Primo maggio, quando i proletari uccisero le innocenti sorelle Porro

Oggi Primo maggio, Festa dei lavoratori. Giornata che, paradossalmente, trova le sue origini in un paese capitalista dove i Sindacati sono privati. Ossia negli Usa. In un lontano periodo di significative e frequenti manifestazioni per i diritti degli operai delle fabbriche durante la Rivoluzione industriale, guidate dall’Associazione dell’Ordine dei Cavalieri del Lavoro americani: i Knights of Labor.

Nel 1886, fu approvata a Chicago, in Illinois, la prima legge delle otto ore lavorative giornaliere, legge che entrò in vigore soltanto l’anno dopo, il 1º maggio 1867. Giorno nel quale fu organizzata un’importante manifestazione, con almeno diecimila partecipanti.

La notizia giunse anche in Europa, dove nei primi giorni di settembre 1866 fu organizzata a Ginevra la “Prima Internazionale”, ovvero il più grande congresso internazionale organizzato dall’Associazione internazionale dei lavoratori, molto vicina ai primi movimenti socialisti e marxisti-comunisti dell’epoca.

Nel 1887, l’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Grover Cleveland, ritenne che il giorno 1° maggio avrebbe potuto costituire un’opportunità per commemorare i sanguinosi episodi di Chicago.

In Europa la festività del primo maggio fu ufficializzata dai delegati socialisti della Seconda Internazionale riuniti a Parigi nel 1889 e ratificata in Italia due anni dopo.

Per molti questa festa non ha più senso, alla luce della disoccupazione cronica, soprattutto giovanile e femminile. E della precarizzazione del lavoro. Oltre che in virtù dei tanti morti sul lavoro.

In pochi poi conoscono una triste storia legata ai crimini comunisti e proletari. Come l’uccisione delle sorelle [sta_anchor id=”porro”]Porro[/sta_anchor].

Omicidio sorelle Porro, cosa accadde

sorelle porro

Come riporta Puglia in, il dopoguerra in Italia fu caratterizzato da un duplice fenomeno: da un lato la massiccia emigrazione verso le città industriali del Nord Italia o all’estero (soprattutto Belgio, Germania, Usa e Australia). Dall’altro, alimentò una nuova, intensa fase di lotte contadine, che raggiunse l’apice nel 1946, in Puglia.

Nella struttura economica del nostro territorio, il latifondo continuava a giocare un ruolo determinante ed un’economia prevalentemente agricola tutelava e privilegiava i grandi proprietari, lasciando nella fame e nella povertà il resto della popolazione, costituito da operai e contadini.

Tra il giugno e l’ottobre del 1945, in Terra di Bari, iniziarono le “rivolte della fame” con incidenti ed occupazioni nei territori di Gravina, Altamura, Santeramo, Noci e Acquaviva.

Le cronache dell’epoca ed i rapporti delle Forze dell’Ordine riferiscono di continui furti effettuati nelle masserie e di numerosi interventi della Polizia con arresti frequenti di reduci aggregati in bande armate.

Dovunque si diffuse il ricorso al “lavoro arbitrario” che consisteva nell’invadere le terre, compiere lavori ed esigerne il pagamento da parte dei proprietari.

Scontri violenti si estesero in breve tempo in tutta la Regione, ma raggiunsero l’apice a Minervino e Andria.

Qui, su una popolazione di circa 60.000 abitanti, si contavano circa 5.000 disoccupati tra braccianti, operai edili e piccoli artigiani, la cui ricchezza e attività era stata praticamente azzerata dal periodo bellico.

Così, la Federterre e le leghe contadine riorganizzarono le loro fila e si predisposero ad una nuova stagione di rivendicazioni e scioperi che non trovarono in chi deteneva il potere economico un interlocutore disponibile al dialogo e videro, nel Governo, un mediatore debole ed incerto.

Nel marzo del 1946, il rifiuto di una ditta locale di Andria di assumere quattro reduci di guerra, scoppiò in una rivolta che vide il sequestro di alcuni proprietari terrieri e la costruzione di barricate.

Ci furono scontri cruenti con le forze dell’ordine e sembrò che fosse stato trovato un accordo.

Tuttavia, al momento del discorso tenuto dal celebre sindacalista cerignolese Giuseppe Di Vittorio, fu sparato un colpo d’arma da fuoco e i disordini ripresero.

Il 7 marzo, un drammatico giovedì, una folla inferocita assalì il palazzo dei Porro, una famiglia di grandi proprietari terrieri locali. Due anziane sorelle, Carolina e Luisa Porro, vennero linciate.

Le cronache testimoniano che erano ricche, ma vivevano da povere: parsimoniose, chiuse in casa, dedite solo al ricamo e ai ricordi di famiglia.

A provocare il dramma furono probabilmente alcuni colpi di fucile, partiti, forse, nei pressi del palazzo delle sorelle Porro.

Tra le centinaia di persone che si misero a correre verso il palazzo e ne sfondarono il portone, vi erano molte donne.

Le sorelle Porro, fuggite da una porta secondaria, vennero raggiunte poco dopo. Schiaffi, calci, pugni, colpi di baionetta e spintoni: Carolina e Luisa morirono quasi subito, altre due, Vincenzina e Stefania, più giovani, si salvarono e furono accompagnate alla Croce Verde da un passante misericordioso.

Alla fine di quella giornata, negli scontri tra le Forze dell’Ordine e i dimostranti, si registrarono due carabinieri colpiti a morte e diversi feriti tra i civili.

In seguito a tali fatti, ad Andria, così come in tante altre cittadine pugliesi, fu inviato l’esercito che riuscì a sedare la rivolta soltanto con una dura repressione.

Omicidio sorelle Porro dimenticato come altri crimini rossi

sorelle porro chi erano

La fame, la disperazione, ha spinto quelle persone ad un gesto criminale. Per quanto lo si voglia contestualizzare e cercare di comprendere nella sua crudeltà, resta il fatto che quelle donne, almeno stando alle varie cronache web, svolgevano una vita dimessa e parsimoniosa. Dedita soprattutto al ricamo. Pare pure che facessero tanta beneficenza all’Istituto Salesiani.

Infatti, come riporta il sito I Porro, fecero una donazione di oltre 500.000 lire ai Salesiani nel 1945 per l’acquisto e costruzione dell’Oratorio Don Bosco. Ancora oggi presente al centro di Andria e frequentato dai giovani andriesi.

La loro vena cattolica emerse anche durante i processi giudiziari che seguirono l’eccidio. Le due sorelle sopravvissute, Stefania e Vincenza, si pronunciarono davanti al giudice con queste parole:

“Noi non riconosciamo nessuno di questi di imputati. Noi abbiamo perdonato”

Un doppio femminicidio, proprio alla vigilia della Festa della donna. Che però in Puglia tornò alla mente per anni ogni volta che arrivava il Primo maggio. Festa dei proletari. Eppure, le sorelle Porro non vengono ricordate. Anche da parte delle femministe sessantottine. Pur trattandosi di un doppio femminicidio, compiuto proprio alla vigilia della Festa della donna. Le quali magari oggi vanno ad ascoltare in piazza i Modena city rambles o la Bandabardò.

Ma soprattutto, resta la solita rabbia sul fatto che i crimini rossi non vengano mai ricordati. Mentre si sottolineano e ricordano continuamente quelli neri.

Come nel caso di Giuseppina Ghersi, bambina seviziata e uccisa per un tema dai partigiani. Ne ho parlato qui.

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