Usando modelli climatici, un gruppo di ricercatori prevede fino al 20% in più di “aiuto” dalle piante contro i cambiamenti climatici
È ampiamente risaputo che le piante sono un alleato indispensabile dell’essere umano nell’attività di purificazione dell’aria, grazie alla loro eccellente capacità di assorbire anidride carbonica.
Ma è altrettanto risaputo (sebbene non accettato da tutti) che l’umanità sta facendo di tutto per gettarsi la zappa sui piedi da sola, causando l’aumento incontrollato di gas serra nell’atmosfera, con conseguente incremento delle temperature.
Ovviamente non è tutto nero e qualcosa di buono per scongiurare imminenti catastrofi climatiche lo si sta facendo, per quanto a un livello ancora troppo basso rispetto alla gravità della situazione (ne ho accennato qui).
Per fortuna, a dare ancora una volta una mano agli sciagurati esseri umani pare che saranno, indovinate un po’, sempre le nostre amiche piante, stando ai risultati di un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori (prevalentemente) australiani e pubblicato sulla rivista Science Advances.
Cattura e immagazzinamento della CO₂: le piante contro i cambiamenti climatici
Le piante utilizzano l’energia solare per convertire (o “fissare”) l’anidride carbonica presente nell’aria in zuccheri; più precisamente, circa una metà della CO₂ catturata viene presto rilasciata nell’atmosfera tramite la respirazione, mentre la restante metà viene usata per favorire la crescita e il metabolismo e resta nella biomassa vegetale per un tempo molto più lungo.
Infatti, quando tale biomassa muore e si decompone, una parte del carbonio viene nuovamente rilasciata nell’atmosfera, ma un’altra parte penetra nel suolo, dove può rimanere anche per centinaia di anni.
Di conseguenza, quanta più anidride carbonica le piante catturano, tanto più carbonio verrà presumibilmente immagazzinato nella vegetazione e nel terreno: l’incremento è confermato anche dai dati sul budget globale di carbonio nelle ultime decadi, in cui si sono manifestati più forti gli effetti del surriscaldamento globale.
Ma come si fa a calcolare quanto carbonio viene effettivamente catturato e finisce sotto terra? Soprattutto, come si possono fare previsioni in merito per il futuro? Niente paura: ce lo spiega direttamente Jürgen Knauer, ricercatore del Hawkesbury Institute for the Environment, Western Sydney University, e primo autore dello studio suddetto.
Un nuovo modello della biosfera terrestre
Una possibile risposta a queste domande viene dai cosiddetti modelli della biosfera terrestre, che descrivono sotto forma di equazioni matematiche ciò che conosciamo riguardo l’attività delle piante e come esse rispondono ai cambiamenti climatici.
Ma Knauer e colleghi ritengono gli attuali modelli incompleti, sebbene essi includano numerosi processi e informazioni (ad esempio, sul fatto che le piante effettuano la fotosintesi in misura maggiore in presenza di alte concentrazioni di anidride carbonica e in misura minore se l’acqua scarseggia).
In particolare, i ricercatori si sono concentrati su tre processi, per i quali ritengono siano disponibili dati limitati o che sono difficili da includere nei modelli, per motivi concettuali o tecnici:
- con che efficienza la CO₂ si può muovere all’interno delle foglie;
- in che modo le piante si adattano ai cambi di temperatura nell’ambiente circostante;
- in che modo esse distribuiscono i nutrienti nella maniera più economica.
Per simulare tali processi quanto più efficacemente possibile, il gruppo di Knauer ha usato i dati e gli studi più recenti in merito, confrontando quindi il loro modello con uno scenario di forte cambiamento climatico da qui alla fine del secolo.
Piante e cambiamenti climatici: Test dai risultati confortanti, ma…
I ricercatori non si sono però accontentati di un singolo esperimento, ma hanno effettuato ben otto test con modelli di complessità crescente, a partire da uno che non teneva conto di nessuno dei tre processi suddetti, fino ad arrivare a uno che li considerava tutti e tre assieme.
I risultati sono stati estremamente chiari: all’aumentare della complessità del modello, corrispondeva un aumento della cattura prevista di CO₂; in particolare, i test fatti con modelli che includevano almeno due dei tre processi restituivano valori di anidride carbonica catturata fino al 20% superiori a quelli ottenuti col modello più semplice.
Si tratta chiaramente di risultati confortanti, in quanto prevedono un “aiuto” maggiore da parte della vegetazione rispetto a quanto ipotizzato in precedenza, ma Knauer e colleghi professano cautela, in quanto alcuni elementi dei modelli sono ancora troppo semplificati (ad esempio, l’impatto di incendi e siccità).
Inoltre, modelli a parte, sarà essenziale non solo preservare la biomassa attuale, ma anche ripristinare quella che andrà perduta. Infine, sebbene le piante potrebbero rivelarsi un alleato ancora più importante del previsto, il grosso dipenderà comunque da noi umani e dalla nostra capacità (e volontà) di ridurre le emissioni di gas serra.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione)