Il suo primo album “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, presenta al pubblico un giovane ribelle di una piccola cittadina frazione di Modena, Zocca, a cui piace andare al massimo, divertendosi con gli amici, andando a donne…”che se ne frega di tutto si!” insomma. La prima opera presenta già canzoni successivamente divenute tra le favorite dei fans, quali “La nostra relazione”, “Jenny è pazza”, “Ciao”.
Da allora, Vasco prosegue con altri album, ognuno dei quali narra le difficoltà di vivere, di donne forti e anche fragili, della voglia di urlare il proprio dissenso, del menefreghismo tipico adolescenziale e dei ventenni, di storie d’amore finite o piene di difficoltà, di un romanticismo mai banale, del modo di affrontare la vita con ironia…Tutti temi in cui i giovani si rivedono, da ormai 4 generazioni. Certo negli anni la genuinità di quel ragazzo di un paesino, è diventata una costruzione commerciale, ma è un qualcosa di inevitabile. Quando arriva il successo, ciò che ha portato un artista a quello, diventa routine, quasi un obbligo per non perdere colpi. E così negli anni, diciamo forse dal periodo successivo a “Gli spari sopra” del ‘93, album che per me resta l’ultimo contenente spunti nuovi e canzoni storiche (basti pensare a “Gli spari sopra”, “Gabry”, “Stupendo”, “Vivere”), Vasco ha ripetuto i contenuti delle migliori canzoni, cercando la stessa ricetta, ma non ottenendo certo lo stesso prodotto finale. Così resta lo stereotipo della canzone ribelle, simil-romantica, ironica, menefreghista, ma che sono lontani parenti di quelle più celebri. E la continua uscita di nuovi album non ne ha certo aiutato la creatività.
Forse se Vasco avesse proposto dischi ogni 4-5 anni, avrebbe offerto una maggiore qualità e suscitato una maggiore desiderabilità negli stessi fan. Anche perché 24 album in 30 anni sono un bel po’, quasi un album all’anno. E posso capire la frequenza dettata dalla creatività degli inizi e dalla necessità di farsi conoscere agli esordi; ma raggiunta questa, ad esempio a partire dagli anni ’90, le uscite discografiche andavano meglio dosate. Perché il risultato ne ha risentito parecchio.
Ma questa è una “malattia” che colpisce tutti i cantanti e i gruppi blasonati. Raggiunto il picco, si finisce per scadere.
Al di là dei miei futili e banali commenti, faccio i miei auguri a Vasco, ringraziandolo per le emozioni che mi ha regalato, ascoltandolo già verso gli 8-9 anni. E lo omaggerò andando ad un suo concerto tra qualche giorno. Perché le canzoni poco convincenti di oggi, non possono cancellare le perle del passato.