La versione più diffusa sulle origini del detto ‘Vedi Napoli e poi muori’ viene attribuita a Goethe. Ma ciò è errato.
“Vedi Napoli e poi muori” è un detto molto diffuso, per indicare il fatto che, prima di lasciare la vita terrena, occorra vedere almeno una volta Napoli. Largamente considerata la città più bella del mondo. Ma qual è la vera origine di questo detto?
E’ opinione diffusa che il primo ad enunciare la frase “Vedi Napoli e poi muori” sia stato lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe, dopo essere rimasto folgorato dalla bellezza della città. Ma, soprattutto, dal modo di vivere lento dei suoi abitanti, che così si godevano la vita senza affanni e frenesie.
Tuttavia, questa versione non è corretta, o, quanto meno, lo è limitatamente. Ecco qual è la vera origine di questo detto.
Vedi Napoli e poi muori, cosa disse Goethe
Come riporta Wikipedia, Johann Wolfgang Goethe, nato il 28 agosto del 1749 a Francoforte sul Meno, fu tante cose: scrittore, poeta, drammaturgo, saggista, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d’arte e critico musicale tedesco.
Nel 1786, a 37 anni, decise di intraprese il suo primo viaggio in Italia, che durò circa 2 anni. Arrivato a Trento il 10 settembre, dopo una serie di tappe, giunse a Napoli, visitando però varie località oltre la dea Parthenope (da Caserta a Salerno, rimanendo particolarmente folgorato da Cava de’ Tirreni).
Orbene, durante il soggiorno napoletano – come spiega il giornalista, storico e scrittore Angelo Forgione sul suo blog – Goethe semplicemente raccolse quanto già dicevano i napoletani. Riportando quella frase nei suoi appunti di viaggio, in particolare, negli scritti datati 2 marzo 1787:
Della posizione della città e delle sue meraviglie tanto spesso descritte e decantate, non farò motto. “Vedi Napoli e poi muori!” dicono qui.
La frase in lingua madre sarebbe:
Siehe Neapel und stirb!
Quali sono le vere origini del detto ‘Vedi Napoli e poi muori’
Come spiega Forgione che cita alcuni scritti del passato, il significato è più inquietante e meno romantico di quanto si pensi. Tutto parte dalla strada degli Alessandrini, conosciuta dal popolo come “vico de li mpisi”, oggi è l’attuale via Nilo. Uno stretto cardo del Centro Storico di Napoli (che ricordiamo essere diventato Patrimonio dell’Unesco) che dal Decumano maggiore scende verso il largo Corpo di Napoli, dove è possibile apprezzare la statua del Nilo.
Nel 1850, tra le modifiche della toponomastica, vico Bisi, già ex vernacolare mpisi (cioè impiccati), divenne l’attuale Via Nilo.
Ma perché quel riferimento agli impiccati? Perché la strada degli Alessandrini, anticamente, era attraversata da gruppi di condannati al patibolo, in ossequio a un itinerario prestabilito dalle autorità del tribunale del Regno di Napoli. Non a caso, lì vicino era ubicato il Castel Capuano, che nel Cinquecento era stato convertito in sede della Gran Corte della Vicaria (in pratica il palazzo di Giustizia) dal viceré don Pedro de Toledo. Non mancavano sotterranei adibiti a prigioni.
Di qui il collegamento con il detto “Vedi Napoli e poi muori”. Tra il 1500 e il 1600, i condannati all’impiccagione dal tribunale situato in Castel Capuano, usciti dalle prigioni buie e sotterranee ubicate nei suoi sotterranei dovevano obbligatoriamente attraversare la città e la sua folla, proprio per sottoporli alla pubblica gogna.
L’itinerario prevedeva l’attuale Decumano maggiore (via dei Tribunali), la svolta a sinistra in direzione di via Nilo (vico degli impiccati), poi in direzione di Piazza Mercato, in largo Castello fino al ponte della Maddalena.
Tutto questo aveva un senso disumano: costringere quelle persone ad ammirare per l’ultima volta le bellezze del centro storico di Napoli, prima di essere posti sul patibolo. E lo facevano passando dal buio delle segrete di Castel Capuano alla luce del sole che notoriamente “bacia” Napoli. Come decantato da O’ sole mio.
Pertanto, tornando a Goethe, ha avuto solo il merito di rendere famoso un modo di dire già esistente tra i napoletani 2 secoli prima.
Una storia molto simile a quella del Ponte dei sospiri di Venezia, pure visitata dall’autore poliedrico tedesco.