Tav sì, Tav no. Il dibattito continua, come da 15 anni a questa parte. Della questione ho parlato già approfonditamente qui.
La Lega vorrebbe realizzarlo. Il Movimento cinque stelle no. Anche perché in quella area ha preso la metà delle preferenze, proprio cavalcando il No. E dopo aver fallito sull’inceneritore di Parma, l’Ilva di Taranto, il Tap in Puglia, il Muos in Sicilia, i pentastellati non possono permettersi un’altra sconfitta.
Intanto, il verdetto della commissione costi-benefici, che ha dato parere negativo visto che i primi superano i secondi, sembra fare acqua da tutte le parti. Visto che nei costi ci sono finiti pure quelli che sosterrebbero Ue e Francia.
I principali partiti di opposizione, Partito democratico e Forza Italia, sono invece favorevoli al Tav. Parlando di grande occasione per non restare tagliati fuori da una opera di livello europeo. Che però, a mio avviso, è stata pensata trent’anni fa. Mentre il primo progetto messo nero su bianco risale al 1993.
Altri tempi, un mondo completamente diverso da quello di oggi. Quando neanche si sapeva cosa fosse la digitalizzazione dell’economia e del lavoro. E il commercio era ancora basato quasi interamente sulle merci tangibili.
La recessione economica di questi anni e il fallimento della Globalizzazione ha poi fatto il resto.
Detto ciò, mentre il dibattito politico si avvita ancora intorno al Tav, in Italia sono circa 600 le opere infrastrutturali ancora ferme. Ecco le principali e il dato più [sta_anchor id=”tav”]curioso[/sta_anchor].
Le opere ferme in Italia si trovano soprattutto al Nord
Come riporta Il Corriere della sera, i cantieri bloccati in Italia sarebbero almeno 300 secondo il vicepremier Matteo Salvini. Oltre 600 secondo la Filca, il sindacato del settore costruzioni della Cisl. Ma non bisogna per forza guardare ai grandi numeri per pesare l’effetto delle opere ferme sull’economia del Paese. Basterebbe concentrarsi su poche voci dall’alto peso specifico, come i 25 cantieri delle grandi opere con un valore superiore ai 100 milioni di euro. Una lista di progetti attualmente fermi segnalati al governo dai costruttori, che messi insieme arrivano ad un importo complessivo di 24,6 miliardi di euro, ovvero poco meno di quanto valeva tutta l’ultima Legge di Bilancio. E non basta. Perché considerando anche l’indotto, il valore delle grandi opere ferme arriva a 86 miliardi. Con la possibile attivazione di 380 mila posti di lavoro, che oggi servirebbero come il pane.
Guardando la mappa dei cantieri bloccati si capisce anche perché, oltre che per una diversa cultura e visione politica, le Lega prema per farli ripartire, mentre il Movimento 5 Stelle abbia una posizione decisamente più prudente. La metà delle grandi opere ferme, in valore siamo a 12,6 miliardi, riguarda il Nord del Paese. E questo è il dato più curioso, visto che, solitamente, si ritiene il Sud Italia più inefficiente nel completamento delle opere.
In particolare la Lombardia, con l’alta velocità ferroviaria tra Brescia e Verona che vale 1,9 miliardi di euro e l’autostrada Cremona—Mantova che ne vale uno. Poi c’è il Veneto, con il sistema delle tangenziali, opera da 2,2 miliardi, la terza corsia dell’A22 del Brennero, con un importo di 753 milioni. Anche questi fermi, per un motivo o per un altro.
C’è la Liguria, con la Gronda di Genova che da sola vale 5 miliardi, e la nuova Aurelia, che comporta investimenti per 255 milioni. Ma tra le opere in difficoltà c’è anche l’Autostrada Cispadana in Emilia-Romagna (1,3 miliardi). Nel Centro i grandi lavori bloccati ammontano a 5,3 miliardi. Praticamente tutti in Toscana con la terza corsia dell’autostrada Firenze—Pistoia, 3 miliardi di euro, e i lavori per l’autostrada Tirrenica, 1,8 miliardi. Al Sud i lavori bloccati valgono 3,1 miliardi di euro.
Una torta che va in gran parte in Calabria con il megalotto della Statale Jonica, per un importo di 1,3 miliardi di euro, e l’ospedale di Reggio Calabria, 114 milioni, e in Sicilia con l’asse viario tra Nord e Sud, per una spesa mancata di 748 milioni.
A questa lista di grandi opere ferme per problemi amministrativi o burocratici, si sommano quelle in stand by perché sottoposte all’analisi costi—benefici voluta dal ministro del Movimento 5 Stelle Danilo Toninelli. Non solo la Tav fra Torino e Lione ma anche il tunnel del Brennero e le Pedemontana del Veneto, per fare due esempi. E ci sono i cantieri più piccoli, sui quali l’Ance, associazione dei costruttori edili, svolge un monitoraggio capillare con il sito internet dedicato “sbloccacantieri.it”.
I casi segnalati sono oltre 300: gli ultimi quelli del sottopasso ferroviario di Trani e il liceo scientifico dell’Aquila che a dieci anni dal terremoto è ancora a pezzi.
È sostanzialmente fermo anche il cantiere del terremoto Centro Italia, che sarebbe uno dei più grandi d’Europa, con 70 mila case da ricostruire. Per rimborsare i danni alle abitazioni private lo Stato ha messo sul piatto 13 miliardi di euro due anni e mezzo fa, ma finora sono stati spesi appena 350 milioni.