Governo Meloni ci porta 80 anni indietro e vieta parole straniere

Quando la Meloni ha stravinto le elezioni lo scorso settembre, sui Social iniziarono a circolare tragicomici paragoni con il periodo fascista. E a una “retromarcia su Roma” verso un periodo fosco per la nostra storia (sebbene non mancarono anche cose positive). Soprattutto quando a presidenti delle camere furono eletti Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana.

In effetti il Governo Meloni, poi nato dalla gestazione delle urne, ha riportato in auge diversi termini e simboli legati alla retorica fascista. Come Patria, Famiglia, Cattolicesimo, Patriottismo, ecc.

Per carità, un po’ di difesa del nostro paese rispetto allo smembramento e alla svendita dell’ultimo trentennio, è cosa buona e giusta. Tuttavia, occorre sempre accorgersi quando inizia la parodia del Ventennio.

E la proposta di legge firmata Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e storica figura della destra sociale post-missina, ha sconfinato non poco.

Governo Meloni e divieto di parole straniere: fino a 100mila euro di multa

Come riporta Il Fatto quotidiano, la proposta Rampelli ha l’obiettivo dichiarato di difendere la lingua italiana dal “dilagare” delle parole straniere, in “un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria“. Con tanto di obblighi, divieti e sanzioni per chi dovesse violarli, con multe dai 5mila ai 100mila euro. Si va così dalla proibizione dell’uso di denominazioni straniere per i ruoli nelle aziende, fino alla stretta sui corsi in lingua nelle università.

La proposta vuole dunque dire basta all’uso sempre più frequente di anglicismi anche “nel linguaggio della politica, nelle leggi, nelle istituzioni e nel cuore dello Stato”. Una “infiltrazione” che, per i firmatari della legge, è ben più ampia. E raggiunge ormai “livelli di guardia“. Il rischio, si legge, è che i forestierismi possano portare alla “scomparsa” dell’italiano.

Dove sarà vietato usare parole straniere?

I campi di applicazione della legge sono vari: dalla promozione di beni e servizi pubblici alle comunicazioni in qualsiasi luogo pubblico. Passando per le traduzioni in lingua straniera sul territorio nazionale obbligatoria in tutti gli eventi e sulle etichette dei prodotti tipici destinati al mercato estero.

Ma anche le aziende dovranno adeguarsi, così come, inevitabilmente scuola e università. Luoghi dove avviene l’indottrinamento dei cittadini di domani. E poco importa se queste persone un domani dovranno confrontarsi con un mondo che parla principalmente in inglese, lingua nella quale noi italiani siamo già deficitari. E ce ne accorgiamo quando ci rechiamo all’estero per una vacanza e abbiamo difficoltà nel chiedere informazioni stradali o al ristorante.

A completare il quadro, l’istituzione di un Comitato interno al ministero della Cultura per la tutela della lingua.

Ma c’è un ministero del Made in Italy…

Giusto tutelare la nostra lingua, così preziosa e sempre meno nota, in primis dagli italiani stessi. Ma è anche vero che i termini attribuiti alle cose assimilano la lingua della persona che li scopre. Non a caso, termini come Pizza, Spaghetti, Pasta, Manifesto, ecc., sono utilizzati ovunque.

Detto degli italiani all’estero, cosa dire invece delle aziende italiane che si rapportano con il resto del mondo? Già lo fanno con un grosso deficit economico, al quale potrebbe aggiungersi quello lessicale.

Le opposizioni hanno deriso l’iniziativa, col Movimento cinque stelle che giustamente fa notare che i primi ad aver utilizzato una parola straniera sia stato proprio il governo Meloni, che ha chiamato uno dei suoi ministeri utilizzando proprio un termine inglese: Made in Italy. Chissà se aboliranno anche il Lei in favore del Voi

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