Sea Watch 3, chi è Carola: la borghesotta tedesca che viola la legge italiana

Caso Sea Watch 3, ci risiamo. “In fondo sono solo 42 disperati, facciamoli sbarcare!”. Oggi 42, ieri 20, l’altro ieri 30, domani 50. Ormai abbiamo superato abbondantemente quota 700mila sbarchi da quando è crollato il regime di Gheddafi in Libia, per volere di Sarkozy al fine di nascondere i suoi affari col dittatore libico e per permettere alle multinazionali francesi di mangiarsi gas e petrolio libico.

Tutto, ovviamente, sempre a danno dell’Italia. Che col Raìs aveva instaurato importanti accordi commerciali durante il Governo Berlusconi. Abbiamo perso buona parte dell’approvvigionamento di gas e petrolio proveniente dalla Libia. E ci ritroviamo costantemente a far fronte all’arrivo di immigrati. Per ragioni ormai palesate dall’inchiesta Mafia Capitale.

E così, con la Sea Watch 3 ci ritroviamo di nuovo di fronte al solito teatrino. Ong che caricano migranti, finanziate non si sa bene da chi, che pretendono di sbarcare sulle coste italiane. Generalmente, la più vicina Lampedusa.

Piccola isola che alle ultime elezioni europee ha votato Lega con quasi il 46% dei voti. Forse si sono scocciati pure loro? Così come gli italiani, soprattutto quelli che vivono nelle periferie o nei piccoli comuni già emarginati e devono combattere una guerra tra poveri? Cosa ne sanno i ben pensanti che vivono sugli attici delle città del Nord o a Roma? Con vista mare, Colosseo, Duomo o montagne?

Vediamo chi è Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3 che sta sfidando “il capitano” Matteo Salvini (come viene chiamato dai suoi sostenitori, sempre più numerosi forse non a caso). Ma anche perché la Sea Watch 3 non si è rivolta a Tunisi o a La Valetta, ancora più vicine di [sta_anchor id=”sea”]Lampedusa[/sta_anchor].

Chi è Capitana Sea Watch 3 Carola Rakete

carola rackete

Come riporta Il Post, Carola Rackete, capitana della nave Sea Watch 3 con a bordo 42 migranti, ha deciso di entrare nelle acque territoriali italiane nella notte tra martedì e mercoledì. Quando ha oltrepassato il confine marittimo e adesso si trova poco fuori dal porto di Lampedusa. Pronta ad attraccare e subire le conseguenze della sua decisione: il sequestro della nave e una multa che potrebbe arrivare fino a 50 mila euro.

Rackete – che ha 31 anni ed è ufficiale di navigazione da quando ne aveva 23 – conosceva bene i rischi della sua decisione. Negli ultimi anni ha avuto sei esperienze diverse come ufficiale su altrettante imbarcazioni, due di queste al Polo Nord; ha fatto la guida turistica nel parco naturale dei vulcani in Kamchatka, nella Federazione Russa, e aiutato a curare uccelli e piccoli mammiferi per un’associazione francese.

Dal 2016 è imbarcata sulla Sea Watch 3, dove ha guidato gommoni di soccorso e svolto l’incarico di coordinatore di missione prima di diventare capitana della nave: il primo incarico da comandante di una carriera cominciata molto presto (oggi però ricorda sempre che a bordo della Sea Watch ci sono anche altri membri dell’equipaggio, tra cui dieci donne).

Sul suo profilo Linkedin elenca le sue passioni:

«Conservazione della natura. Azione umanitaria. E un po’ di scienza polare».

Laureata in Scienze nautiche, Rackete ha ottenuto un master in conservazione dell’ambiente all’università britannica di Edge Hill (la sua tesi era sugli albatross). Parla cinque lingue, oltre tedesco e inglese anche francese, spagnolo e russo. A parte Linkedin, Rackete non usa social network. Negli ultimi giorni ha postato messaggi e aggiornamenti sulla situazione tramite l’account twitter della sua ONG.

Agi fa poi sapere che conosce quattro lingue (spagnolo, francese, russo, inglese) oltre quella materna (tedesco). Oggetto della sua tesi è un tema assai curioso: i nidi degli albatros.

Nel 2014, per 8 mesi, ha lavorato nel Parco Naturale della Kamchatka dove ha fatto un po’ di tutto: dalla guida per bambini e turisti alla manutenzione logistica delle attrezzature.

All’età di 23 era già al timone di una nave a spaccare il ghiaccio del Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi: l’Alfred Wegener Institute.

A 25 anni diventa invece secondo ufficiale a bordo della Ocean Diamond, mentre due anni dopo riveste lo stesso ruolo nella Arctic Sunrise di Greenpeace.

Appena trentenne comanda piccole barche per escursioni nelle isole Svalbard, nel mare Glaciale Artico. Carola collabora con la Sea-Watch dal 2016. In passato ha lavorato anche con la flotta della British Antartic Survey e nell’estate del 2018 ha navigato nelle acque gelate dell’arcipelago della Terra di Francesco Giuseppe.

Intercettata da Repubblica si è definita con parole molto semplici:

“La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità”.

Perchè Sea Watch 3 non sbarcata altrove

sea watch 3

Come riporta Wired, che cita a sua volta l’autorevole rivista di geopolitica Limes, in Tunisia manca una legislazione completa sul diritto d’asilo, motivo per cui “l’accesso alla procedura di protezione in Tunisia è limitato e privo di sufficienti garanzie di tutela legale e appello”.

La rivista sottolinea anche che Malta non ha ratificato gli emendamenti alle convenzioni sulla ricerca e il salvataggio marittimo, Sar e Solas, adottati nel 2014.

