Per raccogliere cobalto utilizzati bambini tra i 6-7 anni
Più della metà del totale della fornitura mondiale di cobalto proviene dalla Rdc e secondo le stime del governo congolese, il 20% di questo elemento attualmente esportato viene estratto da minatori artigianali nella regione del Katanga nella parte meridionale del paese. Si tratta dunque di una parte molto significativa. Non a caso il numero di minatori artigianali in questa regione va dai 110 mila ai 150 mila. Essi lavorano al fianco di attività industriali molto più grandi gestite da aziende occidentali e cinesi.
Perché il cobalto è letale
I crolli nelle gallerie artigianali sono comuni e provocano centinaia di morti all’anno. Dato allarmante è quello che riguarda il lavoro e lo sfruttamento minorile. L’Unicef ha stimato che nel 2014 nel comparto minerario della Rdc lavoravano circa 40.000 fra bambini e bambine, molti di questi nel settore del cobalto. I bambini intervistati dai ricercatori di Amnesty hanno detto di aver lavorato fino a 12 ore al giorno nelle miniere guadagnando in media uno o due dollari. Questi minori non frequentano la scuola perché le loro famiglie non possono permettersi le tasse scolastiche e vengono dunque impiegati nelle stesse mansioni degli adulti, danneggiando la loro salute e mettendo a rischio le proprie vite.
Il commercio del cobalto
Una volta fatta questa ricostruzione, Amnesty ha dunque contattato 16 multinazionali, che risultano clienti delle tre aziende che producono batterie per apparecchi elettronici e per automobili utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori della Repubblica Democratica del Congo: Ahong, Apple, Byd, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e Zte. Di queste una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto l’evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e sei hanno promesso indagini. Nessuna delle 16 aziende è stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto usato nei loro prodotti. Un risultato opaco in termini di trasparenza che non può che far apparire la situazione paradossale e ipocrita (dato che alcuni di queste aziende si vantano di avere una politica di tolleranza zero sul lavoro minorile). Com’è possibile che alcune delle più ricche e innovative aziende del mondo non siano a conoscenza della catena di approvvigionamento delle materie prime dei loro prodotti?
Siamo tornati ai tempi della prima rivoluzione industriale. Quando, per appagare la voracità dell’industrialismo disumano e appetente, venivano sfruttate anche donne e bambini piccoli nelle miniere. Per giornate di lavoro lunghe anche 16 ore, condizioni igienico-sanitarie dannose per la salute, nessun diritto sociale. Gli operai poi presero coscienza e formarono sindacati e partiti, per quella che Marx definì ”coscienza di classe”. Quella che noi occidentali abbiamo smarrito da un po’, sedotti e abbandonati da un illusorio progresso, e che i Paesi del Terzo Mondo ancora non conoscono.