Lo schiavismo nel settore dei corrieri espresso
Il settore dei corrieri espresso impegna direttamente circa 250 mila addetti in Italia, secondo l‘Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano. Ma, considerando tutti i settori nel loro complesso, compresi i trasporti via mare, gli addetti salgono a 1,4 milioni. Tra questi ci sono gli uomini e le donne in divisa a cui apriamo la porta quando finalmente ci arriva a casa il pacco ordinato tre giorni prima su un qualunque sito di e-commerce, e gli uomini e le donne che lavorano nei capannoni dove vengono stoccati e smistati gli ordini, e i camionisti e guidatori che materialmente trasportano le merci dai grandi magazzini di periferia in tutta Italia. Questi snodi sono cruciali per le vendite online e sono i luoghi da cui soprattutto i big dell’e-commerce pretendono un’efficienza quasi militare.
Lo schiavismo a danno dei corrieri espresso fomentato dalle vendite online
Secondo studi di settore, l’aumento delle vendite online richiede un aumento, almeno in Italia, della manodopera necessaria a garantire l’efficienza delle consegne. Specie se il consumatore si abitua a ordinare qualcosa su Internet e vederselo recapitare entro un’ora ovunque si trovi. L’efficienza per ora non può essere garantita dalla sola tecnologia, ma l’impiego di manodopera umana inizia ad avere un costo sociale troppo pesante: gli operai ricevono spesso paghe da fame, sono sottoposti a turni massacranti, e non vedono rispettate tutele fondamentali (malattia e ferie). Si può parlare di caporalato nel settore della logistica? «Assolutamente sì – risponde Emanuele Barosselli, sindacalista della sigla Filt Cgil per la Lombardia – Ma con alcuni distinguo: dove c’è una presenza sindacale si tenta di superare queste condizioni, ma questo è un settore talmente vasto che tutte le organizzazioni sindacali e para sindacali messe insieme coprono forse il 20% di tutto il comparto».
Il lavoro nero tra i corrieri espresso
Tenere traccia del numero di lavoratori realmente impiegati e delle loro condizioni è impossibile a causa della scatola delle esternalizzazioni: un grande negozio online si affida a una società logistica per le consegne la quale, a sua volta, subappalta ad altre aziende lo smistamento o la consegna. Queste aziende a loro volta subappaltano a cooperative di lavoratori, in un ginepraio di deleghe che annacqua il compenso finale e rende complicatissimo risalire al vero datore di lavoro. Colui che in teoria deve essere costretto ad applicare le norme di un contratto collettivo nazionale.
Un salto nel lontano passato.
Alla macchinetta del caffe’ io e il direttore amministrativo.
“”Hai letto sul Sole24Ore che hanno aumentato le aliquote IRPEF ?””
“”A noi che c.. ci frega.Tanto dichiariamo ZERO
Mi spiace molto ma i primi schiavi italiani sono gli imprenditori ,acclarati schiavi dello Stato. Un tempo un imprenditore ironizzando si dichiarava lo Stato socio della sua impresa in quanto incassava 50% del fattutato sotto forma di tasse.
Oggi quel 50% è salito al 70%.
Indubbiamente ogni imprenditore è uno schiavo dello Stato.
Ovviamente chi può lavorare a nero chiude tutto e cerca di salvare capre e cavoli, perche dopo che hai pagato il 70% allo Stato ( se nn lo fai ti pignora anche i preservativi usati) e tolte le spese affitto utenze evarie…non ti restano neppure i soldi per la spesa.
Perciò lo Stato smettesse di insultare gli imprenditori, resi schiavi che anche volendo nn riescono a pagare questo tasso, e piuttosto se deve dar a qlno dei parassiti, lo dia a tutti i politici che nn fanno una cippa tutto il giorno e incassano minimo 20mila al mese i sinsaci delle metropoli per passare ai ministri con i 40 mila euro, i senatori anche 60 mila , presidenti consiglio , camera e repubblica oltre i 100 mila eueo al mese .
Non prendiamocela sempre con le imprese e pensiamo a chi, fra i lavoratori, E’ LAVATIVO/A!!!
Certo, ma in genere nel privato viene licenziato in tronco. Il problema è soprattutto nel pubblico…