Dopo un parto più che travagliato, col feto in realtà già dato per morto, è nato il Governo Conte. Ci sono voluti 48 giorni, che in fondo però non sono molti considerando la legge elettorale contorta che il Parlamento ha approvato (proprio finalizzata a non dare una maggioranza a primo acchito e magari portare al governo un nuovo esecutivo inciucista Pd-Forza Italia, col solito burattino di Bruxelles come Premier). Ma considerando pure il fatto che in Germania socialisti e cristianodemocratici (Spd e Cdu) ci hanno messo 6 mesi per formare un esecutivo, malgrado abbiano già governato insieme.
In questi 48 giorni, il Presidente della Repubblica ha provato più volte a far trovare una intesa tra i Cinquestelle – partito più eletto – e le altre forze politiche. Il centrodestra, soprattutto per il reciproco diniego con Forza Italia, aveva detto di no. Così come il Pd, e sempre per i toni che in questi ultimi 5 anni sono stati sempre accesi. I tentativi di Mattarella sono stati intervallati da quelli dei due Presidenti delle Camere.
Poi la svolta: essendosi prefigurata alle porte la possibilità di un Governo tecnico “del presidente” o nuove elezioni, Salvini ha deciso di staccarsi dai suoi alleati e di aprire un dialogo col M5S. Sempre professatosi possibilista per questa opzione. In fondo, i punti di convergenza Di Maio-Salvini non sono pochi. Inizia così un dialogo che porta alla redazione di alcuni punti programmatici di massima e anche ad una lista dei Ministri. Ma qui casca l’asino.
A Sergio Mattarella non piace il nome di Paolo Savona come Ministro dell’economia, per alcune frasi accese come queste. Tutto una settimana fa sembra dunque saltare, tra i diktat di Mattarella e la volontà a fini speculativi di Salvini di non avanzare un altro nome. Così, il Presidente della Repubblica ha avanzato il nome di Carlo Cottarelli, definito Mr Spending review avendo già collaborato con il Governo Letta come commissario per il taglio degli sprechi pubblici. Il che sapeva di clamoroso e di beffa: un uomo vicino a chi ha perso le elezioni, il Partito democratico, aveva di fatto l’incarico di governo.
A questo punto i toni si sono accesi, con Di Maio che parla di Impeachment e Salvini che già tuona alla rivoluzione in strada via Social. I due però, sbollita la rabbia, riprendono a trattare e sostituiscono il nome di Savona con quello Giovanni Tria. Che ha l’ok di Mattarella. Il Governo Conte può così partire, mentre si attende la reazione dei mercati. Severi osservatori delle nostre scelte politiche ed economiche.
Una cosa però è certa: con la nascita del Governo Conte ha vinto la democrazia, sospesa in Italia da fine 2011, e hanno perso la burocrazia e la tecnocrazia di Bruxelles. Oltre alle ragioni intoccabili della Borsa e le intimidazioni dello Spread. Governa chi ha vinto le elezioni: il partito più votato e il leader politico col più alto tasso di popolarità.
Gli italiani hanno dato una impronta precisa alla propria scelta elettorale: la volontà di cambiare questa Unione europea così com’è, rallentare il flusso di immigrati, migliorare la sicurezza urbana, ridurre la pressione fiscale, riavvicinarsi alla Russia ed essere meno pavidi nei confronti della Germania della Merkel, rivedere il Jobs Act e la Legge Fornero.
Ci riusciranno? Vedremo. Il Governo Conte non è male, ma alcune cose non mi convincono. Ecco quali.
Salvini Ministro degli interni, molte promesse irrealizzabili
Partiamo proprio da Matteo Salvini, il quale, proprio come Di Maio al Lavoro per la questione reddito di cittadinanza, quanto meno, ci ha messo la faccia. Da quando è segretario della Lega – anno 2014 – a mezzo Social e tramite comparsate televisive elenca le cose che farebbe se fosse Ministro degli interni o addirittura Premier. Rimpatri di massa per gli immigrati irregolari, maggiori poteri alle forze dell’ordine, diritto alla legittima difesa, certezza della pena, abolizione della Legge Fornero e Flat tax, abolizione studi di settore.
