Napoli e il Sud in generale, vantano tanti primati. Una lunga lista l’ho riportata qui. Poi venne l’Unità d’Italia, che sommata alla sciatteria della politica meridionale – più propensa a pensare alla conservazione dei propri privilegi e del proprio potere, anziché fare le cose utili per la cittadinanza – nonché all’ignoranza ancora radicata nelle periferie delle città, hanno fatto il resto. Il divario tra Nord e Sud è andato via via ampliandosi, vivendo momenti di regressione solo durante il Fascismo e il primo ventennio della Repubblica italiana (il cosiddetto boom economico).
Dagli anni ‘70 è andato di nuovo ampliandosi, con il terremoto degli anni ‘80 che ha dato il colpo di grazia decisivo al Mezzogiorno. Tanto, troppo da ricostruire, a fronte di una politica maneggiona e affarista. Che ha trovato nei cataclismi la propria opportunità di arricchimento in termini meramente economici e di potere.
Ma la storia fortunatamente non si cancella del tutto e c’è sempre chi prova a riportare a galla quella parte che viene cancellata dai vincitori. Negli ultimi anni, peraltro, si è risvegliato un interessante meridionalismo. Che talvolta puzza di ignorante campanilismo da bar, ma spesso è suffragato da tanto di documentazione.
A Napoli va ascritto un altro merito. Da qui è partita la scoperta del DNA. Acronimo col quale si indica l’acido desossiribonucleico o deossiribonucleico (in sigla DNA, dall’inglese DeoxyriboNucleic Acid; meno comunemente ADN, secondo la sigla italiana equivalente). Ossia un acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla biosintesi di RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi
Ecco come andarono i fatti.
L’importante stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli
Come riporta Il Corriere del Mezzogiorno, sono passati meno di dieci anni da quando, nel 1872, è nata la Stazione Zoologica voluta dallo scienziato tedesco Anton Dohrn e le iniziali difficoltà finanziarie sono ormai alle spalle. Neanche lui può immaginarlo a quell’epoca, ma la sua creazione sta per diventare un punto di riferimento a livello mondiale per centinaia di scienziati. Tra questi anche molti Premi Nobel che sulle rive del Golfo svolgeranno studi cruciali per la scienza e l’umanità, come quelli sulla fecondazione artificiale e sull’ereditarietà, fino alla scoperta del Dna.
Intanto, alla metà degli anni ’80 dell’Ottocento, le innovative idee di Dohrn danno i loro frutti. L’acquario richiama turisti e visitatori, gli straordinari reperti di Salvatore Lo Bianco sono venduti in tutta Europa ma, soprattutto, i famosi «tavoli di studio» funzionano a pieno ritmo e portano subito a due importanti risultati: il riconoscimento del prestigio della Stazione da parte del governo italiano e la creazione di una comunità internazionale di scienziati che accorrono a Napoli, attratti dalla possibilità di confrontare studi e teorie. I tempi sono cambiati perché, se qualche anno prima qualcuno aveva ironicamente definito la Stazione «una pescheria con sopra una piccola università», adesso è la Regia Marina Italiana a chiedere la sua collaborazione per istruire un ufficiale da mandare in giro per il mondo a raccogliere campioni di fauna e flora marina, durante una delle previste missioni di circumnavigazione del globo. È la storia della nave Vettor Pisani, che abbiamo raccontato qualche tempo fa su queste pagine.
Nel 1889 sono già 500 gli studiosi passati sui tavoli della Stazione che, nel frattempo, si va ampliando grazie al Comune di Napoli che ha donato 10.000 lire e concesso, gratuitamente, altro suolo nella Villa Comunale, mentre vari ministeri italiani ed enti stranieri sostengono finanziariamente l’Istituto. Sul versante scientifico, intanto, Dohrn intuisce che la fisiologia, cioè la scienza che studia le funzioni degli organismi viventi per decifrare le leggi che regolano i fenomeni vitali, è a un punto di svolta e ha bisogno di esplorare nuovi campi. Così, nel 1882, decide di realizzare un nuovo laboratorio dedicato a questa disciplina: ad aiutarlo sono alcuni dei migliori scienziati del mondo; tra questi Emil Fischer, Nobel per la chimica nel 1902 e Paul Ehrlich, Nobel per la medicina nel 1908.
Quando Dohrn muore, nel 1909, il nuovo laboratorio è terminato da soli tre anni e la Stazione è in piena salute: conta circa 150 locali su oltre 2000 metri quadrati, uno staff fisso di 50 persone e 40 tavoli di lavoro che, fino alla prima guerra mondiale, saranno occupati 2.400 volte. E a stupire non è solo la quantità di ricerca svolta ma, soprattutto, la sua altissima qualità.
Tra il 1889 e il ’91, il fisiologo tedesco Jacques Loeb realizza a Napoli la fecondazione artificiale sui ricci di mare mentre, negli stessi anni, il biologo tedesco Theodor Boveri sperimenta l’ibridazione fra specie diverse di ricci, proponendo una prima teoria cromosomica dell’ereditarietà.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, l’americano Thomas H. Morgan conduce alla Stazione esperimenti di embriologia su svariati animali mentre, tra il 1908 e il 1914, il tedesco Otto Warburg studia i processi chimici coinvolti nella crescita e nella respirazione cellulare. Grazie a queste ricerche, entrambi vinceranno il Nobel per la medicina, il primo nel 1933 e il secondo nel 1931.
Da Napoli partita la scoperta del DNA
Così non dovrebbe sorprendere che, in tempi più recenti, la scoperta del Dna abbia avuto origini napoletane. A confermarlo è James Watson, l’americano che nel 1951 lavorò per alcuni mesi alla Stazione grazie a una borsa di studio e che, nel 1962, ebbe il premio Nobel per la medicina per la scoperta del Dna e del suo ruolo nella trasmissione dell’informazione nella materia vivente. Ricorda lo scienziato:
«Lavoravo in biblioteca e per la prima volta vidi l’immagine della molecola del Dna ottenuta con la diffrazione a raggi X. Non voglio farla grossa, ma la scoperta del Dna è iniziata all’ombra del Golfo e l’ho raccontato nel libro La doppia elica. Napoli, quindi, è stato un luogo fondamentale per me».
E che Napoli sia stata davvero un luogo fondamentale per i tanti scienziati che vi hanno lavorato in quasi 150 anni, è testimoniato dal fatto che essi stessi hanno coniato l’espressione «Naples Experience», per definire l’unicità del periodo trascorso qui.