ISCHIA, L’ISOLA CHE FRANA

Nuova tragedia annunciata sull’isola di Ischia (NA): ieri, causa una grossa frana staccatasi da un costone di montagna, nei pressi del porto di Casamicciola, è rimasta uccisa una ragazza di 15 anni, Anna De Felice, mentre i feriti e i contusi sono una ventina. La tragedia poteva essere ancora più grave considerando che la frana è crollata proprio al passaggio di molte auto, al bordo delle quali si trovavano genitori che accompagnavano i figli a scuola, o molti che si recavano al lavoro.
Lo smottamento è avvenuto in località Tresca e ha riguardato il Monte Epomeo, e si ipotizza che ad aver causato la frana siano stati i vari incendi esplosi in zona questa estate, che avrebbero così generato un ampio disboscamento. Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, si dice rammaricato poiché i tanti lavori di manutenzione non sono stati sufficienti, e, come spesso ha ribadito in più occasioni, in Italia serve un grande progetto di manutenzione e di messa in sicurezza su tutto il territorio italiano; altrimenti alle prime piogge di una certa intensità, accadranno sempre tragedie simili.
Sempre ad Ischia, nel 2006, ci furono quattro morti per lo smottamento di un costone di montagna; allora a cedere furono le pareti del monte Vezzi, che precipitarono su un casa in cui dormivano sei persone. Solo due furono estratte vive.
La casa colpita da quella tragedia aveva beneficiato di un condono; e ciò fa ritornare in ballo per l’ennesima volta il discorso sull’irresponsabilità di chi ci amministra, poiché in nome del consenso popolare, preferisce avallare e legittimare ciò che nei fatti è illegittimo e dannoso per l’ambiente, mettendo in serio pericolo la vita di chi poi in quelle strutture ci va ad abitare, in modo ignaro o ingenuamente consensuale. Fu così anche per la strage di Messina, e molte altre in passato; e chissà quante altre ancora ne dovranno capitare, essendo sì arrivate le insistenti piogge autunnali, mentre per la messa in sicurezza del territorio non è arrivato nulla.

(Fonte: Il Corriere della sera)

Di seguito riporto l’autorevole posizione di Legambiente Campania sul dissesto idrogeologico in cui versa la Regione Campania:Negli ultimi anni, soprattutto a seguito dei tragici eventi che hanno colpito alcuni territori della regione Campania, di cui sicuramente quelli di “Sarno 1998” rappresentano l’emblema, è notevolmente cresciuta l’attenzione alle problematiche del dissesto idrogeologico.
Oggi c’è anche la consapevolezza della estrema diffusione di queste problematiche: secondo la classificazione effettuata nel 2003 dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane, in Campania risultano esposti a rischio e pericolosità per le classi elevato e molto elevato ben 474 comuni, pari all’ 86% del totale, per una superficie complessiva pari a 2253,1 Kmq, corrispondente al 16,5 % del territorio.
A fronte della estrema diffusione del problema al fine di tutelare l’incolumità delle persone esposte è chiaramente impensabile poter attuare in tutti i contesti ed in tempi rapidi interventi materiali “di messa in sicurezza”.
Diversamente, tenuto conto che tra le varie tipologie di dissesti una gran parte, che tra l’altro include le più significative in termini di rischio, è rappresentata da quelle attivate da eventi di pioggia, per tali l’unica ragionevole modalità di intervento nel breve termine, che è di tipo “non strutturale”, è la predisposizione ed attivazione dei sistemi di protezione civile locale presso i comuni. L’esperienza ha infatti insegnato che i sistemi di previsione ed allerta e i piani di emergenza comunali, aggiornati e conosciuti dalle popolazioni affinché si sappia esattamente cosa fare e dove andare in caso di emergenza, possono efficacemente fare fronte alle problematiche e quindi salvare le vite umane. Al riguardo la nostra indagine annuale “Ecosistema Rischio – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico”, condotta in collaborazione con la Protezione Civile Nazionale continua purtroppo ad evidenziare una situazione sconfortante ed una forte sottovalutazione dell’approccio.
Quindi, è ragionevole che solo dopo aver assicurato quanto possibile fare nel breve termine per la tutela della incolumità delle persone si proceda in modo organico e secondo i gradi di priorità nella riduzione delle singole situazioni di rischio con interventi strutturali.
D’altro canto, in ragione delle caratteristiche intrinseche, gli interventi strutturali attengono propriamente all’ordine temporale del medio-lungo termine. Gli interventi che vanno dalle opere di tipo passivo, atte a contenere gli effetti dei dissesti (realizzate con le tecniche dell’ingegneria convenzionale e della cd. Ingegneria Naturalistica ex D.P.G.R. Campania n. 574 del 22 luglio 2002), a quelle di tipo attivo, volte ad agire sulle cause determinanti (gestione ed uso del suolo), alle delocalizzazioni, non possono che essere, quindi, il risultato di una attenta pianificazione di Bacino. Una pianificazione che individua le priorità di intervento in area vasta in funzione dei differenziali di rischio tra i contesti e le migliori pratiche del caso sulla base di valutazioni comparative (Analisi Costi Benefici, Valutazione di Impatto Ambientale, Valutazione di Incidenza, Valutazione Ambientale Strategica, ecc.), assicurando efficacia e efficienza ed economicità. Tra le opzioni la delocalizzazione è sicuramente la via più sensata da percorrere anche perché a fronte di condizioni di rischio idrogeologico acclarate difficilmente si riesce a garantire la sicurezza al 100% con opere di tipo passivo (vasche di accumulo, barriere paramassi, ecc.). 



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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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