Amazzonia in fiamme, come stanno le cose tra bufale e disinformazione

Il Mondo è in fiamme. Siberia, Artico, Amazzonia, Africa bruciano da settimane complice un mix di fattori come gli interessi senza scrupoli dell’uomo e i fattori ambientali. In più mettiamoci pure lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia, che lasciano emergere terre perdute che non vedevano il sole da millenni o forse da milioni di anni.

Con tutto ciò che ne consegue. Anidride carbonica a manetta nell’aria e innalzamento dei livelli dei mari. Che porteranno la prima ad un ulteriore innalzamento delle temperature e la seconda la sommersione di terre e la conseguente fuga di chi vi abita. Alimentando una tipologia di immigrazione venutasi a creare negli ultimi tempi: quella ambientale. Oltre che l’aumento di fenomeni disastrosi come Tsunami e Tornado.

Il disastro ambientale che sta lasciando più sgomenti di tutti è quello relativo all’Amazzonia. Sebbene non manchi la solita disinformazione di sorta. Di seguito riporto la traduzione di un interessante articolo del Guardian e la spiegazione di Giorgio Vacchiano, Ricercatore in scienze forestali all’Università di Milano, viaggiatore, fotografo e [sta_anchor id=”amazzonia”]divulgatore[/sta_anchor].

Amazzonia non è il polmone del Mondo

amazzonia foto

Ecco il post del Dottor Vacchiano pubblicato su Facebook.

1) Ogni anno nella stagione secca (luglio-ottobre) i satelliti rilevano molti incendi nel bacino amazzonico. Secondo l’Instituto Nacional de Pesquisas da Amazôna, il 99% sono accesi dall’uomo, sia su terreni già senza alberi (fuochi agricoli legali) che per aprire all’uso agricolo aree ancora boscate ( spesso illegalmente). Questi fuochi non riguardano tanto la giungla tropicale come la immaginiamo, ma più le aree di margine più rade e aride. L’amazzonia è fatta anche di questi ecosistemi (come il “cerrado”), ugualmente preziosi e delicati. Eppure, un problema c’è.

2) Vari satelliti hanno individuato nel 2019 oltre 80000 “punti fuoco”, cioè quasi il doppio rispetto all’anno scorso e il 40% in più rispetto alla media dal 2013 (update: quasi 140 000 secondo i dati del satellite MODIS della Nasa). L’Amazzonia (con i suoi vari ecosistemi) è grande quasi 6 milioni di km quadrati, poco più dell’Unione Europea (!) Secondo il Guardian, da gennaio a luglio 2019 ne sono bruciati 18600 km quadrati, cioè lo 0.3%. Al’inizio di agosto questa superficie era il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma siamo lontani dal record e in media con il periodo 2000-2018. Tuttavia, il fenomeno deve preoccuparci (anche se ne parliamo solo quest’anno).

3) L’amazzonia non è il polmone del mondo. Tra il 50 e il 70% dell’ossigeno sulla Terra è prodotto dalla fotosintesi delle alghe negli oceani. Il resto dalle praterie, dai campi coltivati (sì, anche loro) e dalle foreste che crescono velocemente, accumulando carbonio e rilasciando ossigeno. L’amazzonia non produce il 20% del’ossigeno nel mondo (un dato errato che rimbalza anche sulle testate più prestigiose). Al massimo il 6%, ma più proabilmente ZERO, perché la foresta tropicale non ha una crescita netta positiva (tanti alberi crescono quanti ne muoiono e si decompongono per cause naturali). Anzi, da qualche anno ormai (a causa della deforestazione e della siccità ) l’Amazzonia CONSUMA ossigeno e emette anidride carbonica.

Ma anche se producesse ossigeno, non è questa la ragione per cui preoccuparsi: nell’atmosfera c’è il 21% di ossigeno e il 0.0415% di anidride carbonica. Ma è proprio la anidride carbonica a essere pericolosa per l’effetto serra, e poiché in proporzione ce n’è poca, aggiungerne o toglierne un poco fa molto più effetto che aggiungere o togliere un poco di ossigeno. Secondo il servizio europeo Copernicus, gli incendi di quest’anno in Amazzonia hanno già prodotto 230 milioni di tonnellate di CO2 (più di quelli siberiani), proveniente soprattuto dal suolo, povero di sostanze nutritive ma ricco di carbonio (quindi anche gli incendi in terreni agricoli contribuiscono a questo problema).

Incendi Amazzonia, a preoccupare è soprattutto l’anidride carbonica

amazzonia incendi foto

4) Aumentare la CO2 significa aggravare il riscaldamento climatico, che rende probabili altri incendi, e così via in un circolo vizioso. Inoltre, l’Amazzonia è così grande che produce tramite l’evaporazione dagli alberi la “proprie” nuvole e la “propria” pioggia.

Se incendi e deforestazione arriveranno a riguardare il 25%-40% della foresta (per ora siamo intorno al 15%), l’ecosistema non sarà più in grado di regolare il proprio clima e potrebbe trasformarsi in una savana (come era già 55 milioni di anni fa), rilasciando enormi quantità di CO2 nell’atmosfera e mettendo a rischio milioni di specie animali e vegetali, la gran parte sconosciute, tra cui il 25% delle piante medicinali che l’umanità utilizza per la fabbricazione di farmaci di ogni tipo.

5) Nelle stagioni secche (El Nino) gli incendi sono normalmente di più perché è più probabile che si propaghino in modo incontrollato. Ma quest’anno la pioggia è stata solo poco sotto la media, quindi la siccità non è stata il fattore scatenante.

Deforestazione in Amazzonia causata soprattutto da conversione in terreni agricoli e per il pascolo

6) Fino al 2017, la deforestazione in Amazzonia, che è causata soprattutto dalla conversione in terreni per la coltura della soya (per alimentazione animale) e per pascolo estensivo (non intensivo!) era considerevolmente diminuita. Il 2018 e 2019 hanno visto un aumento velocissimo di area disboscata (cioè trasformata permanentemente in non-foresta).

Secondo L’agenzia spaziale brasiliana (il cui direttore è stato licenziato da Jair Bolsonaro) quest’anno potremmo raggiungere per la prima volta in un decennio i 10000 km quadrati disboscati. Gli incendi sono legati alla deforestazione, essendone uno degli strumenti principali.

Incendi Amazzonia causati anche dal socialista Evo Morales

evo morales

7) Il presidente Bolsonaro durante il suo mandato ha incoraggiato nelle parole e con i fatti l’eliminazione della foresta a scopi produttivi, tolto fondi al monitoraggio e alla protezione ambientale e allentato i controlli sulle illegalità. Tuttavia, la deforestazione e gli incendi procedono rapidi anche nell’amazzonia Boliviana (soprattutto a causa delle estrazioni minerarie), dove il presidente Evo Morales non può certo essere definito un capitalista di destra.

Pertanto, il problema non è solo di chi guida lo Stato, ma di un sistema di mercato internazionale legato alle esportazioni di soia, carne, e minerali verso Europa e USA.

Deforestazione Amazzonia, colpa anche dell’Italia

8) La carne è uno dei principali prodotti di esportazione dal Brasile, e l’Italia è uno dei principali importatori (30 000 tonnellate/anno – soprattutto per carni lavorate di bassa qualità). L’accordo commerciale UE-Mercosur firmato la scorsa settimana facilita l’importazione di altre 100 000 t di carne bovina all’anno dal sudamerica all’Europa ed è oggetto di una interrogazione al Parlamento Europeo di Coldiretti, che teme la concorrenza sleale nei confronti delle carni italiane.

Gli animali in Italia non sono allevati su terreni sottratti alle foreste primarie, tuttavia spesso sono alimentati con la soia proveniente dal sudamerica, responsabile di deforestazione (soprattutto pollo, maiale e carni trasformate). Uno studio ha dimostrato che l’EU è stata indirettamente responsabile di 9 milioni di ha di deforestazione nel mondo nel periodo 1990-2008 mediante il consumo di prodotti ottenuti grazie a disboscamento (soia, carne, olio di palma).

Più incendi in Africa che in Amazzonia

cobalto bambini africani

Come riporta Eco giornale, senza nulla togliere alla gravità della situazione in Amazzonia della quale ora si interessano tutti i media, ci sono più incendi in Africa che nella stessa Amazzonia.

Lo dicono i dati forniti dalla NASA a Bloomberg e lo dice l’immaginie elaborata elaborata dal servizio di monitoraggio dell’atmosfera basato sui dati forniti dal satellite Copernicus. E’ qui sotto ed evidenzia la presenza di particelle dovute alla combustione delle biomasse: in pratica, dovute a vegetazione che sta andando a fuoco.

Gli incendi in Africa centrale non sono inconsueti. Effettuato il raccolto, i contadini spesso danno fuoco ai campi per eliminare i residui di vegetazione e fertilizzare il suolo con le ceneri.

La classifica degli incendi riguarda i giorni del 22 e 23 agosto e il numero dei focolai: non specifica l’area su cui si sviluppano le fiamme né se stanno bruciando foreste o una vegetazione di altro tipo. Però molti Paesi interessati dagli incendi ospitano importanti foreste.

Al primo posto c’è l’Angola, dove i satelliti della NASA hanno individuati 6.902 roghi. Per seconda viene la Repubblica Democratica del Congo: 3.395 incendi. Nella Repubblica Democratica del Congo si trova la seconda (per estensione) foresta pluviale del globo. Il Brasile, nel quale ricade gran parte della grande foresta pluviale amazzonica, è terzo con 2.127 incendi.

A seguire, la classifica vede un altro Paese di foreste, lo Zambia, con un migliaio di focolai. Poi l’Australia (quasi 800) e la Bolivia (circa 750), situata come il Brasile nella regione amazzonica. A seguire Russia (meno di 700 incendi; la situazione in Siberia sembrerebbe migliorata); Indonesia (550); Tanzania (400); Sud Africa (380).

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