Dalla fine della Seconda guerra mondiale, i rapporti tra la Cina e gli Stati Uniti sono stati di reciproca diffidenza ma tutto sommato non sono mai state nemiche. Anche perché avevano un avversario comune: l’Unione sovietica.
Con la fine della Guerra fredda, le relazioni diplomatiche sono proseguite su questa falsa riga. Sebbene la politica estera distensiva di Obama da un lato e una maggiore voglia di proporsi al mondo da parte cinese, hanno consentito un certo riavvicinamento e una buona cooperazione anche commerciale tra le due potenze.
Con l’arrivo alla Casa Bianca di Trump, invece, le cose sono drasticamente cambiate. Il Tycoon ha fin dalla sua campagna elettorale dichiarato guerra al Dragone, promettendo dazi nel caso in cui fosse diventato Presidente. Il che è accaduto, così come la guerra commerciale, che ha portato anche a conseguenze pesanti come il ritiro da parte di Google del proprio sistema operativo Android dagli smartphone di Huawei. Marchio cinese che aveva anche superato Apple e Samsung in termini di vendite mondiali.
Con l’arrivo di Joe Biden le cose non sono migliorate, anzi, l’arzillo vecchietto democratico ha fatto anche di peggio. Immischiandosi nell’affaire Taiwan, provocando l’ira cinese. Forse anche in risposta del buon rapporto che la Cina sta tessendo con la Russia, in vista di un Nuovo ordine mondiale che rischia di tagliare fuori proprio l’America.
Ed ora, a settembre potrebbe esserci un altro passaggio drammatico del conflitto sino-americano: il ritiro dei colossi cinesi da Wall Street. Per quello che in gergo borsistico si chiama delisting. Il che potrebbe provocare un autentico terremoto, visto che da soli valgono metà della nostra borsa.
Quali aziende cinesi lasceranno Wall Street
Come riporta Milano Finanza, venerdì 12 agosto sono arrivate a Wall Street le richieste, separate, di delisting da parte di diversi colossi cinesi. Ossia PetroChina, China Life Insurance, Sinopec e Aluminum Corp. of China, la cui capitalizzazione complessiva si aggira attorno a 310 miliardi di dollari. Praticamente circa la metà del valore di tutta Piazza Affari. Il delisting dovrebbe avvenire tra fine agosto ed inizio settembre.
In realtà, già alcuni mesi fa la Securities and Exchange Commission (meglio nota come SEC, che controlla le società quotate in borsa, praticamente la nostra CONSOB) aveva rammentato che sono 273 le società cinesi quotate a Wall Street a rischio di espulsione perché non forniscono adeguate informazioni.
Si tratta del cosiddetto audit, cioè della valutazione indipendente di un soggetto esterno.
I colossi cinesi potrebbero dunque anticipare la SEC, che però forse ha solo abbaiato senza intenzione di mordere. Ma quello cinese – dai governanti ai cittadini passando per le aziende – è un popolo pratico ed orgoglioso. Ancor di più di quello americano. E se anche altre società decideranno per il delisting, si rischia un autentico Tsunami finanziario. In un momento nel quale le borse americane già annaspano da tempo.
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