Il popolo americano fa festa, e con loro, ovviamente, i signori della guerra che per anni gli hanno dato la caccia: Osama Bin Laden è stato ucciso. A darne l’annuncio ufficiale Barack Obama alle 5:30 (ore italiane) di ieri: «Buona sera – ha esordito Barack Obama iniziando a parlare nella conferenza stampa convocata a sorpresa meno di un’ora prima -. Questa notte posso riferire alla gente d’America e al mondo che gli Stati Uniti hanno portato a termine un’operazione in cui è stato ucciso Osama Bin Laden, un terrorista che è responsabile dell’omicidio di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti». Chissà quanto avrà rosicato George Bush jr., che ha sognato di annunciarlo per 8 anni alla guida della Casa Bianca.
LA DINAMICA DEL BLITZ – Bin Laden è stato scovato e ucciso a Abbottabad, sita a circa 60 km dalla capitale Islamabad. Oltre al leader di al Qaida, sono morte altre quattro persone, tra le quali un figlio. All’operazione, durata oltre mezz’ora, hanno partecipato almeno 15 uomini delle forze speciali. Il capo di al Qaida ha opposto resistenza, scatenando un conflitto a fuoco nel quale «nessun civile è rimasto ferito», ha precisato Obama confermando alcuni dettagli del blitz. Il via libera è arrivato venerdì mattina, dopo almeno cinque riunioni in marzo e aprile in cui il presidente aveva discusso con i suoi collaboratori i dati di intelligence su Osama bin Laden.
Gli 007 americani appartenenti ai Navy Seal – Le forze speciali americane addestrate per le operazioni antiterrorismo più difficili – sono arrivati allo sceicco del terrore seguendo quello che ritenevano essere un suo fidato corriere. «Quando abbiamo visto il compound siamo rimasti esterrefatti», hanno spiegato i funzionari responsabili dell’operazione. Bin Laden si nascondeva infatti in un complesso residenziale di lusso e con misure di massima sicurezza, una proprietà valutata oltre un milione di dollari. Il complesso è abbastanza affollato e ospita numerosi militari pachistani in pensione: grande otto volte di più delle case adiacenti, è circondato da un muro alto fino a 5 metri e mezzo su cui corre il filo spinato, con altri muri posti all’interno che separano le varie zone del compound, in cui non ci sono connessioni telefoniche o internet. Insomma, non si trovava certo in caverne umide come l’immaginario collettivo era invece abituato a pensarlo.
La sorte del cadavere del leader di al Qaida rischia di innescare roventi polemiche. Il corpo sarebbe stato «seppellito in mare» hanno riferito funzionari statunitensi, dopo essere stato portato in Afghanistan.
UNA CACCIA DURATA 16 ANNI – Sebbene molti ritengano che la caccia americana a Bin Laden fosse iniziata dopo il tragico evento dell’11 settembre 2001, in realtà essa risale ad anni prima. Ovvero al 1995. Nel 1995 a Langley, mitica sede della Central Intelligence Agency, esisteva già la Osama bin Laden Unit. Il capo era l’agente Michael Scheuer, che ha continuato a inseguire Osama fino al 1999. Il 1995 era stato l’anno dell’attentato a Riad contro il centro di addestramento della Guardia nazionale saudita, gestito dagli americani, in cui erano morte sette persone. Gli Stati Uniti naturalmente conoscevano bin Laden da molto prima, dall’epoca in cui erano alleati contro l’invasione sovietica in Afghanistan, ma gli anni Novanta sono il periodo in cui il capo di al Qaeda aveva cambiato obiettivo, radicalizzando la sua offensiva contro Washington.
Il primo tentativo noto di ucciderlo era stato fatto nell’agosto del 1998, subito dopo i due attentati contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam, che avevano fatto 224 vittime. Il presidente Clinton aveva ordinato di lanciare dei missili Tomahawk contro le basi di al Qaeda in Afghanistan, mancando Osama per un soffio: quando le bombe avevano colpito gli obiettivi, lui era scappato da poco. Secondo Scheuer, l’anno dopo la sua squadra era riuscita a sapere per cinque notti consecutive dove dormiva bin Laden, ma Clinton stavolta si era rifiutato di premere il grilletto. Uno dei motivi per cui l’agente aveva deciso di lasciare l’incarico e dimettersi dalla Cia.
L’11 settembre del 2001, appena era diventato chiaro che i disastri di New York e Washington non erano incidenti, l’intelligence aveva puntato subito il dito contro Osama. L’Fbi, la Cia, le altre autorità di controllo degli accessi negli Stati Uniti, erano arrivate ad un soffio dall’intercettare i suoi kamikaze, e la ragione per cui non c’erano riuscite resta insieme un mistero e una vergogna per l’intera comunità delle forze di sicurezza. La caccia a bin Laden, però, era ripresa il giorno stesso degli attentati. Il Pentagono, pianificando la campagna dell’Afghanistan per aiutare le milizie dell’Alleanza del Nord a rovesciare il regime dei taleban, aveva subito aggiunto una missione segreta della Cia e delle forze speciali per cercare, catturare, e magari uccidere il capo di al Qaeda. Ormai quella è storia, raccontata dagli stessi protagonisti. Gary Berntsen, membro della squadra, l’ha scritta nel suo libro “Jawbreaker”: «Ho preso tutti i rischi che potevo prendere. Ho preso tutte le misure possibili. Gli uomini che erano con me rischiarono tutto. Distruggemmo una larga porzione delle sue forze a Tora Bora, e alla fine della giornata posso guardarmi nello specchio e dirmi: hai fatto tutto il possibile».
Tora Bora, il rifugio quasi mitologico sulle montagne al confine tra Afghanistan e Pakistan, dove Osama era rimasto intrappolato alla fine del 2001. Anche Dalton Fury, pseudonimo di un maggiore della Delta Force che aveva comandato le operazioni per dare la caccia a bin Laden, ha raccontato quei giorni terribili nel libro “Kill bin Laden”. Lo ha fatto, dice lui, perché si erano scritte troppe bugie su quella missione disperata: «Il nostro compito era trovarlo, catturarlo e ucciderlo. Ma stava scritto sui muri che era meglio ammazzarlo, perché nessuno voleva portare Osama negli Stati Uniti per comparire in processo davanti ad un tribunale». Dalton e i suoi uomini erano arrivati in Afghanistan di nascosto, per operare in assoluto segreto: «Tutti ci eravamo fatti crescere la barba. Indossavamo vestiti locali e alcuni di noi portavano pure le armi più comuni fra gli afghani. Il piano era ucciderlo, senza che nessuno potesse mai provare la nostra presenza nel paese».
Gli americani si erano poi limitati a bombardare dall’alto Tora Bora, sperando di colpire bin Laden o di catturarlo attraverso le milizie afghane, ma lui era riuscito a scappare in Pakistan.
Ingoiata la delusione, la caccia era ripresa. Nel marzo del 2003 Khalid Sheikh Mohammed, mente degli attentati dell’11 settembre, era stato catturato a Rawalpindi, nascosto nel caos di una grande città. Tutti però continuavano a pensare che Osama, invece, vivesse nei villaggi pashtun del Waziristan. Alla fine del 2003 le forze di sicurezza pakistane avevano lanciato persino un raid nel paesino di Lattaka, convinte che lui fosse là. Non l’avevano trovato, ma un’alta fonte militare americana si era detta sicura che il capo di al Qaeda aveva i mesi, se non le settimane, contati. Invece erano continuate le voci, i falsi avvistamenti, le notizie secondo cui era gravemente malato ai reni, ma del bin Laden vero nemmeno l’ombra. Nel settembre del 2006 fonti di intelligence francese avevano detto che era morto di tifo, ma nessuno aveva trovato il cadavere.
