Papa Francesco, il passato fascista di cui non si parla

Papa Francesco – al secolo Jorge Mario Bergoglio – è in carica da ormai 6 anni. Essendo salito al soglio pontificio il 13 marzo 2013. Il 266º papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, 8º sovrano dello Stato di Città del Vaticano. Di origini italiane, essendo nato in una famiglia di origini piemontesi e liguri. Primogenito dei cinque figlidi Mario, funzionario delle ferrovie salpato nel 1928 dal porto di Genova per cercare fortuna a Buenos Aires, e di Regina Maria Sivori, una casalinga.

In questi anni, Papa Francesco si è fatto apprezzare per la pulizia che ha avviato nel Vaticano. Affrontando anche tematiche molto spinose come la pedofilia. Ma anche il modo di comunicare schietto e diretto, che arriva subito alle persone. Non disdegnando critiche ai potenti e a quanti, capovolgendo quanto disse Cristo: non fanno quello che sanno. Ovvero, non si impegnano davvero per migliorare la vita dei popoli.

Papa Francesco ha fatto della comunicazione la propria arma migliore. Sfruttando anche i Social. Con una popolarissimo account su Twitter e, di recente, lanciando pure una app per Android e iPhone. Comprendendo che tutti gli strumenti sono validi per raggiungere i giovani, ormai lontani da una Chiesa ingessata e chiusa in se stessa.

Ma Papa Francesco nasconde anche un passato molto attivo in politica. Nelle fila dell’estrema [sta_anchor id=”papa”]destra[/sta_anchor].

Papa Francesco molto attivo nell’Argentina peronista

A ricostruire questo passato poco conosciuto di Papa Francesco è Marcello Veneziani su La Verità. Il quale a sua volta prende spunto dalle pagine del libro di Emidio Novi, La riscossa populista, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro).

Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del Comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava “Meglio così”. Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino Clarin, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista.

Per la cronaca, la Guardia di Ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul Corriere della sera una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, Da inviato di guerra (ed. Ar). Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti.

Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3500 militanti e 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi.

A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.

Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali “Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato papa” e Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: “Bergoglio non ci avvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi”.

Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista.

Emidio Novi chi è

Emidio Novi

Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi “Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980”. Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale. Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia.

Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché considerava l’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.

In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del “papulismo” di Bergoglio, della sua teologia “improvvisata e arruffona”, della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa “uno strumento dell’anticristo”, funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere.

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