Smart working addio: la sindrome ‘Monica Lewinsky’ di cui soffrono le aziende

Smart working addio: la sindrome ‘Monica Lewinsky’ di cui soffrono le aziende

Paradossalmente, proprio le multinazionali del settore tecnologico sono capofila nella rinuncia dello smart working.

La Pandemia, nella sua tragicità, è stata in fin dei conti anche una grande occasione per digitalizzare molti servizi, pubblici e privati. Certo, non mancano retroscena inquietanti, di cui abbiamo spesso parlato e che non affronteremo qui. Tra le innovazioni principali per le aziende troviamo lo smart working, modalità remota di lavorare non in presenza.

La modalità di lavorare in smart working non è tutta rosa e fiori (ne abbiamo parlato qui). Ma è una frontiera interessante, che va oltre la tradizionale organizzazione del lavoro, in molti contesti aziendali ancora fortemente gerarchica, verticale, rigida, inefficiente, inefficace, lenta e farraginosa.

Sembrava essere il futuro dell’organizzazione del lavoro e invece, molte aziende, da quelle di piccole dimensioni alle multinazionali, stanno facendo dietrofront. Richiamando in ufficio i dipendenti.

Sempre più aziende rinunciano allo smart working

Il grande e compianto Domenico Masi – Sociologo, specializzato nel mondo del lavoro – molto popolare e apprezzato in Brasile (basti ricordare che in oltre trenta anni, ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Rio de Janeiro, è stato consulente di Sebrae per lo Stato di Santa Catarina e per la Rete Globo) ma molto meno da noi, la definì, in una intervista a Peter Gomez a La Confessione, dall’alto della sua arguzia mista a ironia, la “sindrome di Monica Lewinsky“.

Ovvero, la necessità di avere i sottoposti a disposizione, a comando. Il datore di lavoro si sente più forte e autoritario se il dipendente è vicino, comandabile e, perché no, umiliabile di persona, dal vivo. Un richiamo via mail o tramite WhatsApp, non ha lo stesso gusto, sapore ed effetto di una alzando la voce, gesticolando con fare minaccioso e autoritario.

Ricordiamo che Monica Lewinsky lavorava al dipartimento interno della Casa Bianca nel 1995 come stagista ed ebbe una relazione extraconiugale con Bill Clinton. Scandalo che demolì non poco il personaggio pubblicamente, anche perché inizialmente aveva negato ogni rapporto fisico con la stagista.

Tornando allo smart working, a parte le piccole e medie realtà che si sono affrettate nel richiamare in sede i propri sottoposti, a parte alcune rare eccezioni, anche le multinazionali stanno facendo la stessa cosa. Come ricorda lo psicologo del lavoro Marco Vitiello su Il fatto quotidiano. E, paradossalmente, sono proprio le aziende impegnate nel settore dell’informatica protagoniste di questo dietro front. Come Amazon, Meta, Ibm o Apple. Ma anche altre, come la Disney.

Ora, se proprio si vuole tornare al passato, le aziende potrebbero rivisitare la cultura del lavoro, prevedendo maggiori spazi di condivisione, momenti di relax, uffici esteticamente più accoglienti e rilassanti, supporto psicologico. Riportare, o forse sarebbe meglio dire, mettere finalmente l’essere umano al centro. Ne beneficerebbe la produttività.

Starsene a casa, in un ambiente intimo e domestico, magari con gli affetti più cari, conferisce sicuramente un aspetto confortevole, che può aiutare a gestire meglio lo stress da lavoro. E allora, se proprio rivogliono i dipendenti a portata di mano, li facciano sentire a casa.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!
PubblicitàPubblicità

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.