LA GRANDE STUCCHEVOLEZZA DI PAOLO SORRENTINO E COME FUNZIONA LA PREMIAZIONE DEGLI OSCAR

PREMIATO COME MIGLIOR FILM STRANIERO, MOSTRA IL BELLO E IL BRUTTO DI ROMA. MA E’ ANCHE UNA RIFLESSIONE SULL’ESISTENZA. COME SUO STILE, IL REGISTA NAPOLETANO FARCISCE, PIU’ CHE IN PASSATO, LA SCENEGGIATURA CON IMMAGINI STUCCHEVOLI. MERITEVOLI ANCHE GLI ALTRI FILM CONCORRENTI. MA GLI OSCAR HANNO DEI MECCANISMI CHE VANNO OLTRE IL SEMPLICE MERITO
Abbiamo aspettato 15 anni per vederci riconosciuto un film in America, dopo l’Oscar come miglior film straniero andato a Roberto Benigni per La vita è bella. Film straordinario per il suo modo semplice e toccante di raccontare il dramma dell’Olocausto. Ad essere premiato, come ormai stranoto è ora La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Un film sulla “bellezza e l’Inferno” (per dirla alla Roberto Saviano) di Roma. Una città fatta di panorami mozzafiato, bellezze culturali straordinarie, ma anche di una borghesia cinica e volgare. Ma come ha ammesso lo stesso Sorrentino quando ha ricevuto la statuetta, egli basa i suoi film sulla spettacolarizzazione delle scene. Di qui il ringraziamento a Fellini, Maradona, i Talking Heads e Scorsese, maestri per lui di spettacolo. Ma costoro avevano ed hanno anche tanta sostanza. Quella che forse manca in questo film. O meglio c’è e a tratti è anche apprezzabile, come le riflessioni sull’esistenza e su una società in decadenza. Ma fa fatica ad emergere, infarcita com’è, appunto, dalla ricercata fino alla nausea spettacolarizzazione delle scene. Apprezzabili e molto più semplici i film in concorrenza. Ma si sa, gli americani amano essere colpiti da fuochi d’artificio. In realtà, c’è anche da dire che il meccanismo per la premiazione è ben più complesso di quanto si pensi.