Ma quanto le sue promesse sono fattibili? A frenarlo è già lo stesso Ministero degli interni. Come riporta Il Corriere della sera, I colloqui avuti la scorsa settimana e nelle ultime ore, primo fra tutti quello con il capo della Polizia Franco Gabrielli, si sono concentrati proprio sulle priorità da affrontare. Al prossimo appuntamento con l’Europa, fissato martedì a Strasburgo, dove si continuerà a discutere delle modifiche all’accordo di Dublino sui richiedenti asilo, Salvini non ci sarà.
Ma la linea sembra tracciata: se il trattato non sarà cambiato, l’Italia potrebbe allinearsi agli Stati del blocco di Visegrad — Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia — che mirano a far saltare il tavolo, accusando così l’Europa di non voler fornire alcuna assistenza concreta a chi si trova in prima linea rispetto agli arrivi degli stranieri.
La vera emergenza rischiano di essere gli sbarchi nelle prossime settimane e mesi e dunque si dovrà stabilire quale direzione prendere nei rapporti con il governo libico. «Devo studiare», risponde Salvini a chi gli chiede se l’accordo con il libico Al Sarraj sarà rinnovato. È certamente anche su questo che si gioca la scommessa del nuovo governo, perché la gestione di Marco Minniti ha portato a una diminuzione di arrivi pari al 78% rispetto al 2017, ma con una programmazione di investimenti e aiuti dei Paesi africani di provenienza che adesso si dovrà decidere se confermare. Prima di essere nominato ministro, Salvini aveva annunciato di voler effettuare decine di migliaia di rimpatri e ne ha parlato nei colloqui informali dei giorni scorsi.
Le resistenze dei Paesi di origine continuano però a essere fortissime, senza il rinnovo di accordi che prevedano nuove forme di cooperazione sarà impossibile riportare gli stranieri a casa.
Un altro dei temi da affrontare è quello della sicurezza urbana. Ieri Salvini ha detto di voler «far prevalere i sindaci rispetto ai prefetti» provocando non poche agitazioni al Viminale. Anche perché in campagna elettorale aveva annunciato di voler «radere al suolo i campi rom» e il timore è che possano emergere contrasti tra chi è delegato alla gestione delle emergenze e chi governa le città.
Questione da affrontare è anche la scelta dei sottosegretari. Tra le persone vicine a Salvini c’è Gianni Tonelli, l’ex segretario del Sap — il sindacato di destra della Polizia — eletto alla Camera proprio con la Lega. Qualcuno ipotizza che potrebbe essere nominato nonostante le recenti posizioni critiche che ha assunto nei confronti degli attuali vertici della pubblica sicurezza.
Giovanni Tria, il nuovo Ministro dell’economia scettico su Reddito di cittadinanza e per aumento Iva
Giovanni Tria è il nome subentrato al contestato – da Mattarella – Paolo Savona. Come riporta Il Giornale, Giovanni Tria è presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione e professore ordinario di economia politica all’università di Tor Vergata. Nato a Roma 70 anni fa (da compiere il 28 settembre) si è laureato nel 1971 in Giurisprudenza alla Sapienza, parla inglese e francese.
La sua figura, a leggere le ultime dichiarazioni rilasciate, sembra essere vicina alle posizioni della Lega e un po’ più distante da quelle del M5S. Anche se, in generale, criticava il contratto Lega-M5S proprio per la sua vaghezza in termini di coperture.
“In genere – scriveva Tria su Formiche.net – la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione e fino ad oggi non è emerso un accordo chiaro su quali siano i paletti di bilancio che si vorranno rispettare. Se le compatibilità di bilancio del programma dipenderanno da un improbabile mutamento delle regole europee (abbiamo già avuto un governo che è partito con il proposito di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles) o se queste regole saranno forzate”.
Almeno per quanto riguarda le due misure chiave contenute all’interno del contratto di governo (che forse gli toccherà applicare), il suo profilo sembra affine ai leghisti. Negli scorsi giorni, infatti, dalle colonne di Fomiche.net, sito con cui collabora, Giovanni Tria aveva commentato le misure contenute nell’accordo. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, diceva che
“non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, (e tale da avvicinarla a sistemi già presenti in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, certamente più generosa dell’Italia con chi perde il lavoro) e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”.
