Sempre più donne italiane si convertono all’Islam: le ragioni dietro questa scelta

Secondo l’Ucoii, l’unione delle comunità islamiche italiane, sono più di 100 mila i convertiti italiani all’Islam
Dalla rivoluzione dello Ayatollah Khomeini in Iran del 1979, con la quale venne scalzato il Pascià di Persia, è ripreso lo scontro tra cultura Occidentale e cultura musulmana. Rimasto congelato per svariati secoli. Gli ultimi anni della Guerra fredda negli anni ’80 riuscirono a tenere frenata la diatriba tra questi due modi di vedere il Mondo: uno legato all’idea di laicità, progresso, libertà e consumismo. L’altro alla fedele osservanza del Corano.
Finita la Guerra fredda si passò alle armi, con l’attentato al World Trade Center di New York del 1993, seguito dall’attentato alle Torri gemelle, dalle guerre in Afghanistan, Iraq e Libia. Fino ai giorni nostri, con attentati sparsi e un terrorismo che non ha più confini geografici, capace di colpire nel cuore dell’Europa più volte (Parigi) o in città e Paesi impensabili (Copenaghen e Australia).

L’Islam sta facendo proseliti anche nel nostro Paese. Secondo l’Unicoii – Unione delle comunità islamiche italiane – negli ultimi anni sono più di 100mila gli italiani convertiti all’Islam. E colpisce il fatto che più della metà tra essi sia donna (55%). Quali sono i fattori che spingono le donne ad abbracciare una religione che le vuole sottomesse? Che impone la perdita della loro identità? E se fosse proprio questo aspetto, questa totale immedesimazione in valori forti, chiari e imposti, a far sì che tante donne che si sentono perse e non appagate dalle risposte del cattolicesimo, scelgano di seguire il Corano? Certo, ci sono anche molti casi di imposizione da parte degli uomini.
Il Corriere della sera ha pubblicato un’interessantissima inchiesta che riporto di seguito.

