Alfredino Rampi e il primo caso di spettacolarizzazione del dramma

Alfredino Rampi e il primo caso di spettacolarizzazione del dramma

Il caso di Alfredino Rampi si consumò nel giugno 1981, sconvolgendo l’Italia. Non mancarono anche complottismi e polemiche.

In questi giorni la televisione ha compiuto 70 anni, con la prima trasmissione sull’unica rete esistente. Da allora sono cambiate tantissime cose e tra la tipologia di programma che oggi impera in tv troviamo la spettacolarizzazione del dramma. Il tutto, anche qui, ha avuto un inizio: il caso di Alfredino Rampi.

Alfredo Rampi aveva sei anni quando cadde accidentalmente in un pozzo artesiano in via Sant’Ireneo, in località Selvotta, una frazione di Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega via Casilina a via Tuscolana.

Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri. La vicenda fu seguita con una diretta televisiva della Rai lunga ben 18 ore, rendendola così uno dei casi mediatici più rilevanti della storia italiana e il primo coperto dal racconto televisivo durante il suo accadimento.

Ripercorriamo i fatti.

Chi era Alfredino Rampi

Come riporta Wikipedia, nel mese di giugno 1981 la famiglia di Alfredino era composta dal padre Ferdinando, dalla madre Franca Bizzarri, dalla nonna paterna Veja e dal fratello Riccardo. Alfredino all’epoca dei fatti aveva 6 anni, mentre quest’ultimo 2 anni.

Stavano trascorrendo un periodo di vacanza nella loro seconda casa, in località Selvotta, nel comune di Frascati (Roma), in vicinanza della località di Vermicino.

La sera di mercoledì 10 giugno Ferdinando Rampi, due suoi amici e il figlio Alfredino erano a passeggio nella campagna circostante. Al momento di tornare indietro, alle ore 19:20, Alfredino chiese al padre di poter proseguire da solo, attraversando però i prati. Il padre acconsentì, ma il bambino dopo circa mezz’ora non era ancora arrivato. E così, intorno alle 21:30 circa, la famiglia decide di segnalare la cosa alle forze dell’ordine.

Nel giro di 10 minuti giunsero sul posto Polizia, Vigili urbani e Vigili del fuoco, oltre ad alcuni abitanti del posto, attratti dal viavai. Tutti insieme si unirono ai genitori nelle ricerche, che vennero portate avanti anche con l’ausilio di unità cinofile. Tuttavia, le forze in campo e gli stessi familiari erano sprovvisti di lampade portatili, il che rese la ricerca complicata dato che ormai era giunta sera. Inoltre, i cani da ricerca arrivarono solo dopo diversi minuti da Nettuno.

La nonna fu la prima ad ipotizzare che Alfredino fosse caduto in un pozzo che sapeva essere stato recentemente scavato in un terreno adiacente.

I soccorsi disperati

Le operazioni di soccorso si rivelarono subito estremamente difficili, in quanto la voragine presentava un’imboccatura larga 28 cm, una profondità complessiva di 80 metri e pareti irregolari e frastagliate, piene di sporgenze e rientranze. Si calcolò inizialmente che Alfredino si trovasse a 36 metri di profondità.

I primi a scendere per tentare di recuperare il bambino furono 3 speleologi ma non riuscirono a raggiungerlo. Complicata fu anche la creazione di un tunnel parallelo data la friabilità del terreno. Nel frattempo, la tv aveva iniziato la cronaca, con tutte e tre le reti Rai, anche perché era giunta voce alle redazioni che la liberazione sarebbe avvenuta di lì a poco e ciascuno voleva immortalare il momento.

