Grazie alla scoperta di V1 e altre cefeidi in Andromeda, Hubble dimostrò che la Via Lattea non è l’unica galassia esistente.
Primo gennaio 1925, riunione dell’American Astronomical Society: uno studio a nome Edwin Hubble, intitolato “Extragalactic Nature of Spiral Nebulae” viene presentato all’assemblea ed improvvisamente l’universo conosciuto diventa infinitamente più grande.
Sì perché in esso il giovane e ambizioso astronomo americano (a cui verrà in seguito dedicato l’omonimo telescopio spaziale) dimostra con prove schiaccianti che la Via Lattea non è, come generalmente si riteneva all’epoca, l’unica galassia esistente, aprendo la strada allo studio dell’universo al di là dei suoi confini.
Perché la scoperta di V1 ha cambiato la percezione dell’Universo
Tutto era nato dalla scoperta di un’umile stellina, catalogata semplicemente come V1 (che sta per Variabile 1) e situata alla periferia di quella che oggi conosciamo come la galassia di Andromeda (o M31), ma che fino ad allora era considerata una semplice nebulosa a spirale, cioè una delle tante fioche e indistinte chiazze di luce all’interno della Via Lattea.
In occasione del centenario della presentazione dello studio di Hubble che la riguarda, quella che segue è la storia di V1, una stella che può essere a ragione ritenuta per noi la più importante dell’intero universo (dopo il Sole, s’intende).
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