Le ong esitano a chiedere un porto a La Valletta anche perché è piccola, ha pochi abitanti, il quintultimo Pil d’Europa e, in proporzione, ha ricevuto molte più richieste di protezione internazionale rispetto agli altri stati europei.

Ciononostante, non è vero che le ong non ci vanno: alcune ong in passato non hanno esitato a chiedere a Malta e Tunisia un porto sicuro. Lo ha fatto, per esempio, un altro comandante della Sea Watch, che lo scorso 28 gennaio si è rivolto a Tunisi dopo aver soccorso 47 migranti. I suoi tentativi sono però stati vani.

In questi giorni, Salvini e Giorgia Meloni, tra gli altri, hanno chiesto più volte perché la Sea Watch non facesse rotta in Olanda, lo stato di bandiera della nave della ong. A questo proposito, Salvini ha anche scritto una lettera al suo omologo dei Paesi Bassi Kajsa Ollongren e addossato responsabilità al governo di Amsterdam.

Ma ci sono vari motivi per cui l’Olanda non è intervenuta: il primo, più immediato, è che gli stati che concedono bandiera non hanno obblighi particolari nei confronti delle imbarcazioni; il secondo è che l’Olanda non è responsabile per quei migranti – almeno non per le norme europee: le navi ong vengono considerate un’estensione del territorio del paese di cui battono bandiera e l’articolo 13 del trattato di Dublino stabilisce che, se

“il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno stato membro”, quel paese è “competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”.

E, come ha spiegato il controammiraglio Nicola Carlone della Guardia costiera italiana in un’audizione parlamentare alla Camera il 3 maggio del 2017,

“Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra”.

Il terzo motivo è che l’Olanda non è il porto sicuro più vicino. L’unico modo che la Sea Watch avrebbe avuto per arrivare ad Amsterdam sarebbe stato quello di attraversare tutto il Mediterraneo, oltrepassare lo stretto di Gibilterra e circumnavigare l’Europa dell’ovest. Il viaggio sarebbe stato molto lungo e l’imbarcazione avrebbe dovuto solcare l’Oceano Atlantico, che è molto più pericolo rispetto al Mediterraneo (che, per quanto esteso, è comunque un mare chiuso).

Come ci ha fatto notare Francesco Floris, giornalista esperto di immigrazione, la Sea Watch non avrebbe potuto affrontarlo da sola e sarebbe dovuta essere scortata da alcune motovedette, come è successo nel caso dell’Aquarius. Il tutto, a un prezzo umano ed economico molto alto.

Ricordo quando sono andato a bordo anche io. Non c’era nemmeno lo spazio per muoversi”, ha detto a Wired. “Bisogna assolutamente riformare il trattato di Dublino e trovare una soluzione europea comune”.

Immigrati sbarcano solo in Italia?

george soros immigrati

Nello stesso articolo si mostra anche come l’Italia non sia l’approdo principale degli immigrati provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente raggiungono l’ Europa. Come mostra il sito dell’Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2019 sono arrivate in Europa 34376 persone (il dato è aggiornato al 24 giugno). Di queste, solo 2447 sono approdate in Italia, per mare o via terra. In Grecia, invece, ne sono arrivate 17565 , in Spagna 12522 e a Malta 1048.

Tuttavia, aggiungo io, il vero problema è che se in questi ultimi 3 paesi magari riescono a muoversi dopo l’approdo, in Italia vi restano. Come se vi fosse un tappo. Visto che le vicine Francia, Svizzera, Austria e Slovenia non fanno di certo facilmente attraversare le proprie frontiere. Eppure, l’Europa ci taccia di essere razzisti e xenofobi. In primis la Francia, la quale, dopo aver portato il caos in Libia, ci chiude le porte in faccia al confine con Ventimiglia.

Chi finanzia Sea Watch 3

Difficile capirlo. La Ong ha pubblicato un pamphlet scritto in tedesco con varie voci e missioni. Chi conosce la lingua teutonica potrebbe scoprirci qualcosa.

Sea Watch 3, cosa prevedono leggi italiane

Come riporta Il Fatto quotidiano, la scelta di Carola di entrare nelle acque italiane fa scattare per la prima volta contro una ong le misure contenute nel decreto sicurezza bis fortemente voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Proprio per contrastare in modo più efficace l’attività delle navi umanitarie.

Sono i primi due articoli, in particolare, ad introdurre alcune novità. Il primo assegna al ministero dell’Interno il potere di

“limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica”.

Oppure quando si concretizzano le condizioni previste dalla Convenzione Onu sul diritto del mare riguardo al “passaggio non inoffensivo” di una nave perché fa

“il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero”.

Nel caso della Sea Watch, l’alt all’ingresso nelle acque italiane è stato intimato da una motovedetta della Guardia di finanza.

Se il divieto di ingresso non viene rispettato – come oggi per la Sea Watch – scatta l’articolo 2 del dl che applica al comandante e, “ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave”, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 10mila a 50mila euro. In caso di reiterazione commessa con la stessa nave, si applica anche

“la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare”.

All’irrogazione delle sanzioni,

“accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente”.

Cioè quello di Agrigento per la Sea Watch.

Ricapitolando:

La nave è olandese.
L’equipaggio è tedesco.
I soldi che li finanzia sono ungheresi.
Il culo è sempre italiano.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!

2 Risposte a “Sea Watch 3, chi è Carola: la borghesotta tedesca che viola la legge italiana”

  1. Per me non è semplicemente nessuno..È un pupazzo, uno dei tanti, ammaestrati a suon di marchi. Forse lo avrei fatto anch io.ad essere onesti, tanto.gode pure di protezione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.