LE RAGIONI DELLA SCELTA – Nel caso delle donne, il refrain è sempre lo stesso: le donne musulmane sono sottomesse. «E’ uno stereotipo pensare che le donne si convertano per volontà di un uomo», spiega Izzedin Elzir imam di Firenze e presidente dell’Ucoii. «Nell’Islam trovano piuttosto valori diversi, si sentono maggiormente protette, non sono oggetto di mercificazione e ritrovano una dignità perduta». Ma non solo. «Secondo la giurisprudenza islamica  se una donna vuole sposare un uomo questo deve essere convertito. Ma non è richiesto il contrario. Anzi, se un uomo decide di sposare una donna non musulmana, non c’è problema. L’importante è che questa sia fedele a una religione monoteista. Inoltre l’uomo è tenuto a rispettare il credo della donna e metterla nelle condizioni di praticarlo».
ALCUNE STORIE – A interessarsi alla storia di questa religione è stata invece Cristina S, 44 anni, figlia di cattolici praticanti, per un certo periodo da liceale ha fatto parte di Comunione e Liberazione. «L’incontro con l’Islam è avvenuto all’università, a Scienze Politiche durante la tesi. Non mi piaceva il sistema di regole imposto dalla Chiesa. Ho letto il Corano e ho trovato qualcosa di diverso». Per qualche tempo Cristina ha aderito alla confraternita islamica  Muridiyya, una più diffuse soprattutto in Senegal. Non frequentava la moschea, non indossava il velo, la sua era una ricerca più intellettuale che spirituale. Aveva scelto di essere completamente libera da ogni obbligo e imposizione. Ma poi qualcosa non ha funzionato. «Ad un certo punto qualcosa si è rotto. Non essendo una musulmana di pancia non ero una vera musulmana e così sono tornata sui miei passi», spiega al telefono.
Incontrare un musulmano italiano, uomini o donne che siano, risveglia timori ancestrali. «Quando oggi si parla di italiani convertiti il pensiero corre subito a Maria Giulia Sergio, la jihadista di Torre del Greco», sottolinea Ernesto Pagano, regista di Napolislam, documentario dedicato alla diffusione della religione musulmana nella città partenopea che indaga la conversione degli italiani. Ma gli italiani convertiti non sono questo.  «Un singolo caso di cronaca rischia di annebbiare i contorni di un fenomeno molto più complesso», continua Pagano. Raro è infatti che la conversione sfoci nella radicalizzazione. «Più facile che chi abbraccia questa religione lo faccia con una convinzione difficile da trovare altrove in un’epoca di dubbi». E il motivo è facile da intuire. Basti pensare che «l’Islam ti regala un nuovo nome, nuove regole di vita quotidiana, e lo fa in un momento di grande crisi economica e sociale». Che, tradotto, significa una nuova identità.  
E’ il caso di Rosaria Iman, 35 anni, napoletana. «Ho incontrato l’Islam sul marciapiede. Non aspettavo l’autobus né il tram: aspettavo i clienti. Se Dio ha guardato verso di me, prostituta cocainomane allora c’è una speranza per tutti a questo mondo». Una sera, Rosaria incappa in Mustapha, un venditore di panini. «Mi chiese perché facevo quel lavoro, perché rinunciavo allo status di regina che Dio mi aveva assegnato in quanto donna». Oggi Rosaria, mentre ancora lotta contro la dipendenza dalla droga ha trovato nella fede la sua medicina: «La testa mi scoppia ma l’anima si libra libera da ogni male, finalmente. Sono stata una peccatrice e oggi forse non sono ancora una buona musulmana ma voglio testimoniare che Dio non mi ha mai lasciata e mi tiene per mano».
ALCUNI STUDI SUL TEMA – Redenzione, protezione, ricerca di spiritualità. Per ciascuno la molla che è scattata è diversa. A indagare le motivazione che portano una donna nata e cresciuta in Italia verso l’Islam come Rosaria è stata Silvia Layla Olivetti, autrice di Diversamente italiani (Armando Curcio Editore), pubblicato nel 2012. Cognome italianissimo e famiglia atea e madre femminista, Silvia si è convertita ufficialmente nel 2003 e ha deciso di raccogliere testimonianze di persone che avevano intrapreso il suo stesso percorso. «Se devo trovare un filo conduttore nelle storie di ritorno all’Islam (per i musulmani è più corretto parlare di ritorno invece di “conversione”, ndr), posso dire che c’è sfiducia nel cattolicesimo, inteso come Chiesa cattolica. La possibilità data dal Corano di vivere la fede senza un’intermediazione è sicuramente un fattore che attira». Ma il rapporto con la fede non è così lineare. «I motivi per cui hai abbandonato il cristianesimo ricompaiono quando ti rendi conto che anche l’Islam viene strumentalizzato». In pratica si parla di «moschee gestite da grandi famiglie arabe che trasformano la fede in politica». La vita di un musulmano italiano infatti non è complessa solo per le discriminazioni e per la fatica quotidiana di essere accettati. «Ancora oggi nelle moschee del nostro paese è difficile poter parlare italiano. Difficilmente si ottiene la traduzione del sermone del venerdì e io non voglio dover portarmi mio marito dietro come traduttore quando vado a parlare con l’imam», sostiene Silvia. Stabilire dunque un dialogo tra le comunità diventa difficile. Soprattutto per le donne. Tanto più che sono pochissime quelle che nel nostro paese scelgono di pregare in moschea.
Tema delicato quando si parla di Islam è la parità di genere. «Fino ad un certo punto il velo è stato considerato un simbolo di sottomissione», afferma Viviana Premazzi, studiosa di seconde generazioni e ricercatrice della fondazione Oasis. «Tuttavia oggi questo stesso simbolo si trasforma in uno strumento identitario». Tanto da arrivare a parlare di femminismo islamico anche nelle comunità di convertite italiane. Non ci si concentra più sui concetti di obbedienza e di poligamia. Ma si mette in luce come nel Corano sia sancito il diritto delle donne al divorzio, al proprio patrimonio e alla propria individualità. «Social network, rete e fenomeni migratori hanno favorito queste contaminazione», continua Premazzi. Ma non solo. «Contribuisce a questo dibattito anche il profondo senso di ingiustizia che si prova come madri di fronte a una comunità percepita come perseguitata e come donne di fronte agli abusi di una società che usa il corpo di una donna come merce».
L’INIZIATIVA DI SHAYMAA – Questa ricerca di dignità si scontra però con la violenza e l’intolleranza. «Un compagno di scuola ha minacciato di picchiarmi perché indossavo il velo», rivela Shaymaa Fayed. Quindici anni, nata a Roma, Shaymaa è una connazionale a tutti gli effetti. Non importa che i suoi genitori siano nati in Egitto, lei si sente italiana. «La maggior parte delle persone crede che musulmano significhi arabo ma non è così». Per sfatare i pregiudizi sulla sua religione Shaymaa ha fatto come tanti altri coetanei. E ha iniziato  a postare video su YouTube (come quello qui sopra). Ma, al posto di videogame e make up, spiega cosa significhi essere musulmana. Morale, oggi, le sue pillole, registrate con lo smartphone insieme al fratello, sono diventate molto note nella comunità di giovani musulmani. «A scuola e su Facebook tante ragazze mi chiedono come si indossa l’hijab.Non c’è solo solo la curiosità cattiva. Ma c’è anche chi si interessa per capire», confessa. E se a Shaymaa la definizione di youtuber musulmana non piace molto, questa ragazza le idee chiare sul ruolo femminile: «Nella mia famiglia sono le donne a comandare, altro che sottomesse».
E se la religione musulmana costituisse oggi ciò che sono state un tempo le ideologie politiche o un’altra religione, quella buddista, negli anni ’70-80? Quando in tanti partivano per l’Asia alla ricerca di se stessi. Del resto, in fasi storiche prive di certezze e di modelli di riferimento, la ricerca di qualcosa che totalizzi la nostra identità e ci fornisca una guida forte, è un dato storico.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

3 Risposte a “Sempre più donne italiane si convertono all’Islam: le ragioni dietro questa scelta”

  1. Se è per questi i Testimoni di Geova italiani sono 248.000. Mi pare che in maggioranza le conversioni siano per sposare un musulmano, poi ci sono tanti motivi diversi come quelli esposti nell'articolo. Spesso c'è bisogno in certi momenti di una identità forte e di un gruppo protettivo. A volte però il momento è passeggero e c'è un ripensamento. In questo caso uscirne è ancor più difficile che in altri casi.

  2. Penso che questo modo di "aprirsi" all'islam, raccontando storie, pubblicando testimonianze, in ultima analisi, agendo da occidentali "illuminati", sia insensato. L'islam è il nostro peggiore medioevo e porgergli le terga in questo modo mi sembra semplicemente folle. Tutto imho, ovviamente.

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