Vediamo quali sono i rischi relativi all’operazione di riduzione dello stomaco, pratica ultimamente molto in voga.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un uso frequente di un’operazione particolarmente invasiva, quella relativa alla rimozione di parte dello stomaco portando così alla sua riduzione, soprattutto per risolvere drasticamente problemi di sovrappeso. Non sono però pochi i casi in cui il paziente abbia poi avuto varie complicanze post-operatorie, financo psicologiche.
Il presente articolo nasce dall’esigenza di fornire una visione alternativa rispetto a una pratica chirurgica forse pericolosamente abusata e che richiederebbe maggiore ponderazione sia da parte del paziente che la subisce, e soprattutto per una questione deontologica, da parte del medico chirurgo che la esegue.
Abbiamo chiesto a tal proposito un parere alla Dottoressa Francesca Silvana Scoppio – Medico chirurgo specialista in medicina interna e attualmente presto servizio nella ASL di Bari – apprezzabile nel paragrafo finale.
I rischi di un’operazione di riduzione dello stomaco
Quasi un quarto di questi interventi chirurgici sono bypass gastrico, Roux-en-Y (RYGB). Quanto più estesi sono i bypass rispetto al normale apparato digerente, tanto maggiore è il rischio di complicanze.
Per esempio, come riporta Formazione continua in Psicologia (FCP), 4 pazienti su 10 hanno sviluppato complicazioni entro i primi sei mesi, tra cui: vomito, diarrea, infezioni, ernie e insufficienza respiratoria. E fino al 40 percento dei pazienti con bypass gastrico può soffrire di carenze nutrizionali, sfociate in anemia e osteoporosi.
In alcuni casi estremi sono state riportate convulsioni e paralisi. Non mancano poi casi di reazioni avverse all’anestesia, coaguli di sangue, problemi a urinare e defecare. Non bisogna dimenticare che, come in tutti gli interventi chirurgici, anche dietro un’operazione di riduzione dello stomaco c’è il rischio di morte.
Operazione di riduzione dello stomaco e rischio suicidi
Ma c’è un’altra correlazione poco considerata: l’aumento del rischio suicidi. Sempre FCP riporta come, nel 2016, Backman ha pubblicato uno studio utilizzando i dati del registro svedese per tutti i pazienti sottoposti a RYGB primario tra il 2001 e il 2010. Orbene, ne è venuto fuori che i pazienti sottoposti a RYGB avevano quasi 2,85 volte più probabilità di tentare il suicidio rispetto al gruppo di riferimento della popolazione generale.
Un altro studio dello stesso anno (Bhatti, 2016) ha rilevato che le emergenze autolesionistiche intenzionali, inclusi i tentativi di suicidio, sono aumentate del 50% dopo un intervento chirurgico di bypass gastrico.
Quasi tutti i pazienti (93%) in questo studio che hanno intrapreso comportamenti autolesionistici dopo l’intervento chirurgico avevano una precedente diagnosi di salute mentale.
Medicina e chirurgia, il parere della dott.ssa Scoppio
Vi sono ambiti ben specifici delle due branche della medicina che comunque in parte si sovrappongono. Si può affermare che comunque le patologie che tratta la medicina e l’uso dei farmaci corrispondenti solitamente rivestono un ruolo di minore gravità e soprattutto possono trattare delle patologie senza interventi demolenti o ricostruttivi della chirurgia che comunque lasciano il segno quasi sempre.
Asportare parte di un organo non è una cosa del tutto “indolore” o che comunque l’organismo può ignorare, poiché determina un riassestamento dei parametri metabolici verso un nuovo punto di equilibrio del benessere generale che si chiama cenestesi.
È molto importante sottolineare questo aspetto in quanto da esso dipendono gli esiti della chirurgia e delle terapie farmacologiche che in ultima analisi devono garantire al soggetto che ad esse si sottopone il miglior beneficio possibile a breve e soprattutto lungo termine, ed è altrettanto importante sapere che ogni volta che interveniamo con una delle due si creerà un nuovo stato il cui rilievo è soggettivo e non può essere attribuito a nessun mezzo di indagine fisico-chimico o strumentale.
Ci sono persone che stanno bene con per esempio una pressione a 200mmHg, altre che sopportano benissimo masse tumorali per anni e anni prima che inizino a manifestare dei disturbi da queste creati grazie all’adattabilità del nostro organismo alle condizioni che generano dei disturbi clinici.
Il nostro metabolismo che è unico per ciascuno di noi, richiede una attento esame qualora possibile delle conseguenze che avvengono nel post chirurgico soprattutto, perché il farmacologico può sempre essere sospeso e rimodulato.
Molte persone soffrono ad esempio di problemi di sovrappeso o di obesità e alcune fra queste e altrettanti colleghi sono convinti che a monte si sia un problema di esagerato assorbimento del sistema gastroenterico che sarebbe il bersaglio delle numerosi interventi chirurgici di rimozione di parte dello stomaco, che si chiama gastroresezione.
Il problema dell’obesità/sovrappeso in realtà è sempre una sfida per l’internista e per le terapie, o meglio interventi su ciò che determina questo stato di cose molto diffuso nei paesi occidentali. La cui unica origine, se escludiamo rare patologie genetiche, risiede solo nello stile di vita condotto dalle persone affette da questo flagello nei paesi ricchi, dove il cibo è sempre e comunque disponibile, ma si fa sempre meno movimento con le proprie gambe, mentre i mezzi di trasporto consumano per noi quelle calorie che invece ci aiuterebbero a stare in salute.
Anche la nostra sedentarietà alla fine diventa un problema e determina un riassetto nei vari organi che si adattano ad essa, come ad esempio la riduzione della massa muscolare (ipotrofia), del volume del cuore, osteopenia quindi riduzione della massa ossea, calo dei volumi vascolari con un numero inferiore di vasi sanguigni etc etc.
Allora faccio una domanda:
ma ridurre la capacità dello stomaco di digerire risolverà questi problemi conseguenti all’obesità? Cioè riporterà il metabolismo al suo livello utile alla nostra salute? Personalmente credo di no.
Qui un elenco degli articoli della dottoressa Francesca Silvana Scoppio.