Positiva, invece, la posizione sulla flat tax, bandiera del programma della Lega.
“Più interessante è l’obiettivo della flat tax – spiegava l’economista -, che coincide con l’obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti”.
Tria dovrà trovare le risorse per implementare il libro dei sogni giallo-verde.
“Naturalmente – faceva notare Tria sulla flat tax – conterà anche in questo caso la sua declinazione specifica per valutarne la sostenibilità – avvertiva Tria – . Si parla di partire con una doppia aliquota. La questione è tecnicamente complessa ma ciò che conta è avviare il processo di semplificazione del sistema e la sua sostenibilità dipende non tanto dall’aliquota unica o le due aliquote, ma dal livello delle aliquote”. Tanto che si è dichiarato favorevole a far scattare le clausole di salvaguardia per finanziare la flat tax. Tradotto: aumento dell’Iva per abbassare le tasse. “Come ho sostenuto da oltre un decennio – scriveva – e non da solo, ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde”.
Anche sulla posizione in Europa il profilo di Giovanni Tria sembra allineato all’idea leghista. Alcuni giorni fa, infatti, sempre su Formiche.net, il professore aveva vergato un articolo dal titolo “Vi spiego la competizione truccata in Europa che favorisce la Germania” in cui lodava le visioni economiche di Paolo Savona e criticava la costruzione dell’Ue troppo favorevole al Berlino. Anche sulla questione dell’euro.
Dunque, Tria non sembra proprio un filo-europeista ed è anche scettico sul reddito di cittadinanza. Inoltre, ipotizza un aumento dell’Iva per coprire la Flat Tax (quando invece Lega e M5S puntano ad un suo abbassamento). Di Maio e Salvini, sempre molto attenti sul web, hanno letto bene il suo pensiero? Intanto, non ditelo a Mattarella, per non ritrovarsi capo-dodici.
[sta_anchor id=”fontana”]Lorenzo Fontana, al Ministero della famiglia un anti-abortista e contro famiglie gay[/sta_anchor]
Nel suo profilo Twitter, si definisce “veronese, cattolico, attualmente Vicesegretario federale della Lega”. Lorenzo Fontana, 38 anni, sarà il ministro per la Famiglia e le disabilità del governo Conte a trazione Lega e M5s. È anche – per ora – vicepresidente della Camera dei deputati ed eurodeputato
Fontana ha una figlia e una laurea in Scienze politica. E’ un leghista da quando ha 18 anni. In una intervista a LaRepubblica, parla della volontà di difendere i diversamente abili, di far aumentare le nascite con politiche più incisive in favore delle famiglie e si dichiara nettamente contro l’aborto cercando di promuovere un potenziamento dei consultori.
“La politica deve occuparsi della famiglia, non possiamo perdere altro tempo. I figli sono l’investimento del futuro. Ogni anno è come se perdessimo una città delle dimensioni di Padova, il calo demografico è paragonabile a quello provocato fra il 1918 e il 1920 dalla febbre Spagnola”.
“Sappiamo quanti anziani ci sono che hanno bisogno di aiuto, sappiamo quanti disabili hanno problemi con le barriere architettoniche, sappiamo quanti problemi ci sono all’interno delle famiglie causati ad esempio dalla ludopatia”. E ancora “in Europa stiamo cercando di intercettare i fondi destinati all’abbattimento delle barriere architettoniche”.
Tuttavia, fanno anche discutere le sue idee sulla famiglia gay, che per lui di fatto non esiste. Del resto, da buon Leghista doc, non può non essere altrimenti. Dimenticando però che la Legge Cirinnà ne ha riconosciuto l’istituto. A tal proposito, in una intervista al Corriere della sera ha detto:
“Ho tanti amici omosessuali, del resto ho vissuto a Bruxelles tanti anni dove ci sono anche nelle istituzioni. E poi la questione non è nel contratto di governo, non me ne occuperò”.
E sul fatto che anche le anagrafi adesso registrano i bambini figli di genitori dello stesso sesso, lui risponde: «Sì, ma una legge in proposito non esiste. Se non esiste una legge dobbiamo decodificare cosa significa quello che sta succedendo».