TRAMA – Jep Gambardella è un giornalista, curatore di una rubrica di cultura. Ormai ultrasessantenne, vive di rendita da anni su l’unico libro che ha scritto da giovane, ma che ebbe un grande successo: L’apparato umano. Passa le giornate gironzolando per Roma, scrutandone i lati orribili e quelli meravigliosi. Conosce tante persone, anche famose, ma non ha veri amici. L’unico, forse, che ha è Romano, sceneggiatore drammatico, il quale decide pure di andarsene dalla Capitale, che lo ha deluso dopo 40 anni passati a viverci lontano dal paesino di provenienza.
Anche lui, in cuor suo, è deluso da Roma e da una vita che non gli da’ più stimoli. Qualche conoscente muore, anche molto più giovane di lui e questo lo porta a riflettere sulla sua esistenza. Cerca di colmare il vuoto e la noia con feste squallide nella sua mega casa lussuosa e pacchiana, invitando persone false, snob, infelici e disadattate. L’unica di cui prova stima è la sua direttrice, una nana che vive con autoironia la sua condizione. Pensa sovente all’amore giovanile della sua vita. Unica vera grande bellezza che abbia incrociato, ispiratrice dell’unico romanzo che ha scritto e che forse potrebbe ancora fungere da musa.
RECENSIONE – Dopo “l’internazionale” This must be the place, Paolo Sorrentino torna alla regia con questo film sulla “bellezza e l’inferno” (per dirla alla Saviano) di Roma, mettendone in contrapposizione i paesaggi stupendi, il patrimonio culturale, con la sua società borghese in declino. Sempre più falsa, priva di valori, pacchiana. E torna ad affidarsi al fido, e straordinario, Toni Servillo, nei panni dello svuotato Jep Gambardella. Il quale, analizza con occhi distaccati e ormai disgustati, tutto quanto lo circonda. Lui che vive di rendita con l’unico libro di successo che ha scritto da giovane.
Il risultato finale è un film il cui messaggio è chiaro, con alcuni spunti che toccano e fanno riflettere, sulla società e la vita. Ma come è solito fare ormai da qualche anno, Sorrentino infarcisce la storia di inquadrature stucchevoli, a effetto, che puntano ad arruffianarsi lo spettatore. Ce n’è proprio bisogno? Non a caso le cose migliori che restano sono i personaggi veri e autentici: quello di Servillo, ovviamente, ma anche quelli interpretati da Verdone e dalla Ferilli. Troppo scontato, forse, accennare anche allo scimmiottamento a Federico Fellini. Si intravedono infatti La dolce vita, ma anche Roma, Otto e mezzo, e Ginger e Fred.
Sorrentino è un bravo sceneggiatore, ma in questi anni ha anche mostrato una sempre maggiore esagerazione nell’uso di effetti speciali e scene artificiose. Quasi ridicola è la scena dei pellicani sulla terrazza di Gambardella.
LA CONCORRENZA – Questi gli altri quattro film in concorrenza come Miglior film straniero.
– “The Broken Circle Breakdown” è il titolo originale di “Alabama Monroe – Una storia d’amore”, film belga del 2012 che racconta la storia di Elise e Didier, innamoratisi a prima vista, nonostante siano profondamente diversi. Lui parla tanto, lei ama ascoltare, lui è un ateo profondamente romantico, lei religiosa e realista. Quando la bambina della coppia si ammalerà gravemente, il loro amore sarà messo alla prova. Johan Heldenbergh, (Didier), che ha partecipato inoltre alla stesura dell’opera su cui si basa la sceneggiatura del film, e l’attrice e cantante Veerle Baetens offrono il commovente ritratto di una relazione intensa, dall’inizio alla fine. Sorretto da una colonna sonora in pieno stile bluegrass, il film si presenta come un melodramma romantico di primissimo ordine.
– “Il Sospetto” (titolo originale The Hunt), interpretato da Mads Mikkelsen, già incoronato Migliore Attore al Festival di Cannes. Diretto da Thomas Vinterberg, il film cresce emotivamente di scena in scena, raccontando il dramma di Lucas, quarantenne, che dopo un duro divorzio, è riuscito finalmente a trovare un nuovo equilibrio sentimentale e lavorativo. Purtroppo però la tempesta è dietro l’angolo e una bugia messa in circolo sul suo conto diventerà ben presto un marchio indelebile che sconvolgerà per sempre la sua vita. Il film lascia senza fiato, coinvolgendo lo spettatore dall’inizio alla fine e insinuando, anche in lui! , l’ombra del sospetto. Tra i 4 film rivali è forse l’avversario più temibile.
– “The Missing Picture”, un documentario franco-cambogiano diretto da Rithy Panh sui Khmer Rossi, gli aderenti al partito comunista cambogiano. Il film è stato presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2013 dove vinse il premio della categoria. Una prima metà del film presenta filmati originali di notiziari e documentari, mentre l’altra metà utilizza dei personaggi di legno per rappresentare cosa successe in Cambogia quando Pol Pot arrivò al potere. Le atrocità del suo regime tornano alla luce grazie alle figurine di legno che sostituiscono l’ “immagine mancante” di uno dei capitoli più bui della storia dell’umanità. Il risultato è insieme affascinante e devastante.
– “Omar”, film palestinese che racconta di un giovane fornaio abituato a scavalcare il muro della separazione, schivando proiettili e sorveglianti, per far visita alla ragazza di cui è innamorato, la liceale Nadia. Omar, ottavo lungometraggio del regista Hany Abu-Assad è un thriller in cui la politica si mescola a una storia d’amore. Nel 2006 il regista di “Paradise Now” vinse il Golden globe per il miglior film straniero (vinto quest’anno da Sorrentino), ottenendo anche una nomination all’Oscar. Il film candidato quest’anno agli Academy Awards presenta un ritmo incalzante e le performance dei quattro protagonisti (tutti esordienti) sono sorprendenti. La mescolanza tra politica e dramma sentimentale è ben riuscita, come pure la commistione delle immagini e delle storie raccontate, profondamente reali e credibili, e la tensione e il ritmo della regia.
COME SI VINCE UN OSCAR – I giurati dell’Academy sono poco più di 6.000, tutti diventati tali per un misto di sponsorizzazione da parte di altri membri (come nei circoli sportivi d’alto lignaggio) e meriti professionali (essere parte dell’industria dell’arte americana o internazionale è una condizione per diventare membro), i film da vedere sono invece diverse centinaia. Qui trovate la lista ufficiale di quelli di quest’anno, e ovviamente sarebbero tutti “da vedere” sia per fare le nomination che poi per poter votare quella quarantina in lizza per una statuetta nella serata finale.
Dunque un giurato che non volesse guardare tutti i film per votare le nomination ma solo quelli nominati, dovrebbe vederne 40 di cui solo una decina sono quelli di grande incasso che sicuramente avrà già visto (American Hustle, Gravity, 12 anni schiavo, Dallas Buyers Club…).
È tuttavia un fatto acclarato che questo non accade, quasi nessuno dei 6000 membri vede tutti i film, ed è talmente risaputo che i membri dell’Academy che guardano tutto sono pochi che i loro nomi si conoscono. In particolare per la categoria che interessa a noi, Miglior Film Straniero (le cui pellicole nessuno ha probabilmente già visto prima della stagione degli Oscar), si chiama Michael Goldman il giurato noto per vedere ogni anno tutti i film eleggibili.
È quindi evidente che per poter partecipare e poi vincere il problema maggiore è essere visti dal maggior numero possibile di giurati. Questo avviene lavorando economicamente, cioè organizzando eventi, buffet, feste e via dicendo che includano una proiezione o che creino passaparola sull’importanza di un certo film (in modo che, se pure non si presenzia alle proiezioni, almeno venga la voglia di guardare i dvd che ogni giurato riceve). Fu così, è noto, che Benigni vinse addirittura premi che non erano Miglior Film Straniero (i fratelli Weinstein, colossi della distribuzione statunitense avevano acquistato La vita è bella per una distribuzione americana e cominciarono a spingerlo con i loro soldi pensando, com’è stato, che degli Oscar avrebbero fatto di quel film italiano un successo), e lo stesso è accaduto con The Artist.
Questa motivazione è una delle molte per le quali il nostro cinema non è presente da tempo nella cinquina di nominati per Miglior Film Straniero (non pensiate che i vincitori ogni anno siano migliori dei nostri, capita solo di rado): investimenti insufficienti.
La Grande Bellezza invece arrivava con un ottimo passaparola, lavorando bene in premiazioni alternative, trionfando in Europa (sebbene non a Cannes, il cui vincitore di quest’anno La vita di Adele era fuori dalla corsa agli Oscar perchè uscito troppo tardi in America) e soprattutto vincendo i Golden Globes (premi che vengono dati dalla stampa estera, dunque più incline ad aver visto film stranieri). La Grande Bellezza era quindi già “il film da vedere”, quello che i giurati erano più stimolati a guardare o che se non altro stava in cima alla loro lista di cose da vedere, la stessa lista alla fine della quale solitamente non arrivano.
Se a questo si aggiunge che l’età media di un giurato dell’Academy è più vicina ai 60 che ai 30 è evidente che un film su Roma, foriero di suggestioni da cinema d’altri tempi, paragonabile (per la ristretta conoscenza che gli stranieri hanno del cinema italiano) a Fellini e costellato di immagini straordinarie di un luogo mitologico della storia del cinema, aveva gioco facile a farsi vedere.

