Per poi proseguire con altri documentari: Quando c’era Berlinguer (2014), I bambini sanno (2015), Milano 2015, con registi vari (2015), Gli occhi cambiano (2016-2017), Indizi di felicità (2017), Tutto davanti a questi occhi (2018) e il primo film vero e proprio C’è tempo, nelle sale in questi giorni. Sebbene, come vedremo, in pochi se ne sono accorti.
C’è tempo vede come protagonista Stefano (Stefano Fresi), un quarantenne precario che svolge due mansioni: l’osservatore di arcobaleni e il guardiano di uno specchio che riflette i raggi del sole illuminando il paesino di Viganella, dove l’uomo si è trasferito insieme alla moglie Luciana (Simona Molinari). Mentre fa la guardia allo specchio, Stefano viene raggiunto da una notaia che gli affida la tutela legale di un ragazzino, Giovanni, che risulta essere suo fratellastro, in quanto figlio di secondo (o terzo, o quarto….) letto di quel padre che Stefano non ha mai conosciuto.
Inizia qui un percorso di reciproca conoscenza fra il quarantenne sovrappeso e chiacchierone e il 13enne sottotaglia e compassato, che prenderà la forma di un road movie fra Emilia Romagna e Toscana.
Il film non è stato recensito molto bene, tanto che ad esempio MyMovies gli assegna a stento 2 stelle. Basta solo leggere il titolo della recensione di Paola Casella:
“VELTRONI DICHIARA LA SUA GRANDE PASSIONE CINEFILA, MA VIRA OGNI VOLTA CHE LA STORIA PRENDE UNA PIEGA DOLOROSA”.
Ma le vere note dolenti giungono dal botteghino. Ecco i numeri imbarazzanti relativi agli incassi di C’è tempo di Walter [sta_anchor id=”veltroni”]Veltroni[/sta_anchor].
C’è tempo incassi
Come riporta Il Giornale, quello di C’è tempo è stato un debutto da (s)profondo rosso. Colore a lui caro, ma non quando si tratta di tirare le somme degli incassi. Ebbene, l’esordio del primo segretario del Pd, distribuito in ben 188 sale, ha racimolato, al botteghino, appena 15.659 euro (dati cineguru.screenweek.it). Ringraziando almeno i 2.704 valorosi cinefili che hanno fatto la fila (si fa per dire) per ammirare scene cult come quella del drone che, dall’alto, riprende, poeticamente, da lontanissimo, i due protagonisti. Mentre, a bordo strada, fanno la pipì.
Per capirsi, giusto per non venire tacciati di ideologia, ma limitandosi ai numeri nudi e crudi, nello stesso giorno, il documentario Free Solo, che racconta una delle incredibili imprese dello scalatore Alex Honnold, ha totalizzato, in appena 6 sale, dove spesso facevano una sola proiezione, 24.364 euro.
Meglio poi non confrontarlo con le pellicole che stanno tirando di più.
In definitiva, la sua media, per schermo, è stata di 83 euro. Roba da record negativo che neanche il Pd alle recenti elezioni. Che poi, a voler fare i puntigliosi, se dividete i 2.704 biglietti venduti per il numero delle sale, otterrete che ogni esercente ha staccato, in totale, tagliandi per meno di 14 persone. Quasi una media di 4-5 spettatori a proiezione.
Ma volendo anche considerare che il giovedì ci si rechi meno al cinema, i numeri però diventano ancora più impietosi se si considerano quelli di Mymovies. Che invece parla di un maggior numero di sale: 206.
Secondo i calcoli del portale, da giovedì a domenica, il film ha incassato 189mila euro. Ossia circa 917 euro a sala, 229 euro al giorno. E difficilmente incasserà molto di più, visto che solitamente il primo weekend di uscita è quello decisivo.
Insomma, a «Uolter», l’arcobaleno va ancora di [sta_anchor id=”veltroni”]traverso[/sta_anchor].
Veltroni tra i fautori principali della morte della sinistra italiana
Walter Veltroni è passato alla storia per aver distrutto la sinistra italiana. Il primo ruolo politico risale al 1981, quando fu eletto come consigliere comunale a Roma. Una carriera durata oltre trent’anni, della quale si ricorda soprattutto l’incarico da Sindaco ricoperto dal 2001 al 2008. Molto apprezzato, tanto da essere eletto la prima volta col 52% e la seconda col 61. Sebbene occorra ricordare che all’epoca i sindaci beneficiavano di ben altre risorse finanziarie e che lui non risolse, al pari del suo predecessore Rutelli e successore Alemanno, il problema della discarica di Malagrotta.
Inoltre, come riporta Wikipedia, Report lo accusò di un autentico “sacco urbanistico” ai danni della città. Attraverso l’approvazione del nuovo Piano Regolatore, che aveva permesso ai costruttori di edificare ben 70 milioni di metri cubi di cemento, per un consumo di territorio naturale di almeno 15 000 ettari (una superficie più grande di quella del comune di Napoli).
Ma ciò di cui viene principalmente accusato Veltroni è di aver distrutto la sinistra italiana. Volle fortemente la nascita del Partito democratico, portando la sinistra italiana ad una ulteriore svolta moderata e liberale. Sulla scia dei lib lab Clinton e Blair anni ‘90. Inoltre, alle elezioni del 2008, esordienti per il Pd, decise di non allearsi con la Sinistra arcobaleno. Scelta che sancì il ritorno al governo di Berlusconi. In realtà, secondo Prodi, fu proprio la scelta di Veltroni di sganciare il Pd da Udeur e sinistra massimalista, a provocare la caduta del suo governo ad inizio 2008. due morti con un sol colpo insomma.
Erano gli anni dei girotondi, del Popolo viola, del primo V-Day. Embrioni di ciò che diverrà il Movimento cinque stelle qualche anno dopo. E non a caso, Veltroni è stato più volte definito da Beppe Grillo “il miglior alleato di Berlusconi”
A proposito di quest’ultimo, secondo il libro di Michele De Lucia, “Il Baratto”, Walter Veltroni, come responsabile Comunicazioni di massa del PCI e seguendo la linea del partito all’epoca, avrebbe aiutato a ratificare nel 1985 il decreto di Craxi. Il quale permetteva a Silvio Berlusconi di aggirare la decisione di tre pretori del 16 ottobre 1984 di procedere al sequestro nelle loro regioni di competenza del sistema che permetteva la trasmissione simultanea nel Paese di tre canali televisivi. Questo in cambio, sempre secondo il libro, di Rai 3 al PCI.
A più riprese, Veltroni dichiarò di non sentirsi comunista. Malgrado il fatto di aver militato nel Pci fin dagli anni ‘70. Una delle sue dichiarazioni più famose infatti dice «Si poteva stare nel PCI senza essere comunisti. Era possibile, è stato così» (1995). In un’intervista di Gianni Riotta al quotidiano La Stampa (1999) dichiarò «Comunismo e libertà sono stati incompatibili. Questa è la grande tragedia dopo Auschwitz». E ancora: «Io ero un ragazzo, allora, ma consideravo Brežnev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere».
Uno dei tanti finti comunisti, insomma. Di quelli che hanno usato l’effige del Pci e la retorica del popolo per farsi la propria bella carriera. E chissà che, dopo il flop del suo primo vero e proprio film, Veltroni non decida di rientrare in politica. In fondo, ha ancora 63 anni. C’è tempo.