Si scoprì però che Alfredino si trovasse a 60 metri di profondità, quindi le cose erano ancora più complicate. Si tentò di nuovo di calare dei volontari. Angelo Licheri, allora 36enne e morto di recente, un tipografo di origine sarda, piccolo di statura e molto magro, chiese e ottenne di farsi calare. Si tolse anche i vestiti per evitare ogni attrito che frenasse la discesa, riuscì anche a parlare con Alfredino, che però ormai emetteva solo dei rantoli sfatto dalla permanenza in quel posto così complicato.

Licheri riuscì a raggiungere il bambino e a rimuovergli con le dita il fango dagli occhi e dalla bocca, dopodiché riuscì a liberargli le mani e le braccia, che erano raccolte dietro le anche. Non riuscì però a disincastrarlo completamente, in quanto il bambino si presentava rannicchiato con le ginocchia che gli schiacciavano il petto. A questo punto, tentò di allacciargli l’imbracatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma per ben tre volte l’imbracatura s’aprì; tentò allora di prenderlo di forza prima sotto le ascelle e poi per le braccia, ma il bambino continuava a scivolare per via del fango che lo ricopriva. Per di più, involontariamente, Licheri gli spezzò anche il polso sinistro.

L’operazione disperata durerà circa 45 minuti, passati dall’uomo a testa in giù, mentre i minuti considerati soglia massima di sicurezza in posizione corporea capovolta sono 25.

Resosi conto dell’impossibilità di liberare il bambino in quella posizione innaturale, Licheri decise di arrendersi e ritornò in superficie senza Alfredino, non prima di avergli mandato un bacio. Licheri uscì provato da quell’esperienza sia fisicamente che psicologicamente, tanto da scegliere di lasciare l’Italia per oltre 20 anni, trasferendosi a vivere in Africa fino circa al 2005. Ha sempre vissuto col rammarico di non aver salvato il bambino.

Dopo di lui furono diversi i volontari che si proposero, anche circensi come nani e un contorsionista. Perfino un ragazzino, Pietro Molino, sedicenne originario di Napoli.

La morte

Verso le 9:00 del 13 giugno venne calato nel pozzo uno stetoscopio, al fine di percepire il battito cardiaco del bambino. Non registrando nulla, verso le ore 16:00 venne calata nella buca una piccola telecamera fornita da alcuni tecnici della Rai, che a circa 55 metri individuò la sagoma immobile di Alfredino, che non si muoveva e non respirava più.

Venne quindi eseguita la dichiarazione di morte presunta e, per assicurare la conservazione del corpo, il magistrato competente ordinò che fosse immesso nel pozzo del gas refrigerante (azoto liquido a meno 200 gradi). Il cadavere fu poi recuperato da tre squadre di minatori della miniera di Gavorrano l’11 luglio seguente, 28 giorni dopo il decesso.

I funerali si svolsero mercoledì 15 luglio 1981 nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Alfredino è sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma, accanto alla nonna Veja e al fratello Riccardo, morto anch’egli giovane, nel 2015, all’età di 36 anni per un improvviso infarto.

Le polemiche

Come accade sempre in Italia, non mancarono polemiche e complottismi. Come le critiche mosse ai vigili del fuoco, incapaci di raggiungere il bambino, cosa che invece i volontari avevano riuscito a fare. Così come la realizzazione di un tunnel parallelo, pressocché inutile.

Si disse poi che la diretta televisiva fu voluta “dall’alto” per consentire al Presidente della Repubblica Sandro Pertini di essere ripreso dalle telecamere, dato che stava arrivando sul posto.

Non è mancato chi ritiene che il caso di Alfredino Rampi fosse servito per “sviare” l’opinione pubblica rispetto ad altri scandali, come quello relativo alla P2 o ai servizi deviati.

Del resto, molto significative furono le parole di Emilio Fede, allora Direttore del Tg2:

In quel momento poteva succedere qualunque cosa […] un colpo di Stato, ammesso che ce ne fosse l’atmosfera, l’aria o le intenzioni da parte di qualcuno, e la gente avrebbe risposto: Va bene, fammi sentire però che sta succedendo a Vermicino

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