Proprio in quell’anno una nuova squadra di circa cento agenti della Cia era entrata in Pakistan per rilanciare la caccia all’uomo, come ha raccontato poi Art Keller, uno di loro. «Le indagini vere le facevano gli uomini dell’Isi, il servizio segreto pakistano. Noi stavamo chiusi dentro una base ad Islamabad, per cercare tracce su cui indirizzare i nostri colleghi». Siccome il presidente Bush aveva investito tutte le risorse migliori nella guerra in Iraq, per cercare Osama erano stati richiamati in servizio gli agenti che lo avevano inseguito per anni, e adesso erano in pensione: «Gente di sessantacinque anni, che però sapeva tutto della regione, parlava il pashtun, e non aveva alcun problema a vivere in condizioni simili ad una prigione. Il numero dei divorzi tra questi agenti era molto alto, ma preferivano stare nel mezzo dell’azione piuttosto che giocare a bowling». Sul terreno però ci andavano i locali, come un mullah che venne spedito a fare indagini in un villaggio del Waziristan, e fu ritrovato pochi giorni dopo decapitato, con un biglietto addosso che diceva: «Questo è quello che succede ai traditori». Washington aveva messo pure una taglia su Osama, prima di 25 e poi di 50 milioni di dollari, ma non aveva funzionato, forse perché anche lui aveva soldi da regalare per comprarsi la fedeltà dei suoi protettori. Gli agenti della Cia avevano finito per soprannominarlo “Elvis”, perché non si capiva se fosse vivo o morto, ma intanto le apparizioni vere o false continuavano.
I PRINCIPALI ATTENTATI – Ecco i principali attentati attribuiti ad Al Qaeda:
-Kenya-Tanzania 1998
Due auto bomba esplosero quasi simultaneamente vicino all’ambasciata statunitense di Nairobi (Kenya) e Dar es Salaam (Tanzania) provocando 224 morti, tra cui 12 statunitensi, e migliaia di feriti.
-Aden, 2000
Anche l’attacco del 2000 al cacciatorpediniere statunitese “Cole” nel porto di Aden (Yemen) è stato ricondotto a Bin Laden. Nell’occasione morirono 17 marines.
-New York, 11 settembre 2001
Bin Laden diventa il più famoso terrorista al mondo dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono di Washington. Quasi 3000 le vittime.
-Bali, 2002
Indonesia, 2 ottobre 2002: 202 morti, tra cui numerosi turisti stranieri, dopo che un’autobomba fu fatta esplodere vicino alla discoteca di Bali. L’attentato fu attribuito alla Jemaah Islamiyah, rete clandestina che lotta per la creazione di uno Stato islamico nel sud-est asiatico e che si ispira ad Al Qaida.
-Riad, 2003
Arabia Saudita, 12 maggio 2003: 35 morti, tra cui 9 statunitensi, in un triplo attentato kamikaze contro un residence a Riad.
-Madrid, 11 marzo 2004
11 marzo 2004: 191 morti e circa 2mila feriti fu il bilancio di una serie di attentati coordinati al sistema di treni locali a Madrid.
-Londra, 2005
Gran Bretagna, 7 luglio 2005: 56 morti (compresi 4 kamikaze) in seguito a quattro attentati kamikaze nella metro e un bus a Londra.
-Iraq, 2007
Iraq, 14 agosto 2007: più di 400 morti in quattro attentati con camion bomba contro una setta religiosa curda nella provincia di Ninive, nel nord.
-Amsterdam, 2009
Paesi Bassi/Stati Uniti, 25 dicembre 2009: in volo tra Amsterdam e Detroit, un nigeriano, Umar Faruk Abdulmutallab, tenta di far saltare l’aereo con dell’esplosivo nascosto nelle mutande.