Insomma, contro aborti e matrimoni gay. Sembra di essere tornati indietro di 40 e passa anni.
Paolo Savona, per lui un incarico paradossale
Come detto all’inizio, il nome di Paolo Savona è quello che ha fatto saltare il primo tentativo di formare un governo giallo-verde. Poi l’incarico è passato a Tria e lui è stato spostato al Ministero per gli Affari Europei
Il che è paradossale. Come riporta Wikipedia, ecco di cosa si occupa questo Ministero istituito a fine anni ‘80:
- svolge le attività di coordinamento ai fini della definizione della posizione italiana da sostenere, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione Europea
- monitora il processo decisionale europeo
- assicura al Parlamento, alle Regioni ed agli enti locali l’informazione sulle attività dell’Unione
- assicura, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, il coordinamento dell’attuazione in Italia della strategia ‘UE 2020’
- cura, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, i rapporti con le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione
- segue le politiche del mercato interno e della concorrenza
- cura e segue la predisposizione, l’approvazione e l’attuazione delle leggi e degli altri provvedimenti di adeguamento dell’ordinamento italiano alle norme europee
- segue il precontenzioso e il contenzioso dell’Unione europea, adoperandosi per prevenirlo
- promuove l’informazione sulle attività dell’Unione e coordina e promuove, in materia, le iniziative di formazione e di assistenza tecnica
Ma come, proprio Savona?! L’uomo anti-Merkel, scettico sull’Euro e critico verso l’Ue?!
Chi è Marco Bussetti, Ministro dell’Istruzione favorevole alla Buona scuola
Un altro punto in comune tra Lega e M5S è l’abolizione della Buona scuola. Peccato però che come Ministro dell’istruzione ci abbiano piazzato uno che ne ha parlato bene. Come riporta Il Post, marco Bussetti ha iniziato la sua carriera come insegnante di educazione fisica alle medie, e ha sempre lavorato nell’ambito della scuola. Ha insegnato Legislazione Scolastica all’università Cattolica di Milano e a quella di Pavia, e negli ultimi anni ha ricoperto diversi incarichi locali come dirigente del ministero dell’Istruzione: nel 2011 fu nominato capo dell’ufficio scolastico provinciale del ministero – “provveditore” – a Monza, e dal 2014 a oggi ha ricoperto la stessa carica a Milano.
È considerato un esperto di gestione scolastica e di integrazione delle attività sportive nei corsi di studio (per un certo periodo ha anche allenato una squadra di basket a Gallarate).
Nei suoi anni da dirigente scolastico a Milano, Bussetti ha partecipato a moltissimi incontri pubblici e dato varie interviste sulla scuola. Si è spesso tenuto alla larga da temi delicati come l’inserimento dei bambini stranieri o la vaccinazione obbligatoria, ma ha parlato di molte altre cose rilevanti per chi frequenta il mondo della scuola.
Un anno fa, per esempio, intervistato da Sempione News durante un evento in una scuola di Bollate ha parlato bene sia dell’alternanza scuola-lavoro, introdotta dalla riforma cosiddetta “Buona Scuola” del governo Renzi, sia della riforma stessa, che ha definito «un’ottima legge». Nel cosiddetto “contratto di governo” fra M5S e Lega, la Buona Scuola viene inserita fra le riforme «insufficienti e spesso inadeguate» introdotte dagli ultimi governi.
Due anni prima aveva già chiarito la sua posizione favorevole all’alternanza scuola-lavoro, molto criticata dagli studenti e da alcune associazioni di insegnanti, in un’intervista data a Repubblica.
Crede che poi, nel concreto, serva davvero agli studenti?
I tempi lo richiedono, è un modo di dare significato al proprio studio, la competenza la acquisisci solo associando la teoria al fare. […]
È favorevole all’introduzione dell’alternanza tra scuola e lavoro anche in questo tipo di scuola [i licei classici, ndr]? Molti istituti, con forme diverse, stanno sperimentando questa strada.
L’alternanza scuola lavoro c’è da tantissimo tempo, il punto è che i professionali e i tecnici l’hanno subito sposata mentre i licei no, non l’avevano trovata interessante o comunque non a misura loro. E invece è giusto cominciare a guardare questa pratica con un occhio diverso, perfino per i classici.
