Quando Fidel Castro e Che Guevara perseguitavano i gay a Cuba

IL DITTATORE CUBANO, MORTO IERI 25 NOVEMBRE, HA RICONOSCIUTO I DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI SOLO NEL 2010, CHIEDENDO SCUSA PER QUANTO FATTO
Fidel Castro è morto ieri, 25 novembre 2016. Ora, per giorni, si faranno bilanci obiettivi e non, sul suo operato come Presidente (o dittatore) di Cuba. Tra gli argomenti da mettere sul piatto, anche il modo in cui trattò i gay e l’omosessualità. Che l’intolleranza verso gli omosessuali sia un qualcosa di ascrivile alla destra è solo un luogo comune. Basti vedere l’atteggiamento della Democrazia cristiana nei primi anni della Repubblica italiana, o le persecuzioni di Stalin statisticamente non distanti da quelle naziste. Lo stesso Partito comunista italiano era infastidito dal mondo gay; basta vedere, tanto per fare un esempio, la presa di distanza da Pier Paolo Pasolini e non solo certo per le sue idee spesso critiche nei confronti del Pci (addirittura tra gli artefici della sua morte si segue anche la pista rossa, oltre che quella nera o quella semplicemente di balordi).

Addirittura anche a due figure eccelse del mondo sinistroide si imputa una certa intolleranza nei confronti del mondo gay: Fidel Castro e Che Guevara. I quali, all’indomani della presa del potere, organizzarono campi di concentramento, alla stregua di quelli organizzati per nemici politici e religiosi. Particolarmente interessante è il racconto di Massimo Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti. E a suffragio di questa tesi vi sono le stesse parole discolpanti pronunciate nel ’97 dallo stesso Fidel Castro. Morto, come detto, ieri 25 novembre

IL RUOLO DEL CHE – Con la fuga del dittatore Fulgencio Batista e la vittoria di Fidel Castro, nel 1959, il Comandante militare della rivoluzione, Ernesto “Che” Guevara, ricevette l’incarico provvisorio di Procuratore militare. Suo compito è far fuori le resistenze alla rivoluzione. Così Massimo Caprara: “Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: ai religiosi, fra i quali l’Arcivescovo dell’Avana, agli omosessuali, perfino ad adolescenti e bambini”.
Nel 1960 il procuratore militare Guevara illustra a Fidel e applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione. Tra questi, ci sono quelli dedicati agli omosessuali in quanto tali, soprattutto attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla rivoluzione. Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale”, ossia di lavoro forzato. È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Poi, sempre quand’era ministro di Castro, approntò e riempì fino all’orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte di migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (che spiritoso, il “Che”) e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni, figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, per essere “rieducati” ai principi del comunismo.
È sempre Guevara a decidere della vita e della morte; può graziare e condannare senza processo. “Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino – prosegue Caprara, sottolinenado che Guevara sarebbe legato al giuramento d’Ippocrate – fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti; essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri”. Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate, scrupolosamente applicate ai dissidenti e agli omosessuali.
Il “Che” guiderà la stagione dei “terrorismo rosso” fino al 1962, quando l’incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel, Raoul Castro. Sulla base del piano del carcere guevarista e delle sue indicazioni riguardo l’atroce trattamento, nacquero le Umap, Unità Militari per l’Aiuto alla Produzione (vedi il dossier di Massimo Consoli in queste pagine), destinati in particolare agli omosessuali.
LE VITTIME – Nel corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, della Sicurezza dello Stato, parecchie migliaia di persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola. Il “Che”, soprannominato “il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana”, si opporrà sempre con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra” (in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera repressiva, generalizzando ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori.
Il sistema sarà perpetuato anche negli anni successivi, fino all’arrivo degli anni ’80, con celle molto piccole e disumane, che conterranno anche bambini e adolescenti da “rieducare”. “Nueva Carceral de la Habana del Est” ospita omosessuali dichiarati o sospettati (in base a semplici delazioni, ndr). Ne parla il film su Reinaldo Arenas “Prima che sia notte”, di Julian Schnabel uscito nel 2000. Anni dopo alcuni dissidenti scappati negli Usa descriveranno le condizioni allucinanti riservate ai “corrigendi, costretti a vivere in celle di 6 metri per 5 con 22 brandine sovrapposte, in tutto 42 persone in una cella.
Secondo Amnesty International, più di 100.000 cubani sono stati nei campi di lavoro; sono state assassinate da parte del regime circa 17.000 mila persone (accertate), più dei desaparecidos del regime cileno di Pinochet, più o meno equivalente a quelli dei militari argentini.

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LE SCUSE DI CASTRO – Solo nel 2010 Fidel Castro ha chiesto scusa agli omosessuali per averli perseguitati a Cuba negli anni ’60 e ’70. «Se qualcuno è responsabile, sono io. Non darò la colpa a nessuno», ha dichiarato Castro, 84 anni, in un’intervista al quotidiano messicano La Jornada, rilanciata dai media cubani. «Personalmente non ho pregiudizi», ha dichiarato l’ex presidente secondo cui l’aver inviato i gay in campi di lavoro agricolo-militari, sia stata «una grande ingiustizia».
In una sorta di contrappasso la nipote, Mariela Castro, psicologa di 47 anni, figlia del presidente Raul, capeggia la lotta contro la discriminazione dei gay. L’omosessualità è stata depenalizzata a Cuba solo nel 1997.
E pensare che tanti gay, nelle manifestazioni a sostegno dei propri diritti o nel quotidiano, hanno indossato e indossano ancora t-shirt col faccione del Che. Un po’ come facevano e fanno i pacifisti, dimenticando che il dottor Guevara sia stato un guerrigliero. Vedremo se ora gli stessi celebreranno Fidel Castro, morto ieri 25 novembre.
(Fonti: Unità, Qelsi)
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