.
E’ bastato uno sguardo di troppo, qualche provocazione con l’intento di scatenare una reazione e il resto dà vita al solito epilogo tragico. Giovambattista Cutolo, per gli amici GiòGiò, era figlio del regista teatrale Franco Cutolo e della psicoterapeuta Daniela Di Maggio. Professionisti che speravano che quel figlio, tanto cresciuto con cura e coltivando in lui la passione per il pianoforte e per il corno, che studiava presso il Conservatorio San Pietro a Majella e già musicista dell’orchestra Scarlatti Young, potesse un giorno esaudire i suoi e i loro sogni. Ma Napoli uccide i sogni e chi li fa.
E quel “fuitevenne” rivolto ai giovani napoletani dal grande Eduardo De Filippo rimbomba ancora una volta tra i vicoli di Napoli, con moto incessante. Così come quel “Napul è na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a ciorta” cantato da Pino Daniele. Ma, volendo andare ancora più indietro, ancora attuali risultano le parole brutali scritte da Giacomo Leopardi sul popolo napoletano ormai 2 secoli fa:
lazzaroni e pulcinella, nobili e plebei, tutti ladri e dei baron fottuti, degnissimi di Spagna e di forche
A scanso di equivoci, sono napoletano.