SETTANT’ANNI FA NAPOLI SI RIBELLAVA AI NAZIFASCISTI
SEBBENE SI PARLI DI 27-30 SETTEMBRE 1943, LE PRIME RIBELLIONI INIZIARONO GIA’ ALL’INDOMANI DELL’8 SETTEMBRE, DOPO L’ARMISTIZIO
Tra qualche giorno ricorrerà il settantesimo anniversario delle “Quattro giornate di Napoli”, quando la cittadinanza partenopea si ribellò ai nazifascisti in modo spontaneo, senza spinte politiche né partigiane. Le date consegnate alla storia vanno dal 27 al 30 settembre. Ma i moti popolari iniziarono già all’indomani dell’8 settembre 1943, quando il Generale Badoglio proclamò l’entrata in vigore dell’armistizio con gli Alleati. Ne ha parlato la storica Gabriella Gribaudi al Corriere del Mezzogiorno.
I PRIMI SCONTRI – «Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando i napoletani iniziarono a reagire ai tedeschi, vicino alle caserme, e in via Marina. C’erano anche molti soldati italiani sbandati che partecipavano agli scontri. Ma la cosa interessante è che c’è una nutrita documentazione tedesca in proposito: dalle carte emerge una richiesta di aiuto per sedare l’insurrezione in città».
IL SEGUITO – «Il 12 ci furono gli episodi più pesanti. Davanti alla caserma Zanzur vennero presi sei ostaggi tra cui quattro finanzieri, poi uccisi a piazza Borsa, dove una lapide li ricorda. Nel frattempo si registrarono altri scontri vicino all’Università. Lo sappiamo dalla testimonianza poi rilasciata agli Alleati dal custode di allora. Alle 15 si presentò nel Cortile del Salvatore una compagnia di soldati tedeschi a sostenere che dall’Università erano arrivati spari. Così appiccarono il fuoco e catturarono il marinaio che poi fu fucilato sulle scale. Tutti coloro che erano stati rastrellati furono obbligati ad assistere all’esecuzione, l’episodio è stato anche riportato da Nanni Loy nel suo film su ‘‘Le Quattro giornate”».
I RASTRELLAMENTI DEI TEDESCHI– «I tedeschi rastrellavano uomini per usarli nel lavoro coatto in Germania. In Campania fu una procedura molto usata, in particolare si ricorda la data del 23 settembre. Uno dei luoghi dove c’è una memoria forte di questo episodio è Castellammare, dove si dice furono rastrellati cinquemila uomini. A Napoli i tedeschi avevano maggiore timore a rastrellare proprio perché erano in corso scontri e si temeva la reazione della popolazione. Il rastrellamento in forze a Napoli iniziò il 27 e fu probabilmente una delle cause scatenanti del moto insurrezionale. In pratica gli uomini si difesero, ma, già nei giorni precedenti, al proclama del colonnello Schöll che ordinava agli uomini di presentarsi risposero solo in 150».
«Sono andata a controllare i registri dei morti del Comune di Napoli. Si arriva a circa 663 morti, tra cui 69 donne, cifra paragonabile a quella dei morti nelle insurrezioni di Milano o Torino o Genova. La rivolta di Napoli sotto questo profilo era stata molto sottovalutata. Bocca e altri saggisti hanno parlato di 60 morti a Napoli, non è una cifra rispondente alla realtà».
LE INTERPRETAZIONI POLITICHE– «L’interpretazione delle Quattro giornate è sempre stata politicizzata. La sinistra però le ha mitizzate fino a un certo punto. In un certo modo se n’è impadronita e ha cercato di enfatizzarle come primo episodio della Resistenza, ma al tempo stesso il moto non rispondeva ai modelli della lotta comunista e quindi è stata considerata una rivolta di serie B. In realtà le Quattro giornate sono davvero una rivolta dal basso, avvenuta quando non c’era ancora il Comitato di liberazione nazionale. La ribellione ai tedeschi si organizzò in base ai quartieri e alle strutture di base della città. Parteciparono i soldati e anche gli studenti che erano larvatamente antifascisti. Ma bisogna considerare che l’antifascismo ancora non esisteva in forme organizzate».
A destra c’è stata addirittura una corrente negazionista, pensiamo a Vincenzo Erra con il suo volume ‘‘Le quattro giornate che non ci furono”: una tesi che a Napoli ha avuto una certa presa. Eppure, come ho dimostrato, ci sono anche documenti tedeschi in proposito. Negli anni Cinquanta, invece, ambienti democristiani preferirono parlare della ‘‘rivolta degli scugnizzi” e così facendo hanno sminuito il moto. Certo, ci sono stati anche morti bambini ma dalle liste delle vittime è evidente che l’età media dei combattenti era più adulta. In ogni caso, destra e sinistra hanno entrambe fatto sì che l’insurrezione di Napoli fosse tirata di qua o di là politicamente senza analizzarla sul serio».
IL FILM DI NANNI LOY – «Ci furono aspre discussioni a sinistra, il film nacque nel quadro del nuovo corso politico del Pci che voleva dare importanza a strati sociali più ampi. Loy fu accusato di populismo e di indulgenza verso la napoletanità, Carlo Bernari rifiutò di riconoscere la sceneggiatura a cui aveva collaborato. Personalmente però io condivido quella lettura: il moto fu davvero espressione di un’insurrezione popolare. La sinistra ha voluto dargli l’etichetta di episodio di antifascismo ma lo ha fatto dopo che era passato già molto tempo».