I MERITI DI OBAMA – Bin Laden è stato ucciso da un blitz delle forze speciali guidate dalle intercettazioni di intelligence e ciò significa che a pagare è stata la formula anti-Al Qaeda che Barack Obama ha concordato sin dall’inizio del 2009 con Leon Panetta, capo della Cia, e David Petraeus, capo delle truppe in Afghanistan. Solo pochi giorni fa entrambi sono stati rispettivamente promossi a capo del Pentagono e capo della Cia e l’eliminazione di Bin Laden conferma che è la loro versione di guerra al terrorismo – con l’intelligence che guida le operazioni usando armi molto sofisticate – è quella su cui Obama ora punta per incalzare Al Qaeda nelle sue rimanenti roccaforti, a cominciare dallo Yemen dell’imam Al Awlaki.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE DELLA SUA MORTE – La pressione sui jihadisti inizia da subito perché il timore dell’amministrazione è che tentino di reagire all’uccisione del loro ideologo puntando a colpire obiettivi americani, in tempi rapidi e con effetti devastanti.
Timori di terrorismo a parte, Washington guarda agli effetti dell’uccisione di Bin Laden su due fronti. Innanzitutto quale sarà l’impatto sulle rivolte in atto nel mondo arabo visto che l’amministrazione ne ha più volte sottolineato le caratteristiche “democratiche” e “non fondamentaliste”. E la speranza di Washington è che il cadavere di Bin Laden possa accelerare il ridimensionamento dei gruppi fondamentalisti islamici. L’altro fronte è quello pakistano: visto che Bin Laden si trovava assieme ad alcuni famigliari in una villa a nord di Islamabad il sospetto di forti complicità del governo locale con Al Qaeda è destinato a mettere a dura prova i rapporti bilaterali. Il presidente pakistano dovrà riuscire ad essere molto convincente per placare la rabbia del Congresso che anche negli ultimi mesi ha continuato ad approvare aiuti miliardari all’esercito ed all’intelligence di Islamadad.
LA VITA DI BIN LADEN, ALTRO PERSONAGGIO PRIMA CREATO E POI ACCOPPATO DAGLI USA – Osama bin Laden è nato a Ryadh, in Arabia Saudita, il 10 marzo del 1957, da padre yemenita e madre siriana, diciassettesimo di cinquantadue tra fratelli e fratellastri. Fin da piccolo e’ stato educato all’ortodossia islamica e al rispetto della Sharia ed ha avuto la possibilità di laurearsi in economia e in ingegneria civile presso l’Università di Gedda. Il suo impegno ”politico” iniziò nel 1979 e per ironia della sorte si schierò dalla stessa parte dell’occidente nel sostenere la causa dei Mujahidin contro il governo filo-sovietico dell’Afghanistan. Nel 1984 fondò un’organizzazione, Maktab al-Khidamat (MAK), con il compito di raccogliere denaro, armi e combattenti per la guerra afgana. Forse riuscì a ottenere anche finanziamenti diretti dalla Cia, circostanza tuttavia smentita dall’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, secondo il quale l’intelligence americana intervenne attraverso i Servizi Segreti pakistani. Dopo la cacciata dei sovietici nel 1989, Bin Laden tornò in Arabia Saudita accolto come un eroe. Ed e’ di quel periodo l’idea di fondare Al-Qaeda, la Rete, l’organizzazione che lo avrebbe reso tristemente famoso. Trasferitosi prima in Sudan e poi di nuovo in Afghanistan, Osama diventò il nemico numero uno degli Stati Uniti e viene ripudiato dalla sua patria di origine, da sempre fedele alleata di Washington, che gli ritira la cittadinanza. Il primo attacco contro un obiettivo americano fu una bomba presso un albergo dello Yemen dove solitamente risiedevano le truppe statunitensi. Ma nell’esplosione morirono solo due turisti austriaci. Da allora, l’organizzazione di Bin Laden e’ stata accusata dell’attentato al World Trade Center nel 1993. Il resto è storia d’oggi.
Insomma, Bin Laden entra a pieno titolo in quella serie di personaggi che l’Occidente prima forgia a proprio piacimento per conseguire propri interessi politici ed economici, e poi quando non servono più, li addita come nemici pericolosi da abbattere. La lista sarebbe lunga, ma basta citare solo gli ultimissimi esempi: Saddam Hussein, Muammar Gheddafi, Hosni Mubarak, e appunto Bin Laden.