Negli anni ’30, con l’arrivo del sonoro, fu imposto che il doppiaggio alle opere cinematografiche straniere. Gettando le basi per quella che sarà la più grande scuola di doppiatori al Mondo. Ma Mussolini volle anche che in Italia si realizzasse un ampio luogo dove si girassero i principali film, in stile Hollywood, nato poco prima. Il taglio del nastro di Cinecittà avvenne il 28 aprile 1937 alla presenza di Benito Mussolini e dell’allora direttore dell’Istituto Luce, Giacomo Paolucci di Calboli. Ma la sua nascita la si deve soprattutto alla passione di Luigi Freddi, direttore generale della cinematografia fascista dal 1934. Ripercorriamo la gloriosa storia di Cinecittà. Oggi, come tante altre grandi opere realizzate all’epoca, un po’ abbandonata a se stessa.
Le origini di Cinecittà
Era in fondo il modello trasformato in potente macchina del consenso del cinema americano e un viaggio oltre oceano convinse Freddi che in questo modo l’impresa privata dei produttori italiani poteva beneficiare di un sostegno pubblico in grado di incanalare popolarità e modelli affini alla cultura fascista. Fu così che la società “Cinecittà” vide la luce due anni prima degli Studi sulla via Tuscolana, già nel 1935, per rivitalizzare gli stabilimenti della gloriosa Cines che al cinema aveva dato il primo film nazionale con Filoteo Albertini, il primo kolossal (“Quo Vadis?”, 1913), il primo film sonoro (“La canzone dell’amore”, 1930) e un’intensa produzione documentaristica in linea col fascismo e la collaborazione dei migliori registi dell’epoca.
Gli stabilimenti della Cines bruciarono però nel 1935 (probabilmente per un atto doloso) e la Direzione Generale per la Cinematografia di Freddi decise di intervenire impegnando capitali pubblici a fianco dei privati per una nuova e ben più moderna “cittadella del cinema” proprio di fronte all’appena nato Centro Sperimentale di Cinematografia. Fu una corsa contro il tempo ma tra la posa della prima pietra (il 30 gennaio 1936 sul progetto dell’architetto Gino Peressutti) e l’inaugurazione solenne passarono appena 15 mesi. Tre anni dopo Cinecittà era interamente pubblica e per il fascismo divenne la fucina dei talenti e una inimitabile scuola di arti e mestieri nell’arte più moderna del secolo.
Cinecittà dopo il Fascismo: arrivano anche i grandi Colossal americani
Le storie degli Studi riempiono interi volumi: dalla stagione dei “telefoni bianchi” che allena squadre formidabili di professionisti e tiene a battesimo anche i migliori talenti del futuro neorealismo (Rossellini e De Sica si formano qui) ai rastrellamenti nazisti che, nella Roma occupata, fanno dei teatri di posa dei veri campi di concentramento e poi l’ultimo gioiello da razziare prima della ritirata verso la Linea Gotica. La rinascita post bellica si deve certamente ai capitali americani immessi in Italia con l’apporto del Piano Marshall, ma anche alla rinomata eccellenza di carpentieri, scenografi, costumisti, tecnici che l’Italia è in grado di offrire ai “liberatori”: si realizza così, paradossalmente, il sogno di Luigi Freddi, fin dal “Principe delle volpi” con Orson Welles prodotto in Italia dalla 20th Century Fox nel 1948.
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Il declino di Cinecittà dagli anni ’80
Poi arrivarono gli anni ’80 e la crisi di idee del cinema italiano. I grandi registi ed attori del passato erano ormai quasi tutti morti o invecchiati e facevano capolino nuovi talenti emergenti che in realtà non sono riusciti ad eguagliarli. Cinecittà divenne così sempre più palcoscenico di film minori, commerciali. Una crisi ben raccontata da film come “Ginger e Fred” di Fellini o “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore. Sebbene non manchino sussulti interessanti come “Gangs of New York”, il laboratorio del pluripremiato Dante Ferretti, la produzione del kolossal televisivo “Rome”. Cinecittà sopravvisse al Fascismo, ma le ambizioni originarie sono morte con lui.
Ecco un breve video sull’inaugurazione di Cinecittà: