Dario Fo non mi stava simpatico, ma è stato un grande nel trasformare la recitazione in impegno politico e sociale. Il contrario di quanto accade oggi praticamente, dove in tanti si professano politici e impegnati, ma sono solo degli attori. Dario Fo si faceva beffa del potere, trasformando la farsa teatrale in manifestazioni di protesta contro il potere. Lo ha burlato, sebbene fino agli anni ’70, fu oggetto di censure e critiche spietate. Ha burlato anche la sinistra, che oggi lo ritiene un proprio artista. A dimostrarlo è la sua lunga vita.
Dario Fo nasce fascista, poi aderisce alla sinistra estrema criticando il Pci
Passano gli anni, cresce cantando Bella Ciao e diventa il cantore del sessantottismo, simpatizza per la sinistra estrema e alcuni di quei gruppi sul filo della lotta armata. Essendo critico con il Pci, dalla intellighenzia troppo rigida e anch’egli incline alla censura. Fu tra i firmatari e portavoce del famoso manifesto degli intellettuali passato alla storia come la condanna a morte del commissario Calabresi.
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Agli intellettuali, solo a quelli di sinistra, si perdona tutto. L’omicidio Calabresi avviene, quella rivoluzione fallisce dopo aver seminato sangue ovunque e Dario Fo, ovviamente, si defila e rilancia. Non più fascista, non più filo estremista, si dedica a tempo pieno all’impegno teatrale, inventa una lingua incomprensibile e una commedia, Mistero Buffo (un mix di populismo, comunismo e anticlericalismo) che gli aprirà la strada al Nobel del 1997. Che accettò volentieri, sebbene, in fondo, sia il premio più politicamente corretto del mondo. Non a caso, qualcuno pensa che Dylan non lo andrà a ritirare.
Tant’è, e la sinistra si appropria di questa buffa icona diventata intoccabile e lui non si sottrae all’abbraccio. Ricambia mettendosi per un ventennio alla testa dell’antiberlusconismo venerato come un Dio. La Fallaci scrisse di lui: «Un fascista nero diventato fascista rosso». Giorgio Bocca si limitò a definirlo uno che stava «nell’alone del terrorismo».