SONDAGGIO


I votanti non sono convintissimi dell’Oscar a La grande bellezza di Sorrentino. Per 6 su 10 è sopravvalutato.

(Fonti: Melty, Wired)
5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Iscriviti alla Newsletter!

Riepilogo dell'articolo

Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

0 Risposte a “LA GRANDE STUCCHEVOLEZZA DI PAOLO SORRENTINO E COME FUNZIONA LA PREMIAZIONE DEGLI OSCAR”

  1. io l'ho capito benissimo e anzi apprezzo il messaggio che vuole lanciare e lo condivido. Ciò che non apprezzo da parte di Sorrentino è la continua ricerca di "sequenze a effetto" per colpire lo spettatore dal punto di vista estetico. Cosa che avevo già notato in The must.., ma qui è patetica. Una scena su tutte: i fenicotteri sulla terrazza, ridicola. Comunque non pretendo che tu legga ciò che scrivo, ma uno sguardo minimo, prima di fare certe critiche da "italiano medio", sarebbe opportuno.

  2. Lascia stare che la grande bellezza è un capolavoro. Sarà il mio prossimo post che farò.Chi lo ha criticato male deve molto riflettere…

  3. una regia, una trama strutturata e una recitazione particolari che possono anche non piacere ma ciò è normale… film come questo sono pensati per spiazzare lo spettatore… si dice che l'Oscar è per la produzione imponente che si vela dietro i suoi reali meriti…

  4. l'ho visto a casa qualche mese fa…una noia mortale, una palla assurdaperò rispecchia il nostro paese..cosi ci vedono all'estero, come dei fancazzisti e perditempo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

×