(Fonte: Il Corriere della sera)
Di seguito riporto l’autorevole posizione di Legambiente Campania sul dissesto idrogeologico in cui versa la Regione Campania:Negli ultimi anni, soprattutto a seguito dei tragici eventi che hanno colpito alcuni territori della regione Campania, di cui sicuramente quelli di “Sarno 1998” rappresentano l’emblema, è notevolmente cresciuta l’attenzione alle problematiche del dissesto idrogeologico.
Oggi c’è anche la consapevolezza della estrema diffusione di queste problematiche: secondo la classificazione effettuata nel 2003 dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane, in Campania risultano esposti a rischio e pericolosità per le classi elevato e molto elevato ben 474 comuni, pari all’ 86% del totale, per una superficie complessiva pari a 2253,1 Kmq, corrispondente al 16,5 % del territorio.
A fronte della estrema diffusione del problema al fine di tutelare l’incolumità delle persone esposte è chiaramente impensabile poter attuare in tutti i contesti ed in tempi rapidi interventi materiali “di messa in sicurezza”.
Diversamente, tenuto conto che tra le varie tipologie di dissesti una gran parte, che tra l’altro include le più significative in termini di rischio, è rappresentata da quelle attivate da eventi di pioggia, per tali l’unica ragionevole modalità di intervento nel breve termine, che è di tipo “non strutturale”, è la predisposizione ed attivazione dei sistemi di protezione civile locale presso i comuni. L’esperienza ha infatti insegnato che i sistemi di previsione ed allerta e i piani di emergenza comunali, aggiornati e conosciuti dalle popolazioni affinché si sappia esattamente cosa fare e dove andare in caso di emergenza, possono efficacemente fare fronte alle problematiche e quindi salvare le vite umane. Al riguardo la nostra indagine annuale “Ecosistema Rischio – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico”, condotta in collaborazione con la Protezione Civile Nazionale continua purtroppo ad evidenziare una situazione sconfortante ed una forte sottovalutazione dell’approccio.
Quindi, è ragionevole che solo dopo aver assicurato quanto possibile fare nel breve termine per la tutela della incolumità delle persone si proceda in modo organico e secondo i gradi di priorità nella riduzione delle singole situazioni di rischio con interventi strutturali.
D’altro canto, in ragione delle caratteristiche intrinseche, gli interventi strutturali attengono propriamente all’ordine temporale del medio-lungo termine. Gli interventi che vanno dalle opere di tipo passivo, atte a contenere gli effetti dei dissesti (realizzate con le tecniche dell’ingegneria convenzionale e della cd. Ingegneria Naturalistica ex D.P.G.R. Campania n. 574 del 22 luglio 2002), a quelle di tipo attivo, volte ad agire sulle cause determinanti (gestione ed uso del suolo), alle delocalizzazioni, non possono che essere, quindi, il risultato di una attenta pianificazione di Bacino. Una pianificazione che individua le priorità di intervento in area vasta in funzione dei differenziali di rischio tra i contesti e le migliori pratiche del caso sulla base di valutazioni comparative (Analisi Costi Benefici, Valutazione di Impatto Ambientale, Valutazione di Incidenza, Valutazione Ambientale Strategica, ecc.), assicurando efficacia e efficienza ed economicità. Tra le opzioni la delocalizzazione è sicuramente la via più sensata da percorrere anche perché a fronte di condizioni di rischio idrogeologico acclarate difficilmente si riesce a garantire la sicurezza al 100% con opere di tipo passivo (vasche di accumulo, barriere paramassi, ecc.).