Un recente studio sembra finalmente risolvere il mistero delle strane masse presenti ai lati del nucleo terrestre, apparterrebbero a Teia
Circa 4,5 miliardi di anni fa, la giovane Terra se ne stava tranquilla a prendere il Sole, quando improvvisamente un pianeta delle dimensioni di Marte (chiamato Teia, dal nome greco della madre di Selene, dea della Luna) le sbatté violentemente contro, generando in tal modo la Luna.
O almeno questa è la teoria prevalente, della quale vi sono numerose conferme indirette:
- l’elevata velocità angolare odierna del sistema Terra-Luna è compatibile con le conseguenze di un forte impatto;
- la Luna ha un piccolo nucleo ferroso, ma è proporzionalmente molto massiccia rispetto alla Terra, caratteristiche di per sé difficilmente spiegabili;
- i campioni riportati sulla Terra dagli astronauti delle missioni Apollo tra il 1969 e il 1972 suggeriscono un’origine comune della Terra e della Luna, il che deriverebbe in maniera naturale da un impatto.
Ma l’ombra del dubbio ha continuato ad attanagliare gli scienziati, dato che mancano prove dirette: sebbene sia probabile che, in seguito all’impatto, si sia verificata l’unione tra i nuclei della Terra e del misterioso pianeta, dove sono finiti i resti di quest’ultimo?
Infatti, nessuna traccia di Teia è mai stata trovata nella fascia principale degli asteroidi o nelle meteoriti finora esaminate. Ora, però, un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature sembrerebbe finalmente mettere a tacere ogni dubbio.
La misteriosa origine delle LLSVPs
La nostra storia inizia negli anni 80 del secolo scorso, quando alcuni geofisici fecero una scoperta straordinaria: vicino al centro della Terra esistono due enormi masse, grandi ognuna quanto un continente, una sotto l’Africa e un’altra sotto l’oceano Pacifico.
Tali masse, note come LLSVPs (dall’inglese large low-shear-velocity provinces, cioè grandi province a bassa velocità di taglio), si crede contengano livelli insolitamente alti di ferro, il che le rende più dense rispetto al mantello che le circonda.
Tutto ciò è stato scoperto grazie all’uso delle tomografia sismica, cioè misurando le onde sismiche che attraversano la Terra. Poiché esse viaggiano a velocità diversa a seconda del tipo di materiale attraversato, in particolare rallentando in presenza di materiali molto densi, ecco spiegato il nome “province a bassa velocità”.
La natura di tali province, però, si è dimostrata elusiva. Nel corso degli anni, come riporta la sismologa Jennifer Jenkins su Sky & Telescope, sono state proposte varie teorie in merito, che le dipingono come:
- mucchi di placche tettoniche oceaniche che sono state soggette a subduzione, scorrendo cioè sotto altre placche fino in profondità nel mantello;
- resti arricchiti di ferro di un oceano di magma basaltico risalente ai primordi della storia della Terra, quando il mantello si stava ancora raffreddando e solidificando;
- risalita di materiale caldo dalle profondità della Terra a causa di un fenomeno detto convezione, in spazi ravvicinati all’interno del mantello, che mischiandosi va a formare queste masse.
Nessuna di esse si è però dimostrata decisiva, anche perché il metodo principale per studiare le LLSVPs, cioè esaminare onde sismiche a bassa frequenza, è di per sé piuttosto impreciso.
Teia, la dea generatrice della Luna
Andiamo ora avanti veloce fino al 2019, quando un giovane geofisico di nome Qian Yuan stava partecipando a un seminario sulla formazione dei pianeti, tenuto dal prof. Mikhail Zolotov della Arizona State University.
Ad un certo punto Zolotov discusse dell’ipotesi dell’impatto di Teia, ricca di ferro, con la Terra, concludendo drammaticamente che nessuno sapeva che fine avesse fatto l’antico pianeta.
Come dichiara lo stesso Yuan sul sito della Caltech (California Institute of Technology) presso cui è dottorando, fu allora che gli si accese la proverbiale lampadina: e se le LLSVPs fossero in realtà ciò che resta di Teia?
In ambito scientifico si usa dire “correlation does not imply causation”, indicando che non basta una semplice associazione tra due eventi per stabilire anche un rapporto di causa-effetto tra di loro.
Ecco perché Yuan, col supporto di un gruppo multidisciplinare di ricercatori, sia della Arizona State University che di Caltech, iniziò un lungo lavoro di simulazione di vari scenari riguardo la composizione chimica di Teia e il suo impatto con la Terra.
I risultati sono molto promettenti: dalle simulazioni, infatti, risulta plausibile che l’impatto possa aver creato sia le LLSVPs che la Luna. In particolare, una parte del mantello di Teia sarebbe stato incorporato in quello terrestre, dove si sarebbe aggregato e cristallizzato a formare le due province, mentre altri detriti della collisione si sarebbero uniti a formare la Luna.
Tali risultati sono anche confermati dall’analisi di alcune rocce vulcaniche nelle isole Samoa e in Islanda, che studi chimici ritengono provenienti dalle profondità del mantello terrestre. Ebbene, la loro datazione le piazza ad almeno 4,45 miliardi di anni fa, cioè giusto in prossimità del presunto impatto con Teia.
Impatti differenti e prospettive future
Tutto molto bello, ma a questo punto ci si potrebbe chiedere: data la violenza della collisione, come mai il materiale proveniente da Teia si è aggregato nelle LLSVPs, invece di mischiarsi col resto del mantello terrestre?
La spiegazione, sempre risultante dalle simulazioni, è che la maggior parte dell’energia dell’impatto è stata assorbita dalla parte superiore del mantello, così che quella inferiore è rimasta più fredda di quanto previsto da simulazioni precedenti (a più bassa risoluzione).
Dovendo attraversare una zona non del tutto fusa dall’impatto, i resti ricchi di ferro di Teia sono rimasti relativamente intatti nel loro percorso verso le profondità del mantello terrestre.
Il passo successivo sarà esaminare come la presenza di tale antico ed eterogeneo materiale nelle profondità della Terra possa averne influenzato i processi interni, come la tettonica a placche (anche detta “a zolle”), la formazione dei primi continenti e l’origine dei più antichi tra i minerali terrestri sopravvissuti fino ai giorni nostri.
Tutto ciò in attesa delle missioni Artemis, che potrebbero prelevare e riportare sulla Terra rocce provenienti dal mantello lunare, in modo da verificare se la loro “firma geochimica” è consistente con quella delle due province e, quindi, con quella di Teia.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici)