Il Venezuela conferma Nicolás Maduro presidente, con 6.408.844 voti. Praticamente il 51,95% dei consensi. Dietro di lui il principale sfidante, Edmundo González, con 5.326.104 voti, ovvero il 43,18%. Tutti gli altri, a parte Luis Martinez (1,24%) non hanno superato neppure l’un percento. Buona l’affluenza alle urne, pari al 59% degli aventi diritto.
Non sono mancati accuse di brogli e scontri violenti nel post-voto, nel normale ordine delle cose da queste parti.
I venezuelani vanno avanti dunque con la rivoluzione bolivariana avviata dal defunto Hugo Chavez e proseguita da Nicolas Maduro, al potere dal 2013.
Le accuse di brogli
Le elezioni sono state, come ormai da tradizione in Venezuela, cariche di accuse reciproche e veleno.
Come riporta Euronews, per la leader dell’opposizione Maria Corina Machado sarebbe stato González a vincere le elezioni con il 70 per cento dei voti e l’opposizione avrebbe vinto in tutto il Paese. Così ha commentato l’esito del voto:
C’è un nuovo presidente eletto ed è Edmundo González, e tutti lo sanno. Tutte le regole sono state violate
Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha chiesto un conteggio dei voti chiaro e trasparente mettendo in dubbio il fatto che i risultati siano in linea con la volontà del popolo. Sulla stessa linea, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea Josep Borrell. Del resto, l’Ue non ha più una politica estera autonoma, e fa solo da eco a quella americana.
I governi di Cile, Costa Rica, Perù, Uruguay, Panama e Guatemala hanno contestato la validità dei risultati elettorali, dichiarando che non riconosceranno la vittoria di Maduro se prima non si avrà uno scrutinio certo di tutti i voti. Il Perù ha addirittura richiamato il suo ambasciatore da Caracas “alla luce dei gravissimi annunci ufficiali delle autorità elettorali venezuelane“.
Nicolas Maduro difende invece l’esito del voto, parlando di ingerenze esterne:
Abbiamo subito un attacco massivo hacker al centro del Consiglio elettorale. Sappiamo chi lo ha fatto. Lo hanno fatto perché volevano impedire che il popolo del Venezuela avesse il suo risultato ufficiale. Per poter gridare quello che avevano preparato, ‘gridare alla frode
Ha poi parlato di “un intervento” contro il voto per la presidenza da parte di un gruppo di nove Paesi latinoamericani “e di potenze straniere“.
Come denuncia Contropiano, era stata messa in atto una strategia mirata per scatenare il caos e l’incertezza:
- interrompere la trasmissione dei dati e lasciare il Consiglio Nazionale Elettorale muto di notte e il Paese nell’incertezza;
- Lanciare falsi exit poll durante il giorno;
- Sabotare e rendere caotica la chiusura dei seggi elettorali per dire che il governo voleva nascondere la sconfitta;
- Annunciare al mondo i “loro risultati”, indipendentemente da ciò che ha detto il CNE;
- Scatenare già da lunedi il caos, il vandalismo e la violenza facendole presentare dai media complici come “proteste spontanee” del popolo “in difesa del risultato”.
Difficile comunque si sia trattato di brogli. Per scongiurarli, lo scorso 17 ottobre 2023, è stato siglato un accordo tra governo e opposizione in Venezuela. I negoziati si sono svolti su territorio neutro, le Barbados, nei Caraibi, alla presenza di rappresentanti di Brasile, Stati Uniti, Messico, Paesi Bassi, Russia e Colombia. Paesi che hanno inviato i propri osservatori nelle recenti elezioni, insieme ad altri 900 osservatori internazionali e accompagnatori provenienti da oltre 110 paesi del mondo, che hanno assistito alle attività del voto.
Le materie prime del Venezuela che fanno gola
Del resto, qui le elezioni interessano molto l’elite globalista, poiché parliamo di un paese ricco di materie prime. Su tutte, ovviamente, il petrolio, visto che il Venezuela è il sesto paese OPEC per produzione di oro nero. Solo per dirne una, il Venezuela è tra i quattro principali fornitori di petrolio per gli Stati Uniti. Avere un governo amico per gli americani è molto importante.
Il paese latinoamericano produce ed esporta prodotti dell’industria pesante come acciaio, alluminio e cemento. Altri settori sono quello dell’elettronica e delle auto, come anche quello alimentare e delle bevande. Esporta anche riso, granturco, pesce, frutti tropicali, caffè, carne suina e di manzo. Tuttavia, non è autosufficiente nella maggior parte delle aree agricole.
Situazione economica in Venezuela
Diversi analisti denunciano la situazione difficile in Venezuela. Come riporta Wikipedia, il paese ha vissuto una crescita economica importante tra gli anni ’50 e gli anni ’80, non a caso tanti sono stati gli italiani lì immigrati. In questo trentennio, la nazione ebbe tra i più alti standard di vita dell’America Latina.
Durante il calo dei prezzi del petrolio degli anni ottanta, cominciò una progressiva svalutazione e l’inflazione raggiunse i picchi dell’84% nel 1989 e del 99% nel 1996, tre anni prima della salita al potere di Hugo Chávez.
Da quando la rivoluzione bolivariana quasi distrusse il gigante petrolifero statale PDVSA nel 2002 licenziando circa 20.000 persone e impose dei controlli valutari stringenti nel 2003 per prevenire il capital flight, c’è stato un declino costante nella produzione ed esportazione del petrolio oltre ad una serie di rigide svalutazioni monetarie che hanno distrutto l’economia.
Successivamente, il calmieraggio, gli espropri di numerosi terreni agricoli e varie industrie, oltre a discutibili politiche di governo (come un blocco quasi totale a ogni accesso a qualunque valuta straniera a ragionevoli tassi di cambio “ufficiali”), hanno portato a diverse penurie in Venezuela e ad una forte crescita dei prezzi di tutti i beni comuni, come cibo, acqua, prodotti per la casa, pezzi di ricambio e forniture mediche. Costringendo così molti impresari a tagliare la produzione o chiuderla, oltre ad abbandonare il Paese. I settori più colpiti da questa fuga sono stati quello tecnologico e automobilistico.
Dal 2015, il Venezuela ha iniziato a soffrire di iperinflazione, la più alta al mondo e nella storia del Paese fino a quel momento. Secondo fonti indipendenti, il tasso è aumentato al 4 000% nel 2017. Mentre il tasso di povertà della popolazione ha toccato perfino l’87%. Secondo recenti stime, oggi si attesterebbe intorno al 52%.
Difficile dire come stiano le cose in Venezuela. Paese complicato, sotto l’attacco speculativo internazionale, bramoso delle sue risorse primarie. Forse la cura è peggio della malattia, ma tanti sono gli esempi di paesi banchettati dalle multinazionali straniere e dall’alta finanza internazionale. Incluso il nostro. Qui abbiamo parlato di quanto accaduto in Argentina, paese un tempo ricco.
Certo, i governi degli ultimi anni stanno soffocando le potenzialità del paese specchiandosi troppo nella propria ideologia. L’ideale sarebbe un governo liberaldemocratico, aperto ai privati (anche stranieri) senza però svendere le proprie risorse. Un po’ come fatto da Putin in Russia dagli anni 2000.