La salma di Vittorio Emanuele III torna di nascosto in Italia: i tanti errori che commise

Nel segreto più totale, la salma di Re Vittorio Emanuele III è tornata in Italia. Un Re costretto alla fuga in Alessandria d’Egitto dove è morto. E’ rientrato in Italia a bordo di un volo militare che è atterrato alle 11 all’aeroporto di Cuneo. Alla partenza ad Alessandria erano presenti i familiari e l’ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini. Sarà tumulato al santuario di Vicoforte di Mondovì, ricongiungendosi con sua moglie, la Regina Elena, giuntavi invece il giorno prima di notte. In pieno stile monarchico. Perché i monarchi abdicavano o scappavano sempre di notte.

Il ritorno delle spoglie di Vittorio Emanuele III , peraltro alquanto minime essendo lui alto 1,56 metri, ha destato non poche polemiche. Sia perché il viaggio è avvenuto su un aereo militare, ma soprattutto perché questo Re di errori ne ha commessi tanti durante il suo incarico. Ripercorriamone brevemente la storia.

Vittorio Emanuele III torna in Italia: perché comunità ebraica è critica

Vittorio Emanuele III

Come riporta LaRepubblica, articolarmente contrariata la Comunità ebraica, già quest’anno particolarmente vessata da tanti episodi di razzismo. E, ironia della sorte, a 30 anni dalla promulgazione delle leggi razziali. Come ricorda la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni:

“Vittorio Emanuele III fu complice di quel regime fascista di cui non ostacolò mai l’ascesa e la violenza apertamente manifestatasi sin dai primi mesi del Ventennio. Nessun tribunale ebbe mai modo di processarlo, per quelle gravi colpe. Cercheremo di colmare questo vuoto con una specifica iniziativa, nel prossimo mese di gennaio. Per chi oggi vuole farne un eroe o un martire della Storia, per chi ancora chiede una sua solenne traslazione al Pantheon, non può che esserci una risposta: nessun onore pubblico per chi porta il peso di decisioni che hanno gettato discredito e vergogna su tutto il paese. L’Italia non può e non deve dimenticare”.

Vittorio Emanuele III torna in Italia: le polemiche sul volo di Stato

salma vittorio emanuele III

Anche la traslazione della salma con un volo militare è oggetto di polemiche. Come sottolinea il capogruppo di “Liberi e Uguali” Giulio Marcon:

“Qualcuno dovrà spiegare a noi, alla Corte dei Conti e agli italiani per quale motivo sia stato usato un aereo dell’Aeronautica militare, un volo di Stato per riportare in Italia la salma di colui che non si oppose all’ avvento della dittatura fascista, firmò la vergogna delle leggi razziali contro gli ebrei, portò il Paese al disastro della guerra al fianco dei nazisti e abbandonò vigliaccamente i suoi soldati fuggendo. Governo e aeronautica spieghino per decenza questa scelta”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Carlo Smuraglia, presidente emerito dell’Anpi:

“Quello dei Savoia lo considero un problema chiuso da molto tempo. Una vicenda finita. Smettiamo di parlarne. Ritengo che portare la salma in Italia con solennità e volo di Stato è qualcosa che urta le coscienze di chi custodisce una memoria storica. Urta con la storia di questo dopoguerra. E non si parli più neanche di questa ipotesi di mettere le loro salme nel Pantheon. Basta”.

Vittorio Emanuele III chi era e cosa ha fatto

vittorio emanuele III moglie

La storia lo ha già bocciato senza appello. Certo, c’è chi dice che tante scelte furono obbligate, che l’Italia voleva il Fascismo e lui non poteva fermarlo. Ma è davvero così? L’Italia era pur sempre una Monarchia parlamentare, quindi, sebbene il Parlamento votava le leggi proposte dal Governo, l’ultima firma spettava comunque al Re. Il quale non si sottrasse neanche alla firma delle leggi “fascistissime”, peraltro all’indomani dell’omicidio del deputato socialista Matteotti, o delle leggi anti-ebraiche. Ma soprattutto, Vittorio Emanuele III non fermò il Fascismo sul nascere. Non solo diede l’incarico a Mussolini dopo la marcia su Roma, ma consentì anche tranquillamente il suo svolgersi. Certo, parliamo comunque di un periodo di grande debolezza per le istituzioni italiane. Di partiti con scarso spirito innovatore (veniva ancora nominato Presidente del consiglio il vecchio Giolitti), con governi che duravano poco. Ma quali furono gli errori di Vittorio Emanuele III? Vediamoli di seguito.

