Fatti importanti progressi dalla sua teorizzazione alla fine dell’800, ma saremo in grado di costruirlo prima di non averne più bisogno?
Uno dei problemi dell’esplorazione spaziale sono i costi elevati: basti pensare che agli albori, negli anni ‘60 del secolo scorso, si spendevano 80000 dollari attuali per inviare un carico di appena mezzo chilo in orbita terrestre bassa.
Per fortuna oggigiorno, grazie soprattutto all’introduzione di razzi riutilizzabili da parte di SpaceX, i costi si sono notevolmente ridotti, pur restando comunque elevati (circa 1300 dollari per mezzo chilo di carico).
Ciò ha reso lo spazio accessibile a scienziati, startup e persino turisti, ma c’è uno strumento che, se costruito, lo potrebbe rendere ancora più economico: l’ascensore spaziale.
Teorizzato già alla fine dell’ottocento e descritto anche in numerose opere fantascientifiche, la tecnologia attuale finalmente ne consentirebbe la realizzazione; ma potrebbe essere ormai troppo tardi.
L’ascensore spaziale nel corso dei secoli
Lo scienziato russo Konstantin Tsiolkovsky rimase così impressionato dalla sua visita alla Torre Eiffel, alta poco più di 300 metri, che nel 1895 pubblicò uno studio in cui speculava sulla costruzione di una struttura alta ben 35000 chilometri.
Ciò consentirebbe l’accesso all’orbita geostazionaria, cioè un’altitudine alla quale gli oggetti sono sincronizzati alla rotazione della Terra e quindi ci appaiono statici; ma purtroppo nessun materiale dell’epoca era in grado di supportare il peso di una tale struttura.
Nel 1959 un altro russo, l’ingegnere Yuri N. Artsutanov propose una soluzione al problema: costruire un ascensore spaziale a partire dall’alto, invece che dal basso.
In particolare, suggerì di piazzare un satellite in orbita geostazionaria e calare da esso un cavo verso la Terra che, una volta fissato all’Equatore, sarebbe rimasto teso grazie all’effetto delle forze di gravità e centrifuga.
Ma purtroppo anche la sua proposta rimase irrealizzata per motivi tecnici.
Entra in scena la NASA, ma senza successo
E arriviamo così al nostro secolo, all’inizio del quale il concetto di ascensore spaziale fu nuovamente esaminato dal fisico Bradley Edwards per conto della NASA, come ricorda Kristin Houser su Freethink.
Nel suo rapporto all’agenzia spaziale americana, Edwards sottolineava come il progetto, se realizzato, avrebbe potuto portare a una riduzione dei costi fino a 100 dollari per mezzo chilo di carico, oltre ad essere più sostenibile per l’ambiente rispetto ai classici razzi a combustione.
Inoltre, un ascensore spaziale avrebbe ridotto il problema dei detriti in orbita, che all’epoca iniziava a farsi sentire, e sarebbe stato finalmente realizzabile sfruttando le tecnologie di inizio secolo.
Mancava solo un materiale leggero, ma allo stesso tempo abbastanza robusto da sopportare le enormi forze impresse su di esso, che Edwards però si diceva fiducioso sarebbe diventato disponibile nel giro di un paio d’anni: i nanotubi di carbonio.
Purtroppo le previsioni del fisico si rivelarono fin troppo ottimistiche e vent’anni dopo nessuno è ancora riuscito a sintetizzare nanotubi più lunghi di 50 centimetri, mentre sono stati al contempo avanzati dubbi sulla loro resistenza sotto pressione.
Le ultime proposte, più o meno promettenti
Ma l’idea di realizzare un ascensore spaziale non è stata abbandonata; anzi, negli ultimi anni ci sono state interessanti proposte in merito.
La prima è quella dei ricercatori Sean Sun e Dan Popescu della Johns Hopkins University, che in uno studio del 2018 suggeriscono di usare fibre di Kevlar per la costruzione, a patto di riparare costantemente il cavo.
Nel dettaglio, tramite l’uso di sensori e Intelligenza Artificiale, si potrebbe prevedere quando, dove e in che modo le fibre si stanno per spezzare; a quel punto verrebbero inviati dei robot per effettuare le necessarie opere di manutenzione.
Un’altra proposta interessante è quella ibrida del 2019 da parte degli astronomi Zephyr Penoyre ed Emily Sandford, rispettivamente della University of Cambridge, UK, e della Columbia University, New York.
I due pensano di usare materiali ad ampia diffusione (e quindi più economici) per costruire un cavo fissato alla superficie della Luna, dove le forze in gioco sono più deboli, e discendente fino all’orbita geostazionaria, con la gravità terrestre a tenerlo teso.
I carichi verrebbero quindi trasportati da razzi per un percorso relativamente breve, cioè fino all’estremità del cavo (chiamato “The Spaceline”), da dove verrebbero raccolti e spostati sulla Luna da robot alimentati ad energia solare.
Va infine menzionata una proposta avveniristica, sebbene ritenuta poco probabile, su cui lavorano a partire dal 2018 ricercatori cinesi della Tsinghua University: lo “Sky Ladder”, di cui è disponibile anche un video concettuale.
Il progetto consisterebbe nell’usare nanotubi di carbonio, nonostante le difficoltà esposte sopra, per costruire due ascensori, uno sulla Terra e uno sulla Luna, con una capsula spaziale a fare da collegamento.
A chi serve un ascensore spaziale?
Insomma, oltre un secolo dopo l’intuizione di Tsiolkovsky, i progressi scientifici e tecnologici sembrerebbero finalmente consentire la costruzione di un ascensore spaziale nel prossimo futuro.
Ma a questo punto sorge un dubbio: per allora ne avremo ancora bisogno?
Il punto è che, seguendo l’esempio di SpaceX, altre aziende aerospaziali stanno facendo progressi in merito alla riusabilità dei vettori, il che presumibilmente porterà ad ulteriori abbattimenti dei costi di lancio.
Non mancano, inoltre, idee alternative. Ad esempio, la startup californiana SpinLaunch sta sviluppando un sistema che usa un’enorme centrifuga per scagliare carichi nello spazio, da dove essi verrebbero poi portati in orbita tramite piccoli razzi che richiedono molto meno carburante.
Comunque vada a finire, il futuro del trasporto extraterrestre sembra in ogni caso roseo, che includa o meno affascinanti ascensori spaziali.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici)