Certo, se consideriamo che l’attuale Ministro dell’istruzione, Valeria Fedeli, non ha neanche il diploma, c’è poco da stare tranquilli. Una donna che ha speso la sua vita per le lotte in fabbrica e per l’emancipazione femminile, per carità. Ma qui ci vuole altro. Serve cultura. Già, i Ministri dell’istruzione. Proprio loro sono i principali responsabili del declino della scuola. Dal Ministro D’Onofrio del primo Governo Berlusconi (1994) in poi, è stato un continuo promulgamento di riforme peggiorative della scuola e dell’Università. Tra centro-destra e centro-sinistra abbiamo avuto ben 14 Ministri dell’istruzione in 22 anni. L’ultima poltrona è stata avvicendata alla luce di come è finito il Referendum, probabilmente perché il Ministro Giannini è stato ritenuta da Renzi tra le principali artefici della disfatta elettorale (il voto contrario in massa dei risentiti docenti), dato che è stata l’unica a pagare realmente.
Tra i Ministri avvicendatisi in queste due decadi troviamo anche Tullio De Mauro, scomparso ad inizio anno a 84 anni. Figura di spicco della Lingua italiana, docente universitario, saggista, ma anche ex Ministro della Pubblica istruzione, dal 2000 al 2001. Presidente del Premio Strega, ha curato diversi dizionari e pubblicato diversi libri per Il Mondo e L’Espresso. E’ a lui che il Ministro Fedeli vuole ispirarsi per raddrizzare la grammatica italiana. Ma è un’iniziativa paradossale, perché forse la ministra non sa che se da due, tre decenni le competenze linguistiche dei giovani italiani si stanno avviando verso la balbuzie twittesca qualche responsabilità, e non proprio minima, ce l’ha avuta proprio anche Tullio De Mauro.
Tullio De Mauro tra i responsabili del declino della Grammatica italiana
«un ribaltamento in senso democratico della pedagogia linguistica tradizionale», la quale «fin nell’insegnamento innocente dell’ortografia — scriveva — obbedisce a un disegno che è un disegno politico, obbedisce cioè al disegno di verificare il grado di conformazione dei ragazzi che passano nelle scuole ai modi linguistici delle classi dominanti».
Rivendicata perciò «la dignità dell’inventività, dell’informale, rispetto all’ossequio agli stilemi della lingua scritta», egli ribadiva che
«cose innocenti come le scempie e le doppie, scrivere o non scrivere provincie con la i (…) queste cose sono tutte insieme come i topolini della Peste (si riferiva al romanzo di Camus citato poco prima): sono portatori di un virus molto pericoloso. È il virus che uccide spesso irrimediabilmente la capacità di parlare liberamente (…) ma spinge a cercare di essere graditi ai rappresentanti delle classi dominanti, essere omogenei in tutto, fin nei puntini sugli “i” , a ciò che essi desiderano». Via dunque, aggiungeva, quelle «inutili scorie» dei registri e dei voti individuali, via «lo studio come acquisizione individualistica di nozioni che consentono di emergere nella competizione sociale», che poi non è altro che «una forma di studio che fa diventare “amici del padrone”».
Franceschini confermato Ministro Cultura, ma ha un conflitto d’interessi
Con gli anni pure De Mauro ci ripensò, ma senza un fermo contrordine, neanche da Ministro (2000-2001). Il suo Dogma libertario era diventato in larga misura suggestione potente per generazioni d’insegnanti, una sorta di ideologia di fondo dell’intera scuola. Producendo alla fine l’auspicato «ribaltamento in senso democratico della pedagogia linguistica tradizionale» che è sotto i nostri occhi. Come sovente accade, si ribalta un ordine senza però adeguatamente sostituirlo con un altro.