Vittorio Emanuele III biografia

vittorio emanuele III mussolini

Chi è Vittorio Emanuele III? Come riporta Storia XXI Secolo, Re d’Italia, figlio di Umberto e Margherita di Savoia. Nato a Napoli l’11 novembre del 1869. Segue nella prima gioventù i corsi d’istruzione militare, percorrendo rapidamente la successiva carriera. Il 24 ottobre 1896 a Roma sposa Elena Petrovich Niegosh, figlia di Nicola I, Principe del Montenegro. Diviene re in seguito all’assassinio del padre, Umberto I, nel 1900. Sotto il suo regno, nel campo sociale sono da ricordare, nel 1913, le prime elezioni a suffragio universale maschile.

Nel ’14 è tra i sostenitori dell’intervento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, che può essere considerata l’ultima tra le guerre d’indipendenza e porta all’unione con la Patria le regioni del Trentino Alto Adige, della Venezia Giulia, della Città di Trieste, della penisola d’Istria e della Dalmazia. Nel maggio del 1915, riconfermata la sua fiducia nel governo interventista di A. Salandra, subito dopo l’apertura delle ostilità, seguendo lo Statuto, il re assume il comando supremo delle Forze armate e rimane al fronte per tutta la guerra.

Nel ’22 e negli anni seguenti non si oppone all’ascesa del fascismo, che instaura un regime totalitario che dura sino al 1943. Nel 1936 Vittorio Emanuele III acquisisce il titolo di Imperatore d’Etiopia e, nel 1939, quello di Re d’Albania. Nel frattempo, nel ’38 firma le leggi razziali volute da Mussolini. Il 25 luglio del 1943 il regime fascista viene dichiarato decaduto, il re ordina l’arresto di Mussolini e conferisce al Maresciallo Badoglio l’incarico di formare il nuovo governo. L’8 settembre Badoglio annuncia alla radio l’armistizio con gli Alleati e viene a cessare anche l’alleanza con la Germania, contro la quale, il 13 ottobre, viene dichiarata guerra, dopo l’accettazione dell’Italia come nazione cobelligerante da parte degli alleati. Il re e i suoi familiari con i membri del Governo si rifugiano a Brindisi. Nel novembre dello stesso anno, rinuncia alle corone di Albania ed Etiopia.

Nel ’44, prima di ritirarsi a Ravello, dopo l’occupazione anglo-americana di Roma, nomina luogotenente del regno il figlio Umberto. Nell’intento di favorire il successo monarchico nell’imminente referendum istituzionale, il 9 maggio 1946 abdica al trono e si ritira in esilio ad Alessandria d’Egitto, dove muore il 28 dicembre 1947.

Vittorio Emanuele III errori

Ma quali furono gli errori di Vittorio Emanuele III? Il figlio di Umberto I, per sua stessa ammissione, non aveva né l’indole né il carattere per governare ma la tragica morte del padre, per mano di Gaetano Bresci, lo proiettò, oltretutto giovanissimo, sul trono di una fragile monarchia come quella italiana, assolutamente bisognosa di un capo carismatico, capace e deciso. Pur non avendo tali caratteristiche Vittorio Emanuele rimarrà in sella per ben 46 anni, costellati da immani lutti e tragedie, a partire dal primo conflitto mondiale, originatosi a Sarajevo e al quale l’Italia regia si affacciava senza inizialmente intervenire.

1. L’ingresso nella I Guerra Mondiale

La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com’era di completare l’unità nazionale con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. Malgrado l’ottimismo del capo di stato maggiore Luigi Cadorna, il conflitto fu, come noto, tremendo per le nostre forze armate, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze.

Il Piave e Vittorio Veneto ci diedero la vittoria ma, al momento di ottenere i giusti riconoscimenti, l’Italia fu, al tavolo della pace, completamente snobbata ed umiliata; il cosiddetto “trionfo mutilato”vanificò dunque tre anni di sacrifici e dimostrò l’assoluta carenza di carisma di un re che non fece nulla per imporre la volontà di un paese capace di annientare il grande Impero Austro-Ungarico.

Per molti gli errori di re Vittorio cominciarono nel 1914, con la sopracitata decisione di voler entrare in guerra, ma non bisogna dimenticarsi che il paese era diviso a metà tra interventisti e neutralisti e che Trento e Trieste erano ancora città italiane soggette all’altrui dominazione.

