VINCERE, LA STORIA DELLA DONNA CHE SFIDO’ IL DUCE

Un film sull’amante e il figlio mai riconosciuto da Benito Mussolini, diretto e sceneggiato da Marco Bellocchio

Qualche giorno fa ho visto “Vincere”, film di Marco Bellocchio uscito nel 2009, con Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi nei panni rispettivamente di Ida Dalser e di Benito Mussolini giovane, nonché del figlio non riconosciuto da quest’ultimo, Benito Albino. È stato l’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes del 2009 e premiato ai David di Donatello 2010 con otto premi su quindici candidature, fra cui quello per il miglior regista. Non ha vinto quello per il miglior film, conquistato da L’uomo che verrà, ambientato sempre durante la Seconda Guerra Mondiale.

LA TRAMA – Benito Mussolini è da giovane un fervente socialista, pacifista, anticlericale, direttore del giornale l’Avanti. Ma dentro di sé cresce una spinta propulsiva, egoista, ambiziosa, quasi sovrumana. Una spinta che lo porta a lasciare il partito e il giornale e fondare un Movimento (i fasci di combattimento) e un proprio giornale, Il Popolo d’Italia. Partecipa pure alla Prima Guerra Mondiale. Ad accompagnarlo in questa evoluzione o involuzione (dipende dai punti di vista) c’è Ida Dalser, ragazza passionale quanto lui. Dalla loro unione clandestina ed extraconiugale nasce Benito Albino, ma entrambi vengono a poco a poco messi ai margini da quello che diventerà il Duce d’Italia. Prima li fa rinchiudere in una cascina in campagna e poi li divide facendoli rinchiudere rispettivamente in un manicomio e in un orfanotrofio. Ma la giovane Ida non si da per vinta.

COMMENTO – Marco Bellocchio ci racconta una storia cancellata dai libri di scuola o saggistica. La storia di una donna che ha difeso fino in fondo un amore impossibile. Una passione trasmessa allo stesso figlio, che pure non ha mai cancellato il suo vero nome. L’interpretazione degli attori principali è molto coinvolgente, tanto che riescono a trasmettere appieno allo spettatore tutti i sentimenti che i personaggi interpretati provano dentro o esternano.
La Mezzogiorno interpreta al meglio l’audacia di una donna che non vuole rinunciare al suo amore e alla sua passionalità per un uomo diventato inarrivabile; sfidando perfino le regole assurde ed opprimenti che egli aveva messo in piedi con tanto di Regime autoritario. Quanto a Timi, si immedesima ottimamente nel ruolo di un giovane Mussolini in ascesa, il quale ha sempre uno sguardo perso e sovrappensiero, che tradisce il pensiero per chissà quale nuova meta da superare dall’altro della propria instancabile ambizione. Con uguale bravura interpreta anche il loro figlio clandestino, Benito Albino, il quale fu rinchiuso in un orfanotrofio col cognome della madre. Molto ben riuscita l’imitazione del padre da parte del figlio, un’imitazione ai limiti della nevrosi. Quella nevrosi che lo porterà all’auto-distruzione.

Insomma, un film che consiglio, perché ben fatto, ma soprattutto, perché ci narra una storia che i libri di storia non ci hanno mai raccontato. Vuoi per censura, vuoi per mancanza di prove inconfutabili. Ma a Bellocchio è bastato guardare un documentario della Rai del 2005 per restarne colpito e decidere di farne un film. Dando a tanti l’opportunità di venire a conoscenza di una delle tante storie taciute del nostro Paese; storie che riguardano tanto i potenti, quanto chi li ha amati senza essere contraccambiati.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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