Bussetti si è anche occupato di questioni meno controverse, come i compiti delle vacanze e l’abbigliamento delle studentesse del liceo. Su entrambi ha una posizione tutto sommato conservatrice: riguardo ai compiti, è d’accordo ad assegnarne di meno – «se fossi un docente di scuola primaria o secondaria, non esagererei con milioni di esercizi noiosi e pesanti» – ma non a eliminarli: «Io sono perché si facciano un po’ di compiti, con intelligenza. Invece di stare tutta l’estate seduti sulla sdraio a leggere i fumetti o a giocare col cellulare, meglio essere stimolati da buone letture o attività che tengano acceso, vigile, attento, impegnato il cervello».
Anche sull’abbigliamento delle studentesse più grandi ha provato a tenere una posizione di compromesso fra chi vorrebbe delle restrizioni e chi no.
«Quello dell’abbigliamento, diciamo così, disinvolto delle studentesse non è certo un’emergenza ma è importante far passare il messaggio che da un lato la scuola merita rispetto come istituzione. Ma anche che un certo modo di vestire può penalizzare loro stesse in un determinato contesto. I ragazzi, lo sappiamo tutti, rivendicano il diritto di vestirsi come vogliono. Ma a casa sarebbe importante che ci fosse una maggiore attenzione su questo».
Probabilmente, il M5S non se l’è sentita di riproporre il nome di Salvatore Giuliano, anch’egli pro-Buona scuola e pizzicato dal web. Ma, a quanto pare, pare aver fatto peggio, dato che Bussetti parla bene anche dell’alternanza scuola-lavoro. anch’essa contestata per le esperienze dequalificanti e umilianti proposte agli studenti.
Agli esteri Enzo Moavero Milanesi, il pro-Germania
La scelta di Savona alle politiche comunitarie, è stata controbilanciata da quella di Enzo Moavero Milanesi agli esteri. Infatti, 63 anni, al ministero degli Esteri. Moderato, europeista, vicino alle cancellerie europee.
Come scrive Libero che riprende Il Fatto Quotidiano, proprio per i suoi stretti rapporti con i vertici delle istituzioni europee, Moavero sarà l’uomo in grado di “disinnescare” Paolo Savona, di tenerlo sotto tutela. Tuttavia, ha tratti che possono piacere ai grillini, visto che da ministro agli Affari Europeo per Monti e Letta non ha mai avuto un portaborse, praticamente zero staff, con rarissima apparizioni mediatiche.
Insomma, agli esteri i giallo-verdi preferiscono un filo-tedesco, tradendo i loro propositi di staccarsi da una politica estera eccessivamente germano-subdola. Ma anche questo nome, probabilmente, è stato preferito per calmare lo scetticismo del Capo dello Stato.
Riccardo Fraccaro, Ministro ai rapporti col Parlamento improbabile datore di lavoro
Un altro nome colorito è quello di Riccardo Fraccaro, inizialmente proposto come Presidente della Camera. Come riporta Il Giornale nel curriculum del 37enne trentino c’è una laurea in giurisprudenza, e ora ministro per i rapporti con il Parlamento, c’è più di uno scivolone.
Il primo, un post anti Napolitano, poi rimosso: nel giorno in cui l’ex capo dello Stato accettava di ricandidarsi, era il 2013, il fedelissimo di Di Maio scriveva: «Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Hitler. Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia».
Ma di lui si ricorda anche quell’annuncio con cui cercava un «giornalista tuttofare» offrendo di pagarlo tre euro all’ora. Noto per le sue battaglie a Trento contro l’inceneritore, era stato criticato anche perché, alla sua prima avventura a Montecitorio, voleva assumere il cognato nella sua segreteria.
Barbara Lezzi Ministro per il Sud e quel paio di gaffe
Sempre Il Giornale ci parla di Barbara Lezzi, altra grillina, piazzata al Ministero per il Sud. Un nome che rievoca la Prima Repubblica e i Ministri democristiani. Un Ministero mai servito realmente, se non per facciata e una parvenza di interesse per il Mezzogiorno.
