Secondo un recente studio, la presenza di ghiacciai salini sul pianeta proverebbe che un tempo c’erano le condizioni adatte per la vita
Mercurio, il pianeta più interno e più caldo del Sistema Solare dopo Venere, costantemente bombardato da intensa radiazione proveniente dal Sole; insomma, certamente uno degli ultimi posti dove verrebbe in mente di cercare ghiaccio o vita extraterrestre.
Di conseguenza, non può che lasciare di stucco un recente studio secondo il quale il piccolo pianeta potrebbe non solo ospitare ghiacciai, ma addirittura aver presentato in passato condizioni favorevoli per lo sviluppo della vita.
Calma, calma e cerchiamo di ragionare: quando si parla di ghiacciai, siamo portati immediatamente a pensare al ghiaccio d’acqua, ma anche sulla Terra esistono altri tipi di ghiacciai, in particolare quelli di sale, che sono comuni ad esempio sui Monti Zagros in Iran.
Fortunatamente per la nostra sanità mentale, è proprio di questo tipo di ghiacciai che si tratta nel suddetto studio, pubblicato nell’edizione di novembre del Planetary Science Journal da un gruppo di ricercatori guidato da J. Alexis P. Rodriguez del Marshall Space Flight Center della NASA.
Regioni caotiche e cavità
Mercurio è ricoperto di regioni sconnesse e geologicamente disordinate, opportunamente dette regioni caotiche, che inizialmente si pensava derivassero dall’impatto di un asteroide di 100km, responsabile della creazione del vasto Bacino Caloris circa 3,8 miliardi di anni fa.
L’origine delle regioni caotiche fu però messa in discussione nel 2020 quando, analizzando i dati della sonda MESSENGER (dismessa nel 2015), uno studio a nome dello stesso Rodriguez e altri stabilì che alcune di esse si erano formate “appena” 2 miliardi di anni fa, cioè molto dopo il suddetto impatto. Tra l’altro, si scoprì che alcune di queste regioni erano sprofondate per più di due chilometri, più di quanto un impatto avrebbe potuto provocare.
Inoltre, altri studi rilevarono un’abbondanza di zolfo, cloro e potassio, che su un pianeta rovente come Mercurio sono considerati composti volatili, cioè soggetti a rapida evaporazione se esposti ai raggi solari; quando ciò accade, si formano delle cavità (hollows, in inglese) profonde decine di metri, nei punti in cui i materiali si trovavano prima della sublimazione.
Mettendo assieme tutto ciò, arriviamo finalmente ai nostri ghiacciai salini, oltre che a un’affascinante spiegazione riguardo la formazione delle regioni caotiche, come riporta Jeff Hecht su Sky & Telescope.
La riemersione dell’alite alla base dei ghiacciai
In base all’analisi di Rodriguez e colleghi, composti volatili sono presenti in abbondanza sotto la superficie di Mercurio e la loro evaporazione sarebbe responsabile sia della formazione di ghiacciai di sale, che del collasso della superficie, il che avrebbe prodotto le regioni caotiche.
Un processo simile è avvenuto anche sulla Terra, dove i ghiacciai salini inizialmente si sono formati come depositi di alite (comunemente detta salgemma), rilasciata in seguito all’evaporazione di antichi oceani.
Successivamente, altri strati rocciosi hanno coperto tali depositi, comprimendoli, ma col passare del tempo l’alite e altri sali sono riemersi attraverso fessure e porosità, andando a formare i ghiacciai superficiali.
E proprio l’alite sarebbe, secondo i ricercatori, ciò di cui con tutta probabilità si compongono i ghiacciai salini di Mercurio. Ma il gruppo di Rodriguez non si è limitato a questo, puntando invece a un obbiettivo ben più ambizioso nel loro studio: ricostruire l’intera storia geologica del pianeta.
Mercurio: dai primordi al bombardamento
Lo strato più antico che i ricercatori sono riusciti a rilevare è una zona delle regioni caotiche disseminata di crateri, risalente a oltre 4 miliardi di anni fa, quando i planetesimi (cioè, “semi” primordiali di pianeti) si scontravano violentemente contro i pianeti interni del Sistema Solare.
Tali impatti avrebbero surriscaldato l’antico strato di cui sopra, provocando l’evaporazione di composti volatili, il che avrebbe a sua volta formato una spessa atmosfera su Mercurio.
Quando poi il pianeta ha iniziato a raffreddarsi, cloro, zolfo e potassio si sarebbero condensati, precipitando sulla superficie e formando uno strato di alite spesso circa un paio di chilometri, stando alle osservazioni della MESSENGER.
In seguito, durante il periodo noto come intenso bombardamento tardivo (o LHB, dall’inglese Late Heavy Bombardment) e avvenuto tra 3,9 e 3,8 miliardi di anni fa, Mercurio ha subito numerosi impatti da parte di asteroidi e altri corpi celesti, il più massiccio dei quali ha formato il Bacino Caloris.
Il fuoco di fila è continuato fino a circa 2 miliardi di anni fa, vaporizzando composti volatili, sparpagliando lava e in generale creando le regioni caotiche. In particolare, alcune zone rocciose sarebbero sprofondate anche per un paio di chilometri, in seguito all’evaporazione dei composti volatili sottostanti e alla formazione di cavità.
Vita su Mercurio ed esopianeti simili
Ma non temete: non ho dimenticato di parlare dell’altra, probabilmente più affascinante, ipotesi avanzata dai ricercatori, cioè la possibilità che in passato esistessero anche su Mercurio le condizioni adatte per lo sviluppo della vita.
La speranza viene ancora una volta dai ghiacciai salini: gli alogenuri, la classe di minerali che comprende anche l’alite, sono infatti noti per la loro capacità di ritenzione idrica e, come si sa, dove c’è acqua c’è anche una possibilità per la vita.
L’idea di Rodriguez & co. è chiara: senza arrivare a pensare che in passato possa esserci stata vita su Mercurio, è possibile comunque che ci fossero per lo meno le condizioni per supportarla e lo stesso potrebbe valere per esopianeti simili.
Ciò farebbe rivalutare il concetto di fascia abitabile (anche detta in inglese “Goldilocks zone”), cioè quella regione, definita in base alla distanza di un pianeta dalla sua stella, nella quale è possibile la presenza di acqua allo stato liquido.
Nel caso di pianeti simili a Mercurio, argomentano i ricercatori, più che di distanza dalla stella si parlerebbe di profondità: mentre la superficie di Mercurio è rovente durante il giorno, a pochi metri di profondità le temperature sono più basse, consentendo ad eventuali depositi di alite di preservare acqua allo stato liquido.
Insomma, questo studio fornisce una visione del piccolo pianeta (e suoi simili) radicalmente diversa da quella a cui siamo abituati, anche se, bisogna ammetterlo, i dati della MESSENGER non consentono di arrivare a conclusioni definitive, in particolare riguardo la storia primordiale di Mercurio.
Non resta quindi che attendere un paio d’anni, quando la sonda BepiColombo entrerà nell’orbita del pianeta e fornirà verosimilmente dati più precisi.
(Originariamente pubblicato su Storie Semplici. Il titolo dell’autore potrebbe essere modificato dalla redazione).