L’unità d’Italia non era stata dunque completata e non era possibile prima o poi non portarla a termine. L’occasione si presentò allo scoppio delle ostilità e fu colta al balzo, in quella che può essere considerata una sorta di IV guerra d’indipendenza.

Biasimando il re per tale decisione, bisognerebbe allora biasimare pure Carlo Alberto, il Cavour e Vittorio Emanuele II per le carneficine dell’esercito piemontese nel corso delle lotte risorgimentali. Semmai, a differenza dei suoi illustri predecessori, Vittorio Emanuele III non ebbe il carisma per imporre le volontà di una nazione che più di ogni altra, dopo gli Stati Uniti, aveva contribuito, alla vittoria dell’Intesa e che invece uscì, praticamente umiliata.

2. Non fermò il Fascismo

Umiliata diplomaticamente, precipitata nel caos post-bellico, l’Italia Regia vide affermarsi il fascismo di Benito Mussolini, che nell’ottobre del 1922, decise di marciare, alla testa delle sue camicie nere, su Roma. Vittorio Emanuele III si trovò di fronte ad un bivio: o mobilitare l’esercito contro i fascisti o lasciare fare; il re optò per quest’ultima soluzione e conferendo a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo, aprì la via al ventennio ed alla conseguente dittatura, sparendo nel nulla ed agendo nell’ombra.

Venendo agli eventi dell’ottobre del 1922, appartiene alla storia la nefasta decisione del sovrano di non firmare lo stato d’assedio contro la marcia su Roma e dunque la responsabilità della dittatura non può che ricadere su costui, ma tale scelta, rivelatasi, col senno di poi, tragica per i destini del popolo italiano, si denotava meno facile del previsto se si considera quella che era la situazione del momento.

In seguito alla crisi post-bellica l’Italia era un paese in ginocchio, in crisi, sull’orlo di esplodere. Le insurrezioni, i tumulti, le manifestazioni di piazza erano all’ordine del giorno ed in questo caos accresceva, giorno dopo giorno, il suo prestigio Benito Mussolini con il suo movimento. Il fascismo faceva sempre più adepti e trovava sempre più consensi per cui, quando Mussolini decise di puntare su Roma, non era facile per il re decidere il da farsi. Mobilitare l’esercito poteva significare far scoppiare una guerra civile che probabilmente avrebbe fatto saltare i fragili equilibri del regno.

Inoltre, in quel clima di crisi, di instabilità, parve opportuno al sovrano, memore di quanto avvenuto in Russia pochi anni addietro, puntare su quella che, apparentemente, forte dei consensi ottenuti, era la figura più idonea a riportare i giusti equilibri. Non si dimentichi, infine, che il primo Ministero Mussolini vide la partecipazione anche dei popolari e dei liberali. Ma le possibili e pur discutibili, giustificazioni delle scelte di Vittorio Emanuele III di Savoia finiscono qua; tutto ciò che sarebbe venuto dopo, sarebbe stato sintomo ed espressione del suo poco coraggio e della sua limitata capacità di comando.

3. Spalleggiò il Fascismo

Il Duce aveva esautorato la monarchia, ridotta a mera facciata, a mero simbolo, ma al re sembrava non importare: erano i tempi del fascismo trionfante, del fascismo ammirato e preso a modello dall’emergente Hitler, erano i tempi delle conquiste imperiali, che davano lustro allo stesso re, che giovavano al suo prestigio personale. Vittorio Emanuele III fu infatti fregiato del titolo di Imperatore di Etiopia prima e Re d’Albania poi. Che oggi appaiono ridicoli, quasi paragonabili ad essere sovrani di Topolinia.

Vittorio Emanuele III firmò le cosiddette leggi fascistissime, locuzione con cui si identifica una serie di norme giuridiche, emanate tra il 1925 e il 1926, che iniziarono la trasformazione di fatto dell’ordinamento giuridico del Regno d’Italia nel regime fascista, ossia in uno Stato autoritario di tipo nazionalista, centralista, statalista, corporativista e imperialista. In sintesi, aiutandoci con Wikipedia, introducevano queste novità:

