SARDEGNA, L’ISOLA DEGLI SPRECHI

COME TUTTE QUELLE A STATUTO SPECIALE. PRESO DI RECENTE QUALCHE TIMIDO PROVVEDIMENTO
Si parla spesso degli sprechi della Sicilia, definita la Grecia italiana. Tante le cose che non funzionano o funzionano male, mentre politici e mafia si sono arricchiti. In realtà però un po’ tutte le Regioni autonome non sfruttano al meglio le proprie risorse. I soldi provenienti dalle tasse restano quasi completamente sul territorio e si sa, l’occasione fa l’amministratore ladro. Se almeno però le tre del Nord sembrano funzionare discretamente, non senza qualche discutibile spreco, l’altra isola autonoma pure non scherza: la Sardegna. Isola meravigliosa distrutta dalle servitù militari americane, ma anche dagli sprechi dei suoi politici locali, visto che, a fronte dei soldi che restano sul territorio, tante sono le cose che non vanno.

Liberofa una triste lista degli sprechi, e anche dei timidi tentativi di ravvedersi.

LE ENTRATE – La Sardegna come le sue “sorelle” a statuto speciale da decenni incamera quote di tassazione provenienti dal territorio che vanno dal 70 al 100%.  Per intenderci, mentre l’Irpef, l’Irpeg e l’Iva di un abitante di Milano, di Roma o di Napoli finiscono nelle casse dello Stato, che poi ri-trasferisce le risorse alla periferia, le imposte di chi vive ad Aosta, Palermo, Cagliari, Trento o Bolzano  restano sostanzialmente lì.  Il meccanismo si traduce in entrate tributarie per abitante nelle Regioni speciali che superano i 3.500 euro (la cifra complessiva si aggira su un gettito di 20 miliardi l’anno) contro i 1.800 euro  circa delle altre.  In più, come le altre, queste Regioni si beccano comunque trasferimenti statali per settori centralizzati come la scuola,  le infrastrutture eccetera. Complessivamente le entrate totali pro capite ammontano a 5.400 euro contro i 3.800 delle Regioni normali.
GLI SPRECHI – esempio quelle per la gestione dei sistemi informatici regionali. Acronimi e sigle dietro cui si celano salassi per milioni di euro: il Si-Bar dell’Amministrazione Regionale, il Sisar della sanità, il Sira dell’ambiente e il Sil del lavoro. Secondo il consigliere Sel, Luciano Uras, nei prossimi tre anni si spenderanno almeno 85 milioni di euro. E poi ci sono il sito Regione e  il sistema informatico per la pianificazione territoriale, per i quali si spendono circa 2 milioni di euro l’anno.  Altri  5 milioni e 700 mila vengono sborsati per quello sanitario. Il Sibar costa 2 milioni di euro, stesso dicasi per il sito del lavoro. Uno smacco per il popolo sardo, da sempre in lotta contro la disoccupazione. Centinaia di milioni di euro spesi per l’informatizzazione della Regione.  Solo Sibar e Sisar sono già costati alle casse della Regione quasi 100 milioni di euro.
C’è poi il settore sanitario: ovvero quello che grava maggiormente sul bilancio. Soprattutto con il lavoro interinale. Dice il consigliere regionale del Pd, Francesca Barracciu: «L’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari è il caso più lampante ed emblematico di creazione e mantenimento di quelle nicchie di potere dai risvolti economici che gravano pesantemente sulle risorse pubbliche di cui ha parlato anche la Corte dei Conti». Un duro attacco contro la gestione dell’azienda ospedaliera, con tanto di interrogazione all’assessore alla Sanità Simona De Francisci. Il consigliere Barracciu afferma che «i dati estrapolati dai conti delle aziende sanitarie del 2010 e 2011 registrati dall’assessorato regionale alla Sanità non lasciano dubbi: la spesa del Brotzu per il lavoro interinale è aumentata, in un solo anno, del 70% e supera, da sola, quella della Asl 8, la più grande delle Asl sarde, che ha quasi il triplo dei dipendenti del Brotzu». I numeri: secondo l’esponente del Pd, dal 2010 al 2011 il Brotzu è passato dai 3,473 milioni di euro del 2010 (2,641 per sanitari e 832 mila per non sanitari) ai 5,940 milioni del 2011.
IL TAGLIO DELLE PROVINCE, SPECCHIO PER LE ALLODOLE – La Sardegna è però forse l’unica fra queste Regioni privilegiate ad avere dato un barlume di esempio positivo. Lo ha fatto abolendo quattro Province inutili e che erano state “inventate” nel 2005.  Enti la cui esistenza era del tutto indifendibile: almeno in base ai numeri. 
La più grande delle Provincie in questione:  Olbia-Tempio Pausania, conta 157 mila abitanti. La più piccola, Ogliastra, non arriva a 58 mila. Ci abita meno gente che nel Comune di Fiumicino. Ma non basta. I consiglieri provinciali sono cento. Ognuna di queste quattro Province ha  addirittura due capoluoghi, con situazioni ai confini della comicità. Prendiamo l’Ogliastra: a Tortolì, 10.838 abitanti, ha sede il consiglio provinciale; a Lanusei, 5.655 anime e 19 chilometri di distanza, si riunisce invece la giunta. Idem, eccetto qualche variante, accade nelle tre restanti Province. E tutto questo non è certamente gratis. E per  usare le parole di  Sergio Rizzo che sul Corsera (traendo dal libro di Andrea Giuricin,  Abolire le Province curato da Silvio Boccalatte per Rubbettino-Facco), dice che si possono fare alcuni calcoli interessanti sul costo di quegli enti. E che la vicenda sarda resta un «esempio di moltiplicazione delle spese dovute all’istituzione di una nuova Provincia». Il caso di scuola è quello di Carbonia-Iglesias, i cui 23 Comuni appartenevano in precedenza a Cagliari. Già nel 2007 il bilancio preventivo della Provincia prevedeva un costo di 30 milioni di euro. Contemporaneamente, anziché diminuire, le spese della Provincia cagliaritana che aveva perduto tutti quei municipi erano invece salite a 172 milioni dai 133 del 2005.
L’abrogazione delle Province ha ovviamente scatenato un polverone di polemiche. L’Unione Province sarde, in prima fila nel criticare l’abrogazione degli enti, ha preparato un dossier per documentare come il costo politico della Regione sia in realtà più alto di quello delle Province cancellate. 
L’Ups parte dai costi degli organismi istituzionali. E spiega che la Sardegna , comprendendo il bilancio del Consiglio e le spese politiche della presidenza della giunta e degli assessorati (esclusi cioé tutti i servizi amministrativi per l’esterno) ha una spesa complessiva di 104 milioni (71 solo il Consiglio), che valgono qualcosa come 62,3 euro pro capite per i sardi. Gli organismi delle Province, sempre secondo l’Ups, resterebbero invece più leggeri e arriverebbero a 6,5 milioni, pari a 3,89 euro per ciascun sardo. All’interno della spesa degli organismi c’è la parte che riguarda i compensi riservati agli eletti. E anche in questo caso la spesa risulterebbe molto più alta per la Regione: in totale (indennità per i singoli consiglieri più assegnazioni aggiuntive e spese dei gruppi politici) si arriva a 23,8 milioni, pari a 14,87 euro per ogni sardo. Il costo degli eletti alla Provincia è invece di 4,2 milioni, pari a 2,62 euro pro capite per i sardi.
I numeri non si fermano qui. Secondo l’Ups  la Regione ha un debito di 2 miliardi e 152 milioni, mentre quello delle otto Province isolane è di 212 milioni. Grande differenza anche per i residui passivi: 5 miliardi e 120 milioni quelli della Regione, 841 milioni quelli delle Province.
QUALCHE TIMIDO TAGLIO DELLA POLITICA– La Casta locale ha abolito il vitalizio, ridotto il numero dei consiglieri da 80 a 60, le indennità e i finanziamenti ai gruppi risparmiando, dice il presidente del consiglio Claudia Lombardo, «oltre 1 milione e 300 mila euro». Dalla prossima legislatura, si intende.
LA SITUAZIONE DELLE ALTRE REGIONI A STATUTO SPECIALE – Da sempre, in Italia, ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B: neanche 10 milioni di italiani ricevono dallo Stato più degli altri 51 milioni e mezzo di connazionali. È un dato di fatto. Brutto da constatare, ma è così. È sempre stato così. Nel 1994, ogni cittadino della Lombardia aveva ricevuto dallo Stato 260mila lire, uno del Trentino-Alto Adige circa 4 milioni e uno della Val d’Aosta oltre 7 milioni lire. Col passare degli anni l’andazzo non è certo migliorato. Nel 2008, per esempio, la spesa pro capite per pagare gli stipendi e i contributi al personale regionale è cresciuta per ogni valdostano a oltre 2mila euro.
Tanto per avere un metro di paragone: nello stesso anno in Liguria la spesa ammontava a 32 euro e 90 cent, in Veneto a 30 euro e 70 cent e in Lombardia a 20 euro e 30 cent. Cifre da capogiro.
Come spiegava Marcello Foa in un’inchiesta su questo argomento, nel 2010 la Valle d’Aosta aveva la spesa pubblica pro capite più elevata (8.744 euro). Considerando, tuttavia, le entrate il quadro cambia: il deficit valledostano è di 617 milioni di euro, mentre quello siciliano di quasi 22 miliardi. La Sardegna, invece, segnava un deficit di 7 miliardi, mentre le altre due Regioni erano in rosso di 2 miliardi (a testa). Insomma, cinque terre e cinque modi di essere diversamente italiani. In tempi di spending review, i conti non migliorano. Basta dare un’occhiata alla paghetta del governatore della provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder: guadagna più del presidente americano Barack Obama. Va detto che, anche tra le Regioni a statuto speciale, bisogna fare pesanti distinguo: se Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Fiuli Venezia Giulia sono in grado di utilizzare le risorse pubbliche in modo davvero efficace (evasione fiscale bassa e sprechi limitati), Sicilia e Sardegna sperperano oltre il 50% delle risorse. Un vuoto a perdere.
Insomma, oltre all’abolizione delle Province, occorre pensare seriamente anche a quella delle Regioni a Statuto speciale. Centri di sprechi che approfittano della propria autonomia amministrativa. Forse l’unica che ha davvero ragion d’essere – data la propria peculiarità storica, geografica e linguistica – è il Trentino Alto Adige. 
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

0 Risposte a “SARDEGNA, L’ISOLA DEGLI SPRECHI”

  1. Luca, mi capita, moto, il sabato, di fare un giro sulle montagne del Trentino e girando girando, capita di "scavallare" in Veneto. C'è una grande differenza sulla qualità e sulla manutenzione delle strade, perfette in Trentino, così così in Veneto. Te ne accorgi quando trovi il cartello di confine !Luigi

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