Tornando alla Lezzi, è deputata, paladina no Tap, contro il gasdotto in Puglia. Lei che è di Lecce. Classe 1973, lontane, eppure non troppo, le polemiche che l’avevano pochi mesi fa fatta finire inizialmente nell’elenco dei furbetti dei rimborsi per non aver restituito parte dello stipendio al fondo per il microcredito: un solo bonifico che «non mi ero accorta che non fosse partito». Perdonata.
Anche quando nel 2013 aveva assunto la figlia del suo compagno perché secondo lei «non c’era niente di male».
Famosa soprattutto per un video pubblicato su Facebook nell’agosto scorso, in cui per contrastare il trionfalismo renziano sul Pil, attribuiva la ripresa al caldo e al consumo dei condizionatori.
Danilo Toninelli, Ministro alle Infrastrutture senza alcuna esperienza
E alla fine, un posto al sole è stato trovato pure per Danilo Toninelli dei Cinquestelle. Inizialmente dato come possibile Presidente del Senato. Come riporta Il Fatto quotidiano, l’unica dichiarazione pubblica sul settore fatta da Danilo Toninelli in Tv poche settimane fa: “Le infrastrutture saranno decise in base ai risultati di analisi costi-benefici”. Sarebbe la realizzazione di una rivoluzione promessa e poi tradita per ragioni di consenso elettorale. Consenso che poi, si noti, non si è affatto materializzato per il partito del “generosissimo” (coi soldi nostri) Delrio. Forse può servire da ammonimento per sconsigliare analoghe evoluzioni di “realpolitik” al nuovo venuto, che parte anche lui in modo così promettente.
Si noti che l’analisi costi-benefici, che misura anche importanti impatti sociali, come quelli ambientali particolarmente cari al M5S, ha un senso politico ben più vasto dei propri contenuti tecnici, pur di valenza consolidata a livello internazionale, ed in particolare europeo. Infatti questo approccio riduce l’ “arbitrio del principe”: chi decide in base ad analisi solide e trasparenti, in qualche modo si rende più responsabile dei risultati (è più “accountable”), ma non solo: favorisce anche la qualità del dibattito pubblico ex-ante, spesso preda di opposte ideologie, sia pro che contro i progetti infrastrutturali, o peggio di manipolazioni interessate. Ed anche a questo dibattito pubblico il M5S appare particolarmente attento.
Poi il decisore politico ovviamente può dire: “L’analisi sceglierebbe la soluzione A, ma scelgo la B per ragioni che qui vi esplicito in termini politici, e dei cui risultati vi renderò conto”. Ma opere inutili, come molte attualmente sul tavolo, saranno più difficili da giustificare con slogan indifendibili tipo la “cura del ferro”. Questo slogan è stato usato anche per difendere la Tav, il “terzo valico” Milano-Genova, l’AV Brescia-Padova e simili costosissime amenità, che non supererebbero mai una seria analisi costi-benefici indipendente, come chi scrive si diletta a fare invano da diversi anni a proprie spese.
La prova per il neo-ministro, sull’unico tema sui cui si è espresso, sarà duplice: da un lato il programma di governo nel davvero breve capitolo “Trasporti” attribuisce al costosissimo mondo ferroviario una preminenza non dissimile a quella perseguita da Delrio a dispetto di ogni “rischio” di dover valutare qualcosa. E’ chiaro che valutare costi e benefici è in contraddizione logica con scelte modali ex-ante.
In secondo luogo, ci sarà il problema del Mezzogiorno, territorio verso cui il M5S non potrà non manifestare particolari sensibilità in termini di consenso. Anche qui Delrio poco prima delle elezioni ha promesso fiumi di soldi in ferrovie di dubbia utilità, in quanto probabilmente destinate a rimanere semideserte per ragioni tecniche su cui qui non possiamo dilungarci.
Il ministro Toninelli dovrà accettare il fatto che ferrovie semideserte sono l’ultima cosa di cui il Sud ha bisogno per svilupparsi, mentre investimenti in settori tecnologicamente avanzati sono probabilmente la prima strategia da perseguire.
Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa con l’ombra dei mercenari
Chi è Elisabetta Trenta neoministra della Difesa? Non manca un’ombra anche su di lei. Come riporta l’Huffington Post, questa ombra è legata alla società senza scopo di lucro SudgestAid, di cui è program manager, secondo quanto riporta Il Fatto quotidiano. Secondo il quotidiano Le Point, SudegestAid, che promuove la ricostruzione nei Paesi devastati dalle guerre, “recluta mercenari per il vicino Oriente”.
Il Fatto ricostruisce così la vicenda:
“Che c’entrano i mercenari con la carriera di Trenta? Il legame è Gianpiero Spinelli, ex paracadutista della Folgore, che di mestiere fa il contractor, il combattente in zone di guerra per società private. I quattro militari italiani sequestrati in Iraq nel 2004 erano colleghi di Spinelli. Tre furono liberati, il quarto era Fabrizio Quattrocchi che fu ammazzato. Oggi Spinelli frequenta la Link” dove Trenta insegna intelligence.
Il Fatto spiega in un altro passaggio il possibile conflitto d’interesse per la ministra: Trenta è la presidente del consorzio Criss (Consortium for research on intelligence and security services), creato da Spinelli, che arruolò i quattro italiani rapiti in Iraq.
Repubblica spiega:
“2012. Spinelli racconta di essere stato ingaggiato da Sudgest per recuperare i micidiali missili terra-aria sottratti dagli arsenali di Gheddafi e segnalati dai nostri servizi segreti: una questione di sicurezza nazionale in appalto ai privati. Ma, vista la pericolosità della situazione libica, sempre Spinelli, questa volta in Libia, si dedica ad addestrare 134 ex miliziani a cui affidare la protezione delle zone archeologiche. Poi la guerra civile cancella questa seconda operazione, condotta dai mercenari insieme con il consorzio parauniversitario di Elisabetta Trenta”.
Per il resto, come riporta l’Ansa, ha un curriculum rispettabile. atri caldi come l’Iraq, il Libano e la Libia, una laurea in Scienze politiche con indirizzo economico, due master e la passione per la salsa e il tango Argentino. E’ il curriculum di Elisabetta Trenta, 51 anni tra una settimana, nuovo ministro della Difesa. Capitano della riserva selezionata del corpo di amministrazione e commissario dell’Esercito, la neo titolare di via XX Settembre parla quattro lingue – italiano, inglese, francese e russo – e conosce bene il mondo della Difesa: tra il 2005 e il 2006 è stata sia consigliere per la missione ‘Antica Babilonia 9’ per il ministero della Difesa, sia ‘esperto senior’ nella Task force Iraq, a Nassirya, per la Farnesina.
Ma non solo: nel 2009 è stata richiamata in servizio come capitano della Riserva nella missione Unifil in Libano e nel 2012 ha coordinato un progetto in Libia per la riduzione degli armamenti illegali. E’ inoltre vicedirettore del master in Intelligence e sicurezza della Link Campus University, e ha collaborato con il Centro militare di studi strategici (Cemiss) per il quale ha curato la ricerca “Le guerre per procura”.
Trenta, stando al suo curriculum, è impegnata nel sociale attraverso due associazioni di cui è vicepresidente.
Scarsa attenzione alle donne, ottima scelta il Ministro per l’ambiente
Per il resto, il Governo Conte viene criticato per la scarsa presenza di donne: solo 5 su 18. E per l’assenza di un Ministero delle Pari opportunità. In un Paese dove il femminicidio è ormai una tragica piaga e a livello lavorativo le donne sono ancora vessate, avere un Ministero che prosegua sulla strada della lotta ai diritti dell’altra metà del cielo, è cosa buona è giusta. Certo, ovviamente manco metterci una ex calendarista, come avvenne per il Governo Berlusconi nel 2008.
Il Ministero che mi piace di più resta quello all’ambiente, assegnato a Sergio Costa. Come riporta Webeconomia, nato a Napoli nel 1959, laurea in Scienze Agrarie con un master in Diritto dell’Ambiente, Costa entra nel Corpo Forestale diventando Comandante Regionale della Campania. Attualmente è il generale di Brigata dei Carabinieri. Ha contribuito ha scoprire in provincia di Caserta, la più grande discarica di rifiuti pericolosi in Europa. Una bella dichiarazione di guerra a chi riduce l’ambiente una discarica a cielo aperto.