Quando Ciampi soppresse il 41Bis
Come ricorda Polisblog, nel 1993 ci troviamo in piena epoca di attentati e stragi mafiose. In quel periodo, presumibilmente, si stava anche tenendo la sempre negata trattativa fra lo Stato italiano e la cupola mafiosa. A rivelarlo, alla Commissione Antimafia, è il Ministro della Giustizia dell’esecutivo Ciampi (in carica tra il 1993 e il 1994) Giovanni Conso. In quell’anno, quest’ultimo decide di cancellare, con uno incredibile colpo di spugna, ben 140 decreti di «carcere duro» per i superboss mafiosi proprio come da richiesta dei vertici di Cosa Nostra per far cessare l’escalation degli attentati. Era proprio il 41bis, la norma che fermava il controllo dei boss sugli affari direttamente dalle prigioni, che aveva portato i mafiosi a scatenarsi mettendo bombe a Roma, Firenze, Milano. Eravamo nell’epoca dei governi tecnici, sostenuti con i voti del centrosinistra e questa linea di cedimento dello Stato fu decisa in un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. La fermezza, tanto sbandierata, dopo gli attentati a Falcone e Borsellino non fu quindi seguita ma anzi ci fu una scandalosa retromarcia e accettazione delle richieste dei mafiosi.
Conso, peraltro anche ex Presidente della Corte Costituzionale e componente del Csm, si difende dicendo che fu una decisione solitaria, finalizzata a contenere l’offensiva stragista della mafia (che infatti si fermò). Ciampi ha poi ammesso, anni dopo, che quella scelta fu ragionata al fine di evitare una sorta di colpo di stato da parte di Cosa nostra. Ma nei fatti, lo Stato cedette alla Mafia. E’ come se oggi, l’Occidente riconoscesse l’Isis per fermare le stragi jihadiste. Sarebbe pur sempre una scelta, ma comunque una sconfitta.
Ciampi e l’illusione dell’Euro
Come rammenta poi Left, Carlo Azeglio Ciampi viene anche considerato uno dei principali fautori dell’ingresso dell’Italia nell’Euro. Un ruolo che, a suo modo, Matteo Salvini ha già commentato. Ciampi credeva davvero che l’unione monetaria e quindi l’euro portassero all’Unione politica. «Occorreva anche continuare il lavoro comune per far sì che insieme con il comportamento virtuoso dei singoli, necessario per restare all’interno del sistema, si facesse strada una forma di collaborazione più intensa e continuativa, dalla quale l’Unione Europea nel suo complesso sarebbe uscita rafforzata» ha dichiarato in un’intervista alla stampa nel 2010. Non fu così e gli effetti di quell’errore sono sotto gli occhi di tutti e li abbiamo già pesantemente pagati e chissà per quanto tempo ancora. Da parte di un Presidente della Banca d’Italia non è certo un errore di poco conto.