  • il Partito Nazionale Fascista era l’unico partito ammesso, con Regio Decreto n. 1848 del 6 novembre 1926 che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni che esplicano azione contraria al regime;
  • il capo del governo doveva rispondere del proprio operato solo al re d’Italia e non più al parlamento, la cui funzione era così ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo;
  • il Gran Consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini e composto da vari notabili del regime, era l’organo supremo del partito fascista e quindi dello Stato, con Legge 2693/28;
  • tutte le associazioni di cittadini dovevano essere sottoposte al controllo della polizia, con Legge 2029/25;
  • gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti; erano proibiti, inoltre, scioperi e serrate;
  • le autorità di nomina governativa sostituivano le amministrazioni comunali e provinciali elettive, che venivano quindi abolite, Legge 237/26;
  • tutta la stampa doveva essere sottoposta a controllo, ed eventualmente censurata se aveva contenuti anti-nazionalistici e/o di critica verso il governo.
  • il confino di polizia per gli antifascisti, con Regio Decreto 1848/26 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza;
  • il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) con competenza sui reati contro la sicurezza dello Stato (per i quali era prevista anche la pena di morte) e un collegio giudicante (formato da membri della Milizia e da militari), con Legge 2008/26;
  • l’OVRA, la polizia segreta, il cui primo nucleo è istituito con Regio Decreto 1904.

Le leggi razziali emanate nel 1938 dal regime fascista, che di fatto cambiava radicalmente opinione sull’Ebraismo, per stringere un drammatico e mortale abbraccio col nazismo, hanno poi costituito e costituiscono tuttora la pagina più nera della storia del nostro paese. E portavano la firma di un sovrano che accettava l’antisemitismo e la furia xenofoba dell’alleato tedesco, fiero di un Mussolini che l’aveva fatto re d’Albania ed imperatore d’Etiopia; tale giudizio mutò repentinamente a distanza di soli 4 anni, quando le batoste e le umiliazioni subite dalle nostre malandate e carenti forze armate e lo sbarco degli alleati in Sicilia, portano il regime al collasso. Fu solo a questo punto che re Vittorio, decise di sbarazzarsi del Duce e di un regime, ormai agonizzanti. Ma come vedremo, invece di assumerne il comando, scappò vergognosamente. Lasciando il Paese senza guida.

4. Scappò durante la II guerra mondiale

Soltanto quando il fascismo cadde in disgrazia, soltanto quando l’Italia stava sprofondando, travolta in Russia, in Africa e messa in ginocchio dai bombardamenti, re Vittorio decise di intervenire ma anziché essere il condottiero di un popolo resistente, anziché riscattare venti anni di oblio, fu solo un fuggitivo qualunque, immemore del suo popolo e delle sue forze armate e solo attento alla sua incolumità personale.

In seguito alla sfiducia di Mussolini, nel Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio 1943, ne dispose dunque l’arresto e la sua sostituzione con Badoglio; terminavano così venti lunghi anni di dittatura e poteva essere questa la possibilità, per il sovrano, di nuovo a capo della nazione, di riscattare i suoi errori, assurgendo al ruolo di condottiero di un popolo nella lotta anti-nazista.

Ed è qui che emerse, in tutta la sua tragica realtà, l’assoluta pochezza di questo personaggio che, anziché divenire il punto di riferimento per un’Italia smarrita, pensò solo a salvare la pelle, fuggendo, con tutto il suo seguito, tra le braccia degli alleati. Nei quarantacinque giorni del Governo Badoglio, poi, non alzò un dito per revocare le leggi razziali, che rimasero in vigore. L’8 settembre del ’43 nessun ordine, nessun comando fu impartito alle truppe, nessun invito alla resistenza fu da lui pronunciato.

Il re d’Italia, abbandonava la patria al suo destino, abbandonava i suoi frastornati soldati alle barbarie dei tedeschi, senza nessun rimorso di coscienza. Guidare la resistenza sarebbe stato per lui un obbligo, restare in prima linea un dovere, anche a costo della vita, ma il coraggio non era dalla sua, quel coraggio dimostrato, viceversa dalla divisione Acqui o dai partigiani nella loro lotta al nemico.

Settecentomila soldati italiani internati in Germania, la strage di Cefalonia ed altri indicibili episodi del genere sono il pesante dazio che l’Italia regia dovette pagare a causa delle azioni di Vittorio Emanuele III che preferì vivere nel rimorso e in esilio piuttosto che tentare di salvare la sua patria e il prestigio della sua gloriosa casata, costretta a cedere il posto ad una repubblica, figlia del risentimento degli italiani nei confronti del penultimo re di casa Savoia.

Cos’altro dire. La storia parla da sé. Non dovevano farlo rientrare in Italia. Specie con quelle modalità nascoste. In pieno stile italiano.

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