Come riporta Wikipedia, Stan Lee è stato attivo dagli anni ’40 agli anni duemila. È cresciuto tra le fila di un’azienda a conduzione familiare, diventando il principale leader creativo della Marvel Comics per due decenni, guidando la sua espansione da una piccola divisione di una casa editrice a una società multimediale che ha dominato l’industria del fumetto.
Ha aperto la strada a un approccio più naturalistico alla scrittura di fumetti di supereroi negli anni ’60 e negli anni ’70 ha sfidato le restrizioni dell’autorità del codice del fumetto, indirettamente portando a cambiamenti nelle sue politiche. Negli anni ’80 Stan Lee ha perseguito lo sviluppo delle proprietà Marvel in altri media, con risultati contrastanti. Dopo il suo ritiro dalla Marvel negli anni ’90, è rimasto un prestanome pubblico della compagnia, e spesso ha fatto apparizioni cameo in film basati su personaggi Marvel, sui quali ha ricevuto un credito onorario “produttore esecutivo”.
Nel frattempo, ha continuato le sue avventure creative nei suoi anni ’90, fino alla sua morte nel 2018.
Stan Lee è stato inserito nella Hall of Fame del Will Eisner Award nel settore dei fumetti nel 1994 e nella Hall of Fame di Jack Kirby nel 1995. Ha ricevuto la National Medal della NEA Arti nel 2008.
Il suo personaggio più amato è senza dubbio Spider-man, oggetto di svariati film e versioni a partire dagli anni ‘90. Tuttavia, questo personaggio ha una caratteristica di cui si parla sempre troppo poco. E che possiamo anche definire in un certo senso spiazzante.
Spider-man di Stan Lee un Working class hero
Stan Lee ha attraversato coi suoi personaggi varie epoche degli Usa. L’ingresso nella Seconda guerra mondiale, il boom economico degli anni ‘50-’60, la Guerra Fredda, il disgelo negli anni ‘80, il rampantismo degli anni ‘90-inizio 2000, la crisi del 2008, la vittoria impensabile di Trump.
Non è pubblicamente noto politicamente Stan Lee come la pensasse. Del resto, ha contribuito coi suoi personaggi a nutrire il cosiddetto “sogno americano”. Che di certo, non è solo rose e fiori. Stelle e strisce.
Tuttavia, c’è un personaggio su tutti che va fuori le righe dell’americanismo rampante. Che in fondo viene fuori in uno dei suoi personaggi più popolari: Capitan America. Parliamo di Spider-Man, probabilmente proprio il suo più amato dal pubblico.
Come fa notare Contropiano, Stan Lee ha creato un supereroe che veniva dal Queens, da uno dei quartieri di New York che all’epoca era un quartiere operaio.
Peter Parker, l’Uomo Ragno, era un eroe della working class statunitense, una fetta di popolazione che dai fumetti non era mai stata rappresentata. Era un orfano, viveva con uno zio che era stato licenziato e che tentava di sbarcare il lunario con lavoretti saltuari. Una persona che oggi rispecchia tanti di noi insomma.
Peter Parker è un ragazzo di 17 anni, non un uomo fatto, che da un giorno all’altro si trova di fronte alla possibilità di fare cose straordinarie, ma allo stesso tempo di fronte a responsabilità enormi: provvedere all’economia della famiglia, lavorare e studiare contemporaneamente.
Insomma, un supereroe che viene dal basso. Un working class hero ben lontano, per esempio, dal supereroe principe della concorrente Dc Comics: Batman. Benestante e viziato dai genitori.
Del resto, Spider-man ha anche un costume in buona parte rosso. Sarà un caso. Forse. Ma a parte queste considerazioni, resta il fatto che ci ha lasciati l’ennesimo genio, dotato di fervida immaginazione. Qualcosa di sempre più raro in una società appiattita, automa e disincantata come la nostra.