The Irishman: Scorsese propone un’Epopea, ma con 2 pecche

The Irishman: Scorsese propone un’Epopea, ma con 2 pecche

Introduzione

Intorno a The Irishman, uscito a novembre 2019, c’è stata grossa attesa. Nonché grandi aspettative. Del resto, un film che vede come regista Martin Scorsese, e come attori principali due stelle come Robert De Niro nonché Al Pacino, non può non suscitare quei sentimenti.

A ciò occorre poi aggiungere il ritorno alla recitazione di Joe Pesci, ritiratosi oltre trent’anni prima, nel 1996. Storica spalla di De Niro, grande caratterista. Nonché lo zampino nel progetto di Netflix, colosso dello streaming.

Ma Irishman ha soddisfatto le attese della vigilia? Vediamo di seguito la trama di The Irishman e la recensione.

The Irishman trama

Un anziano in un ospizio inizia un racconto. Trattasi di Frank Sheeran, un camionista, che ha partecipato anche alla Seconda guerra mondiale in Italia. Un giorno, grazie al camion in avaria, incontra in una pompa di benzina un uomo distinto: Russell Bufalino. Il quale lo aiuta individuando subito il problema, consentendogli di tornare in carreggiata. I due si incroceranno di nuovo, ma questa volta Bufalino lo metterà su un’altra pista: quella della Mafia.

Le rispettive famiglie stringono un’amicizia che va al di là del business, con Russell che presenterà a Frank Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti. Una vera star, perfino più popolare di Elvis e dei Beatles messi insieme. Ma anche Hoffa ha i suoi metodi “poco ortodossi” e tra i tre nascerà un triangolo fatto di pericolosi intrecci, che cambieranno radicalmente la vita di un semplice lavoratore come Frank.

The Irishman recensione

Martin Scorsese mette in scena tutta la sua arte nel trasporre la malavita italo-americana, forte di esperienze passate che si chiamano Mean street, Quei bravi ragazzi e Casinò. Mette insieme i tre attori più quotati del settore: Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci. Quest’ultimo ritiratosi nel 1996 e tornato a recitare per l’occasione. Intorno ai tre tenori del cinema hollywoodiano, ruota un team di altrettanti bravi attori. Come Harvey Keitel o Bobby Cannavale.

Scorsese traspone la vera storia di Frank Sheeran, l’irlandese che uccise il sindacalista Jimmi Hoffa. Tratto dal libro “I Heard You Paint Housesdel” di Charles Brandt. Aiutato nella scrittura della sceneggiatura da quest’ultimo e da Steven Zaillian.

Il progetto è molto ambizioso e come spesso è successo nella filmografia del buon Martin, il capolavoro è solo sfiorato. Sfumato per qualche pecca. Forse al regista che meglio e più di tutti ha raccontato la vita degli italoamericani e degli irlandesi in America, il cinema piace anche così. Che rasenti la perfezione, ma non la tocchi. Anzi, quasi la sbeffeggi.

Per esempio, nella fattispecie, tra le pecche principali troviamo una eccessiva lunghezza, per un progetto che fa più pensare, visto anche lo zampino di Netflix, ad una serie tv mancata. O ad un film in due parti. Tre ore e mezza appartengono a rari capolavori, come Il Padrino II o C’era una volta in America, e forse si confanno più per un genere Fantasy o di Guerra. E neppure. Perché in una società liquida e veloce come quella in cui viviamo, sono impensabili.

Ma per un drammatico appaiono una esagerazione. Un capriccio del regista che rischia di annoiare, snervare e irritare lo spettatore. Malgrado la buona trama o i protagonisti in campo. E’ pur vero, comunque, che quando uscì il film proprio Scorsese si scaglio contro il (non) cinema dei Supereroi. Probabilmente ha voluto sfidarli sul loro campo.

Altra grossa pecca, l’uso prolungato della tecnica della CGI (Computer-Generated Imagery), per ringiovanire i protagonisti. Va bene per qualche scena in flash-back (come quella di De Niro in guerra, di pochi secondi), ma una buona parte di film appare ridicola e fuorviante. L’artificio rovina le scene, quasi le ridicolizza. Il volto di De Niro con gli occhi azzurri è inquietante. Mentre Joe Pesci sembra Benjamin Button da anziano.

Probabilmente, Scorsese non aveva messo in conto che il tempo passa anche per i grandi attori. Sarebbe stato più credibile l’utilizzo di attori che gli somigliassero.

Forse il modo migliore di gustarselo è in 2 volte. Magari iniziarlo e vederlo fino alla morte di JF Kennedy, intorno all’ora e mezza. E il giorno seguente le restanti quasi 2 ore. Perché tutto sommato si tratta di un bel film e una bella storia, al netto di qualche esagerazione.

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